Bersani a l'Unità: "Il PD non insegue né il terzo polo né Vendola. Correggere le primarie per salvaguardarle e non snaturarle". Proporremo una piattaforma di temi programmatici: misure per la crescita e il lavoro, legge elettorale, informazione, giustizia, fisco, legalità, costi della politica
Pier Luigi Bersani è lapidario: «Chi parla di inseguimenti di Casini contro Vendola e di altri simili arzigogoli politicisti semplicemente non ha capito un tubo». Eppure è stato proprio questo, assieme al tema del "rivedere le primarie", ad aver suscitato le reazioni più aspre all'intervista al segretario del Pd apparsa ieri su Repubblica. Così Bersani, 24 ore dopo, torna sulla questione.
E lo fa a partire dal presupposto dell'intero ragionamento: la fase politica che il paese sta vivendo, le preoccupazioni per la stessa tenuta democratica, il tramonto avvelenato del berlusconismo. «Si tratta di mettersi d'accordo - dice - su come valutiamo quanto accade. Incontro gente sempre più spaventata che grida: bisogna salvare questo paese.
«Mai in passato, nemmeno nel 1992, avevo assistito a un distacco tanto drammatico tra politica e società. Penso al silenzio rabbioso di un milione e 700.000 tra cassintegrati e nuovi disoccupati: tre-quattro milioni di persone, considerando le famiglie. Penso agli studenti che sfilano con cartelli dove si legge: "Non ci fidiamo dello Stato, nessuno ci rappresenta", penso ai ricercatori sui tetti e a Berlusconi che, mentre succede tutto questo, cerca di sopravvivere acquistando qualche deputato... Ecco, dobbiamo affrontare questo. Ma come? Vogliamo chiudere i conti col berlusconismo e con questa democrazia plebiscitaria e populista o sostituire il berlusconismo con qualcosa che magari gli somiglia?»
«Mai in passato, nemmeno nel 1992, avevo assistito a un distacco tanto drammatico tra politica e società. Penso al silenzio rabbioso di un milione e 700.000 tra cassintegrati e nuovi disoccupati: tre-quattro milioni di persone, considerando le famiglie. Penso agli studenti che sfilano con cartelli dove si legge: "Non ci fidiamo dello Stato, nessuno ci rappresenta", penso ai ricercatori sui tetti e a Berlusconi che, mentre succede tutto questo, cerca di sopravvivere acquistando qualche deputato... Ecco, dobbiamo affrontare questo. Ma come? Vogliamo chiudere i conti col berlusconismo e con questa democrazia plebiscitaria e populista o sostituire il berlusconismo con qualcosa che magari gli somiglia?»
Per il segretario del PD, in definitiva, si tratta di mettersi d'accordo su due punti: prima di tutto il giudizio sulla gravità e l'eccezionalità della fase politica e poi sul metodo. Quello proposto consiste nell'elaborare una piattaforma di temi programmatici: riforma elettorale e istituzionale, informazione, giustizia, fisco, legalità, costi della politica. Una «riforma repubblicana e un'alleanza per la crescita e il lavoro» da sottoporre a tutte le forze dell'opposizione: Vendola, Di Pietro, terzo polo. E poi al Paese e ai cittadini, e cioè ai sindacati, agli imprenditori, alle associazioni. Poi chi ci sta ci sta. E sarà là - in questo "starci" o "non starci" - che si potrà misurare la corrispondenza tra la denuncia del berlusconismo come malattia della democrazia e l'effettiva volontà di batterlo. Bersani avverte come «contraddittorio» l'atteggiamento di chi, mentre denuncia con i toni più accesi i pericoli del berlusconismo, si mostra quasi schizzinoso davanti alla necessità di realizzare una coalizione più ampia possibile per sconfiggerlo. Qua il discorso diventa prepolitico, di puro buon senso. Perché la legge elettorale dà poche alternative: affrontare eventuali elezioni anticipate in ordine sparso espone l'opposizione al rischio di una sconfitta micidiale. Ed è dunque puro buon senso fare una proposta molto larga sulla base di un programma essenziale e rigoroso e verificare chi è disposto «ad assumersi le sue responsabilità».
Cosa che imporrà a ciascuno degli attori la ricerca dei punti di convergenza sulle questioni più urgenti. E sarà il momento, per ciascuno, «d'essere generoso»: «di pensare prima di tutto al Paese». E la "possibile rinuncia" alle primarie? «Nessuna rinuncia. Mi pare che si faccia molta confusione tra la questione delle primarie dell'eventuale coalizione e quella delle primarie come strumento di democrazia interna del Pd. Quanto al primo aspetto, lo statuto dà già la risposta e indica una sequenza logica: c'è un programma su cui si forma una coalizione e poi è la coalizione a decidere sulla primarie. Non è che i partiti della coalizione accettano preliminarmente le primarie. Accettano il programma, com'è logico che sia. Poi c'è - ben distinta - la questione di come il PD in quanto tale affronta il tema delle primarie nelle diverse situazioni amministrative. Anche là si pone un problema che riguarda la coalizione e che, se mal gestito, anziché aprire le porte alla società civile e alle altre forze politiche, le chiude. Inoltre, sempre se mal interpretate, le primarie rischiano di provocare divisioni interne al Pd che non sono utili a nessuno. Ci sono cose da correggere proprio per salvaguardare le primarie e non snaturarle. Ma, ripeto, questo è un tema che riguarda il Pd. L'emergenza politica invece riguarda tutti: le forze del centrosinistra e le forze del centro che si sono collocate all'opposizione, le forze sociali. Noi ci rivolgiamo a tutte queste forze, poi ciascuna valuterà. Quanto al Pd, ci tengo a dirlo, siamo troppo grossi per avvertire come un problema chi ci tira di più per la giacca. Come ho cercato di dire nella manifestazione di piazza San Giovanni, dobbiamo prenderci le nostre responsabilità ed essere noi a indicare la strada. La situazione, lo ripeto, è davvero straordinaria ed eccezionale».
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