La Festa di San Martino in Romagna
Beppe Sangiorgi
(Il Senio, novembre 1985 – n. 24)
In Romagna, la sera del 10 novembre, vigilia di San Martino, era usanza ‘festeggiare’ i becchi, vale a dire i mariti le cui mogli avevano altri amori. Un drappello di buontemponi, armati di corni e campanacci, percorreva i vicoli male illuminati dei borghi in una singolare via crucis, preceduta da un alfiere che inalberava una zucca vuota e intagliata a mo’ di faccia, con i fori sinistramente illuminati da una candela. Con la circospezione dei congiurati (ma a volte anche a viso aperto) si portavano quatti quatti sotto le finestre dei cornuti e, schiamazzando, li chiamavano a gran voce. “Fóra i becch, fóra i becch” (fuori i cornuti, fuori i cornuti). L’appello era teso a raggruppare i partecipanti ad una corsa ideale nella quale i più dotati occupavano invariabilmente le piazze d’onore: “Becch, arzibecch e becch arbattù”.
Secondo lo studioso Paolo Toschi, l’antichissima costumanza va ricondotta nel complesso dei riti agresti che accompagnavano l’inizio del ciclo invernale che cade, appunto, l’11 novembre. Uno dei principi ai quali si ispirava l’inzio del ciclo annuale o stagionale era l’eliminazione dei mali che avevano colpito la collettività. Tra le forme più comuni di rimozione del male era la denuncia delle infrazioni alla legge morale e alla convivenza sociale di cui si erano macchiati i componenti della comunità: tra queste le infedeltà coniugali, capaci di sovvertire l’ordinato sviluppo della vita associata.
A dire il vero, la denuncia, più che la moglie infedele, colpiva il povero marito ingannato, che quasi sempre reagiva in malo modo, perché il romagnolo mal tollerava (e tollera) il ruolo di becco. Non perché fosse stata tradita la fiducia riposta nella moglie, ma perché il suo comportamento fedifrago annientava socialmente e moralmente la figura del marito. Il tradimento appariva tanto più grave ed intollerabile per quanto una volta la donna era considerata inferiore all’uomo.
La vecchia costumanza di San Martino oggi non è più praticata: non perché manchino i motivi, bensì per una positiva e inarrestabile evoluzione del costume. Tuttavia il modo di pensare spesso stenta a tenere il passo del progresso così che, malgrado i pungolamenti femministi, la vecchia mentalità ancora sopravvive in qualche isola paesana. E lì, quando il vino ha sciolto la lingua e allentato i freni inibitori, capita di assistere ancora ad accalorate discussioni inframmezzate da sibilanti: “Côsa vôt savé te che t’si becch!” (Cosa vuoi sapere tu che sei cornuto!).