domenica 13 aprile 2014

L'agricoltura? Può creare 150 mila posti

Il ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina
Intervista a Maurizio Martina di Lorenzo Salvia (Corriere della Sera, 13 aprile 2014)

«Le conosce le mele del Trentino?». Sì, perché? «Quello è uno dei nostri modelli. Il prodotto è di qualità e arriva da piccole imprese familiari. Le aziende sono rimaste lì e sono rimaste piccole, ma hanno deciso di non restare invisibili. Si sono aggregate in reti e consorzi, insieme vanno in giro per il mondo e fanno un miliardo di euro l`anno. I piedi qui, nella terra, la testa nel mondo». Il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina dice che, seguendo anche il modello delle mele del Trentino, «l`Italia nei prossimi cinque anni può aumentare del 50% le esportazioni del settore agroalimentare» e che «può far nascere 5o mila nuove imprese con 100-150 mila nuovi posti di lavoro».

Ministro, messa così sembra un miracolo. Al momento la realtà è ben diversa: nell`export agroalimentare siamo dietro anche alla Germania, che pure nel settore non ha certo il nostro nome. Perché il miracolo dovrebbe arrivare?

«Perché i nostri prodotti hanno un potenziale incredibile e abbiamo mercati enormi e ancora inesplorati, a partire dalla Cina».

A differenza dei nostri concorrenti, l`Italia non ha grandi catene di distribuzione. I mali francesi all`estero vendono prima di tutto prodotti francesi. Non crederà mica di convincerli a vendere il Parmigiano Reggiano invece del Camembert?

«Guardi questa foto».

Il ministro tira fuori l`Ipad. L`immagine viene da un ipermercato di una catena francese in Cina. C`è un grande bancone di vini, salumi, formaggi sotto la bandiera francese. Dall`altra parte un piccolo stand con i prodotti di tutti gli altri Paesi, Italia compresa.

«E' vero, gli altri sono più agguerriti. Noi abbiamo solo Eataly, che gioca in Champions League, ma bisogna darsi da fare in qualsiasi categoria. Anche per questo le aziende italiane si devono aggregare. E sempre per questo vogliamo lavorare a una serie di incentivi».

Non starà mica chiedendo al singolo contadino di vendere direttamente dall`altra parte del mondo?

«Non al singolo ma a chi si mette insieme sì. Naturalmente poi deve essere il Paese intero ad aiutarli. Semplificando la burocrazia, supportando l`internazionalizzazione e sostenendo iniziative come il marchio unico del made ín Italy agroalimentare».

Se ne parla da anni, senza risultati.

«Dobbiamo avere il coraggio di sperimentare anche su questo tema. Si può pensare a un cosiddetto marchio ombrello, privato e volontario, che si aggiunga ma non sostituisca quelli esistenti. Nei nuovi mercati il nome Italia lo conoscono benissimo e su quello dobbiamo puntare».

Basta questo?

«Certo che no. Dovremo lavorare seriamente sui nuovi accordi commerciali che l`Europa deve trattare: penso agli Stati Uniti, Giappone e India. Per dire, lo sa che negli ultimi due anni l`India ha alzato del 19% i dazi sui prodotti alimentari?».

Lo Stato deve aiutare l`export ma la vendita diretta sembra un suo pallino. Nel suo programma #campolibero c`è la semplificazione delle procedure per i mercati a chilometro zero, quelli dal produttore al consumatore.

«Il nostro obiettivo è raddoppiare il volume di vendita nei prossimi tre anni. Nel suo mestiere il contadino deve poter pigiare più tasti: produce, vende e poi si organizza sui mercati internazionali».

Saranno contenti i negozianti. Non è che creare nuovi posti di lavoro nell`agricoltura significa distruggerne altrettanti nel commercio?

«I veri problemi del commercio sono altri. Mettiamo che lei compri 100 euro di frutta e verdura al supermercato. Sa quanti ne vanno al contadino che li ha prodotti? Neanche due euro, 1,6 per la precisione. Tra produttore e consumatore ci sono troppi passaggi».

Resta il fatto che in altri Paesi l`agricoltura rende meglio che da noi.

«Ci sono costi esterni non sempre giustificati che si mangiano il 35% del valore prodotto. L`energia, le carenza di infrastrutture, la burocrazia. Oggi un prodotto italiano destinato all`export si ferma alla dogana in media per 19 giorni. In Francia sono 8, in Germania 7, negli Stati Uniti addirittura 6. La lotta violenta alla burocrazia di cui parla Matteo Renzi riguarda anche noi. Perché vogliamo portarci tanti giovani».

Li sta invitando a tornare alla terra?

«Sì e non è solo uno slogan. A differenza di altri settori, qui le prospettive ci sono. E grazie all`Europa, per il periodo 2014-2020, avremo 75 milioni di euro proprio per favorire l`imprenditoria giovanile nel settore. Oggi la metà dei titolari di azienda ha più di 60 anni, gli under 40 sono appena il 10%. Ai giovani viene più facile avere i piedi qui e la testa nel mondo».

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