Il Patto di stabilità è una misura contabile che interessa il bilancio dello Stato e degli Enti locali che ha la finalità di ridurre l’indebitamento pubblico.
Il principio del “Patto di stabilità e crescita” nasce con il trattato di Maastricht che impone ai paesi che partecipano alla Unione Monetaria di mantenere il rapporto deficit/Pil al di sotto della soglia del 3%.
In altre parole è un mezzo per contenere l’aumento incontrollato della spesa pubblica
e rapportarla alle effettive possibilità di spesa.
Questo sistema restringe l’autonomia degli Enti locali impedendo, spesso, sia
di realizzare nuove opere pubbliche, sia di effettuare interventi di manutenzione
straordinaria che le infrastrutture richiedono.
Ai Comuni viene imposto un vincolo rappresentato da un importo, il cosiddetto
"saldo obiettivo di patto", che è la risultanza di una somma algebrica tra entrate e uscite di parte corrente (calcolate come competenza e quindi non nel momento in cui si verifica il flusso di pagamento ma nel momento in cui nasce il costo o l’entrata) e le entrate e le uscite di conto capitale, ovvero quelle che servono per gli investimenti, calcolate in questo caso per flusso di cassa.
Tra le entrate di conto capitale non si calcolano gli importi che entrano nel bilancio per effetto dell’indebitamento annuo: in parole semplici, non si contano i mutui accesi dal Comune per gli investimenti sul territorio.
Per capirci meglio: più spendi, più paghi se poi le entrate non le incassi subito il
saldo reale aumenta e così ci si allontana dal vincolo.
L’applicazione del patto di stabilità anche ai Comuni con meno di 5.000 abitanti prevista a partire dal 1 gennaio 2013 è una prospettiva insostenibile.
Per Casola l’insostenibilità non è solo dovuta al sacrificio fi nanziario richiesto
ma anche alla sua irragionevolezza e ingestibilità tecnica se applicato a bilanci di entità ridotta, estremamente rigidi e con una dipendenza quasi totale da fonti esterne per ciò che riguarda gli investimenti; caratteristica questa, identica a quella di tanti piccoli Comuni di montagna, che non possono essere parificati ai Comuni che hanno una capacità propria di entrata assolutamente maggiore.
Prendiamo un Comune come Casola Valsenio, ingessato da spese fisse per oltre l’80%, il Patto lo costringerà a trasformarsi in semplice esattore delle tasse e diventare automaticamente un cattivo pagatore. Le entrate proprie del Comune sono sempre più ridotte e non potranno mai coprire interamente le esigenze di spesa. Questo comporterà inevitabilmente ritardi nei pagamenti ai fornitori e le conseguenze saranno subite dalle imprese nostre fornitrici.
Tutto questo è drammatico se in più lo si pensa in questo difficile contesto economico. E’ comprensibile che l’Amministrazione centrale voglia mantenere il controllo dell’indebitamento degli Enti locali ma applicare il Patto ad un Comune con un giro di entrate inferiore ai 4 milioni di euro è veramente una assurdità oltre che una cosa ingestibile dal punto di vista tecnico-amministrativo.
Il tema dei piccoli comuni ultimamente è stato molto dibattuto a partire dall’obbligo
gestire in unione i servizi per chi ancora non lo aveva fatto.
Il nostro Comune, a partire dal 2013, con l’ingresso nel patto di stabilità e l’aggravante dell’IMU, porterà il proprio bilancio a soffrire sempre di più e rischiando di portare un colpo durissimo all’autonomia del Comune.
Abbiamo denunciato questo pericolo con l’odg recentemente votato dal Consiglio comunale e rinnoviamo al Governo e alle forze parlamentari la richiesta di escludere i Comuni come il nostro dal Patto di stabilità.
(da "IL PONTE" n.12/12)
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