sabato 21 febbraio 2015

NOTE CASOLANE - Cenni sulla vita dello scrittore Alfredo Oriani

Il testo che pubblichiamo "Cenni sulla vita dello scrittore Alfredo Oriani", è tratto da un ciclostilato distribuito agli alunni della scuola media di Casola Valsenio. Ne furono prodotti altri, su diversi argomenti e luoghi casolani, e portavano il titolo di "CENNI SULLA STORIA DI CASOLA". La stesura di questo testo è avvenuta "a cura della Sig.ra Lunciana Alvisi in Isola, dirigente il Centro di Lettura di Casola Capoluogo e del Prof. Emilio Giacometti di Casola. 29 febbraio 1968"

“Sono nato a Faenza nel 1852 il 22 agosto: la mia è una famiglia aristocratica di campagna, ma senza lustro vero…”. Così si presenta Alfredo Oriani stesso in una lettera dell’8 marzo 1899 al cugino Giacomo Oriani.
I suoi antenati, infatti, sembra provenissero dal castello d’Oriano in Val Senio; nella prima metà del sec. XVI s’erano stabiliti nei pressi di Tossignano in Val Santerno dove, intorno al 1670, costruirono la rustica villa delle Banzole con sull’ingresso l’orgoglioso motto della famiglia: “Nulli cedit”.
E come tenace, vigile e sicuro di sé la storia ricorda particolarmente il nonno d’Alfredo che, nel 1851, rischiò anche la fucilazione dopo una condanna del Consiglio di Guerra della repressione Austro-Papale in Romagna per aver fronteggiato alle Banzole un attacco del Passatore con armi da fuoco, che allora erano state proibite. Solo l’intervento di Pio IX, che aveva conosciuto nelle visite pastorali a Tossignano ed aveva ospitato alle Banzole, gli fece ottenere la grazia.
Luigi Oriani, padre di Alfredo, a quell’epoca abitava già a Faenza ove aveva sposato da tre anni la N.D. Clementina Bertoni, imparentata con la famiglia garibaldina dei Caldesi. Erano nati prima di Alfredo, nel 1849 Ercole e nel 1851 Enrichetta.
La famiglia viveva agiatamente di rendite nella cerchia delle più distinte casate faentine, mentre i rapporti con la signora Clementina, bella, sempre elegante, notevolmente intelligente, colta ed il marito di formazione più grezza, vissuto sempre in campagna, abituato a trattare soltanto d’affari, erano improntati nella più ridente sopportazione. Ma poi la morte improvvisa del primogenito, appena decenne, gettò la famiglia nell’angoscia: la madre parve impazzire, né l’amore per i due figli rimasti , che in maniera stranamente ingrata erano sempre stati da lei meno considerati del primogenito (…Alfredo era il “testone” di famiglia), poté risollevarla.
Si rinunciò addirittura all’educazione di quei ragazzi in famiglia; il 9 novembre 1862 Alfredo entrò nel collegio S. Luigi di Bologna.
La madre restò ancora più sola in quella sua lunga e inconsolabile agonia e nel giugno 1865 seguì il prediletto nella tomba.
Riavutosi dallo schianto, Luigi, solo ormai con due figlioli, ridivenne completamente l’uomo sceso dalle Banzole, considerò un fallimento la sua conversione cittadina, vide che le condizioni economiche erano preoccupanti, con fermezza e rapidità decise di vendere i poderi dell’agro faentino e di trasferirsi con la figlia a Casola Valsenio, al Cardello, una vecchia casa che già aveva acquistato con alcuni terreni all’intorno, nel 1855.
Alfredo intanto trionfava negli studi: nella seconda classe ginnasiale meritò il titolo di “imperator”; ma poi le prime divagazioni poetico-letterarie rallentarono il profitto scolastico di quel ragazzo, sempre pensieroso e appartato, e nel 1866 agli esami di Licenza ginnasiale fu bocciato in Matematica. Ferito nell’orgoglio, Alfredo abbandonò il collegio e prese dimora al Cardello; ma il compimento degli studi si imponeva come inderogabile. Luigi condusse allora il figlio a Faenza, presso un sacerdote che si prese il non facile compito di prepararlo agli esami: nel 1868 Alfredo poté recarsi a Roma per sostenervi l’esame di ammissione alla Facoltà di Legge presso la Pontificia Sapienza e quattro anni dopo si addottorava nella Regia Università di Napoli e tornava al Cardello, avvocato. Bisognava ora iniziare la carriera e si recò a “far pratica” a Bologna nello studio del valente avvocato Regnoli insieme al suo concittadino Clemente Caldesi. Ma i codici, i cavilli e i sotterfugi legali non erano per lui; egli era piuttosto pronto a tenere discussioni sulla vicenda politica quotidiana e su ogni disciplina che offrisse il pretesto per paradossali affermazioni lungo i portici della città, nei caffè e nei salotti, particolarmente in quello rinomatissimo di casa Minghetti. Proprio qui, Donna laura, moglie del grande statista, dopo un saggio di irruente oratoria, offrì all’Oriani una pipa già di Ottone di Bismark chiamando l’impetuoso romagnolo “Ottone di Banzole”.
Questo nome figurerà subito come nome d’autore nei primi volumi, a cominciare da “Memorie inutili” e da “Al di là”.
Ma cominciò proprio allora il dramma di quell’uomo ansioso di conquistare di colpo la fama e la gloria, e forse proprio quell’ansia fu causa dell’incomprensione e dell’ingiustizia dei contemporanei e che quel dramma tramutò in tragedia. Solo, sempre solo e dimenticato, Oriani fu costretto a vivere d’allora in poi: pochi gli amici, poca la considerazione anche quando veniva chiamato dai concittadini a coprire uffici nel Consiglio comunale di Faenza ed in quello provinciale di Ravenna; a Casola pochi potevano capire un uomo simile e, con una certa ingenua presunzione, lo si chiamava “e matt d’e Cardèl”.
Seguirono dissensi familiari con il padre prima e con la sorella poi, che dopo aver incoraggiato l’opera del fratello finanziando col patrimonio paterno la pubblicazione di varie opere fra cui il capolavoro “La lotta politica in Italia” e aver circondato fi ogni più tenera comprensione, si pose con lui in aperto e ostile contrasto, ed ancora accentuato poi dalla nascita del piccolo Ugo.
Fedele al grande storico, in questo periodo, era rimasta solo la bicicletta: viaggi lunghissimi a Milano, a Torino, di qua e di là dall’Appennino, minarono la forte fibra dello scrittore che spesso ammalò e il Cardello divenne – a suo dire – “la tomba di un uomo che non riesce nemmeno a morire”.
Veramente oscuri gli ultimi anni quando, per i raccolti scarsi, per i debiti che egli, onestissimo fino allo scrupolo, vuole pagare ad ogni costo, fa veramente capolino la povertà. Nemmeno il teatro, cui egli offre i suoi drammi, ultima risorsa del letterato, risponde ed apprezza la sua disperata fatica.
E’ però stanco, smarrito, ammalato nel corpo e nello spirito, convinto di essere la vittima di un pauroso destino. Accanto ai pochi libri annidati sopra uno scaffaletto, il 18 ottobre 1909 accolse con umiltà la morte, perdonando le ingiustizie sofferte, chiedendo con le lacrime agli occhi il perdono di Dio.
Al figlio Ugo poco prima aveva detto: “Aiuta tua madre, sii sempre onesto, galantuomo e cristiano”.
Le spoglie del nostro grande concittadino, ci sia consentito così di chiamarlo, a noi di questa generazione, che non possiamo sentirci responsabili di ingiusti vandalismi recati alla villa dello scrittore nei tempi burrascosi della guerra, che disprezziamo e condanniamo, fino al 1924 sepolte nel cimitero di Valsenio, riposano oggi nel Mausoleo del parco del Cardello, premurosamente custodire dalla N.D. Sig.ra Luisa Oriani, moglie del figlio del grande scrittore.

OPERE PRINCIPALI:
Matrimonio, Fino a Dogali, La lotta politica in Italia, La dsfatta, Bicicletta, la ricola ideale, Al di là, Memorie inutili.




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