martedì 17 marzo 2015

Il Piano per la banda ultralarga: un intervento infrastrutturale da 6,5 miliardi di euro

di Alberto Pagani (Deputato PD)

L'obiettivo è parte dei progetti dell'Agenda digitale europea: aiutati dai fondi pubblici gli operatori dovranno ammodernare le connessioni Internet, colmando una lacuna che ci separa dagli Stati Ue.
Il Governo, dopo una consultazione durata un anno, ha presentato il Piano per realizzare una miglior digitalizzazione del Paese attraverso un importante intervento infrastrutturale nel settore delle telecomunicazioni. Secondo uno degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, cui l'Italia come tutti gli Stati membri ha aderito, la tecnologia più avanzata di trasferimento dati tramite la rete, ovvero la banda ultralarga da 100 Megabit al secondo (Mbps), dovrebbe arrivare a servire almeno il 50% delle utenze entro il 2020: si tratta di realizzare una connessione Internet velocissima in cui le informazioni “viaggiano” in maniera molto più rapida e sicura. Agenda digitale è uno dei sette pilastri di Europa 2020, il programma quadro per la crescita economica e sostenibile del continente da cui derivano le politiche fondamentali dell'Ue e gli strumenti di finanziamento.
Per questo il Piano strategico del Governo mette in campo 6,5 miliardi di euro tratti soprattutto da fondi europei e da risorse interne. E perciò i soldi spesi per questi interventi non vengono computati nell'ambito del Patto di stabilità comunitario poiché – secondo le nuove linee guida della Commissione Juncker – non sono “costi”, ma investimenti. Gli obiettivi del Piano, per cui appunto si stanziano 6,5 miliardi, possono essere raggiunti però solo con l'intervento da parte degli operatori privati (Telecom, Fastweb, Metroweb ecc.) che devono mobilitare altri 6 miliardi di euro. In commissione Trasporti abbiamo ascoltato i rappresentanti delle società, che hanno espresso pareri tendenzialmente positivi ma anche dubbi, visto che la strategia richiede loro non solo ingenti risorse, ma pure alcuni riassetti che cercherò di spiegare meglio a breve.
Quello dell'ammodernamento delle reti digitali è un argomento ostico, ma la partita delle telecomunicazioni è di enorme importanza per svariate ragioni quindi vale la pena di affrontare il discorso. Facendo un paragone, oggi le “autostrade” digitali hanno la stessa centralità che poteva avere l'Autostrada del sole ai tempi del miracolo economico. O forse ancora di più. Internet è infatti il mezzo di trasporto principale in tutti i Paesi avanzati, tanto che se proviamo a pensare a come paralizzare uno Stato e quasi tutte le sue attività produttive, il modo più efficace sarebbe l'interruzione delle telecomunicazioni digitali. Immaginiamo un giorno senza le connessioni della rete: dalle banche agli uffici pubblici, dalle imprese all'informazione, tutto sarebbe in tilt. L'autostrada digitale è il sistema nervoso dei Paesi e sono pochi i lavori che, prefigurando il blocco di questa arteria, non si fermerebbero. In altre parole, la rete sostiene il nostro Pil. Il miglioramento di queste infrastrutture, oltre a rendere molto difficile lo scenario apocalittico sovraesposto, è fondamentale per l'economia dell'immediato futuro perché un Paese senza un'adeguata dotazione digitale è un Paese destinato a restare molto indietro. Le reti non collegano infatti solo milioni di persone, ma milioni di computer e, presto, collegheranno miliardi di oggetti. La banda ultralarga è perciò vista dall'Unione europea come l'infrastruttura portante del sistema sociale dei prossimi decenni. È interessante, infatti, capire quali sono le ragioni di questa importanza secondo l'Ue.
Migliorare le telecomunicazioni serve a garantire la sicurezza contro i cyberattacchi, un'espressione che parrebbe appartenere alla fantascienza se non fosse che attraverso la violazione della rete si possono creare enormi problemi a imprese, istituti di credito e persino Stati. Fare una rete veloce significa realizzare una rete più sicura: facendo sempre il paragone con le autostrade, è come se volessimo costruirle con moltissime corsie per evitare incidenti. Avere un livello infrastrutturale omogeneo tra i Paesi membri è poi necessario per creare un mercato unico del digitale che permetta a tutti gli europei di usufruire di servizi online su base transnazionale, con un forte traino economico per il settore. Ma al di là del comparto, la velocità e la sicurezza nella trasmissione dei dati consente maggior possibilità di innovazione dei processi e dei prodotti in tutti gli ambiti. Di recente, stando a Barcellona di fronte a un computer, è stata “comandata a distanza” una ruspa a Stoccolma: si tratta di un esperimento, ma potrà diventare economicamente sostenibile quindi reale. La ricaduta di possedere reti veloci, da cui passano segnali estremamente complessi, va quindi molto oltre al settore digitale strettamente inteso: l'esempio che ho fatto rende bene l'idea di cosa si potrà fare davanti a un computer e di quali vantaggi i Paesi che avranno realizzato alcune infrastrutture potranno godere. Da ultimo, ma non per importanza, l'Ue ravisa nell'inclusione digitale uno degli obiettivi del prossimo decennio, anche per via dell'invecchiamento della popolazione: nessuno va lasciato indietro.
Ogni Paese deve mettere in atto gli obiettivi di Agenda digitale (che sono svariati, e tra questi c'è ad esempio la fattura elettronica), ma ovviamente i Paesi membri vivono situazioni molto diverse gli uni dagli altri. Oggi la maggior parte delle connessioni Internet italiane vanno a una velocità di trasmissione dei dati molto ma molto inferiore a quella che si vorrebbe realizzare. La maggior parte della rete italiana è in rame e non a fibra ottica, necessaria per la banda larga e ultralarga. Due però sono, in particolare, le criticità che l'Italia deve affrontare: una legata alla domanda, l'altra all'offerta. Sul primo fronte, i dati relativi all'utenza sono molto al di sotto delle attuali performance europee; sul secondo fronte, l'assetto degli operatori privati non è competitivo rispetto ad altri scenari. Se l'Italia è ultima in Europa per diffusione della banda ultralarga, nessun gestore – che sia Telecom, Fastweb o Wind – ha attualmente un piano che traghetti la rete in rame alla fibra ottica nell'arco dei prossimi anni. Essendo gli operatori a dover fare investimenti, significa che l'ammodernamento va stimolato con strumenti pubblici (di cui il Piano si occupa), ma anche attraverso un riassetto gestionale, necessario per alcuni degli interventi da realizzare. Per capire bene però il deficit di domanda, basta dire che solo il 59% della popolazione italiana, contro il 75% della media Ue, usa Internet. Su alcuni versanti, ancora più specifici, siamo fanalino di coda appena prima della Bulgaria (nell'e-commerce, ad esempio). Solo il 21% della popolazione italiana accede poi a Internet con una connessione a più di 30 Mbps (la media Ue è il 64%.). Significa che non sono stati fatti investimenti, negli scorsi anni, sulla rete da parte degli operatori. Ma la consultazione pubblica condotta dal ministero dello Sviluppo economico ha messo in evidenza che la sola domanda non è in grado creare le condizioni per raggiungere gli obiettivi dell'Agenda Digitale e di invogliare gli operatori a modernizzare. Le ragioni sono molteplici e vanno dall'assenza della televisione via cavo (assenza che condividiamo assieme alla Grecia) all'alta età media della popolazione che abbassa la richiesta di servizi.
Per realizzare interventi credibili, il Piano del Governo ha perciò classificato in 4 zone il nostro Paese, prospettando azioni differenziate in base alla condizione odierna. Il primo gruppo, dove è considerato remunerativo per i privati investire direttamente, include le principali 15 città italiane (nella nostra regione c'è Bologna), in cui risiedono 9,5 milioni di persone ed è già presente più di un operatore di rete. Il secondo gruppo include 1.120 Comuni italiani dove c'è normalmente un solo operatore di rete e dove risiedono 28,2 milioni di persone (circa il 45% della popolazione). In questi Comuni alcuni collegamenti viaggiano a oltre 30 Mbps, ma è difficile che le condizioni di mercato, da sole, possano garantire ritorni sufficienti per investimenti sull'ultralarga. Poi si va nelle aree marginali, dove si pensa che solo con un forte incentivo statale si possa attivare l'interesse dell'operatore su nuove infrastrutture: parliamo di 2.650 Comuni dove vivono 15,7 milioni di persone che usano una rete “lenta”. In queste aree occorrere non solo prevedere una forte incentivazione fiscale, ma anche lo stanziamento di contributi pubblici a fondo perduto. L'ultima zona ingloba 4.300 Comuni, molti al Sud, dove risiedono 9,4 milioni di persone e dove Internet in alcuni casi è assente: qui solo l'intervento pubblico diretto può garantire ai residenti la connettività perché l'operatore si troverebbe di fronte a un tipico “fallimento di mercato”, essendo l'investimento non remunerativo.
L'obiettivo – oltre ad arrivare a servire con la rete superveloce il 50% delle utenze entro il 2020, cosa non semplice – è di estendere al 100% della popolazione l'accesso a Internet, cosa altrettanto difficile. Occorre dunque rimediare a evidenti lacune con uno sforzo pubblico che crei condizioni favorevoli alla realizzazione di queste tecnologie. L'azione pubblica si declina nel Piano su due versanti principali, che corrispondono non a caso ai due punti critici rilevati: interventi sull'offerta (quindi diretti agli operatori) e interventi sulla domanda (quindi diretti all'utenza). Sul versante dell'offerta si parte con l'intervento diretto, ovvero stanziamenti statali anche a fondo perduto per realizzare parte della rete attraverso una gara pubblica regolata da AgCom (l'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni): l'intervento è chiaramente indirizzato alla zona meno sviluppata del Paese (il quarto segmento), ma può essere usato in tutte le aree circoscritte che non hanno alcuna appetibilità per il mercato. La seconda tipologia d'azione  è una partnership pubblico-privata, ovvero un modello di co-investimento per la realizzazione delle infrastrutture per cui gli operatori sono chiamati a unirsi in un consorzio o un'impresa terza, per evitare posizioni monopolistiche (che andrebbero a vantaggio del principale operatore, Telecom), assieme allo Stato. Il terzo modello consiste in una serie di incentivi pubblici per l'ammodernamento della rete a carico dei privati: si va dalla garanzia pubblica a strumenti finanziari multifondo con la partecipazione di investitori istituzionali europei, dalla defiscalizzazione ai prestiti a tasso agevolato. E verrà istituito un Fondo per le aree “svantaggiate”. Su molti strumenti, specialmente quelli complessi dal punto di vista finanziario, si lavorerà assieme alla Bei, la Banca europea per gli investimenti, anche nell'ottica del Piano strategico per gli investimenti Ue di cui ho scritto un mese fa (che non a caso mette tra le priorità lo sviluppo della banda ultralarga).  Sul fronte della domanda si prevedono mappature per individuare le possibili aggregazioni dell'utenza, soprattutto in alcune aree – come i distretti industriali – che possono fare massa critica e portare gli operatori a investimenti diretti. Incentivi poi per le utenze che vogliono “migrare” dalla rete classica a quella veloce attraverso voucher, che ovviamente però saranno stanziati solo se sono presenti le infrastrutture o a infrastruttura terminata.
In sintesi: i 6,5 miliardi di euro servono ad attuare misure diverse a seconda della situazione socio-economica dei territori, fortemente disomogenea. Ci sono zone in cui i privati devono investire e possono farlo con ritorni redditizi (le grandi città, le zone in cui si crea domanda aggregata), ci sono zone in cui senza l'intervento diretto dello Stato non si può ottenere nessun margine, ci sono poi zone intermedie dove prevarranno gli incentivi associati a una parte di contributo a fondo perduto. Il Piano delinea la strategia complessiva, che deve poi trovare concretezza negli interventi di cui sarà supervisore AgCom, ma prima ancora in un decreto o in altre misure legislative. D'altro canto, il Piano comprende misure già deliberate, come la defiscalizzazione Irap e Ires per le imprese che investono nelle nuove reti prevista nel decreto legge Sblocca Italia. Nel Piano però vengono per la prima volta fatte delle scelte di fondo tra cui la principale è quella di non procedere verso lo “spegnimento forzato” della rete in rame, ovvero di non obbligare gli operatori a dismettere questa tecnologia entro una certa data per passare alla copertura in fibra (cosa che molti temevano). Si è scelto, invece, di operare con il principio della cosiddetta “neutralità tecnologica”, ovvero lasciando ai privati la scelta di come raggiungere gli standard indicati. Ci saranno però incentivi maggiori laddove l'operatore faccia un'offerta tecnologica avanzata per il perseguimento della banda ultraveloce. Prevista anche un'asta basata sul tempo: le risorse pubbliche andranno a chi offre interventi più rapidi a prescindere dalla tecnologia usata. La questione della dismissione della rete in rame è infatti estremamente complessa: la stragrande maggioranza della rete italiana a fibra ottica comprende ancora il cosiddetto “ultimo miglio”, ovvero il collegamento tra l'armadio telefonico in strada e l'utenza privata è il più delle volte in rame. Occorrerà lavorare a lungo per arrivare a collegare direttamente le utenze con la fibra ottica e questo non può essere ostativo al progressivo miglioramento della rete.
Le reazioni degli operatori di telefonia e comunicazione al Piano non sono state ovviamente lineari. Si chiede uno sforzo finanziario, com'è giusto, ma soprattutto si interviene anche per quanto riguarda lo stesso assetto societario (è il caso di Telecom) e quello delle eventuali partnership pubblico/privato. Non è chiaro – e spetterà alla politica e alla negoziazione chiarirlo – quali forme d'impresa siano necessarie (un consorzio? Una nuova compagnia mista tra  Stato e vari soggetti? Una società privata terza per la costruzione della rete di nuova generazione?). Pertanto, alcune risposte, seppur positive, puntano ad affrontare al più presto alcune questioni.
Quella che ho cercato di descrivere è una situazione molto articolata per un obiettivo che non va sottostimato. A mio avviso, la necessità di creare una rete più efficiente è reale. Perseguire l'obiettivo della banda ultralarga è ovviamente auspicabile, ma partendo dalla nostra situazione sarebbe già un enorme risultato implementare una rete estesa a tutto il Paese, anche prescindendo dall'idea di arrivare ai 100 Mbps. La partita, comunque, è di grande impatto per le compagnie della telefonia e starà anche a loro mostrare che l'interesse privato e quello nazionale possono coincidere.

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