domenica 30 novembre 2014

NOTE CASOLANE - 22 settembre 1944 – 10 aprile 1945 Cinque mesi sotto i bombardamenti

Da sinistra, Gildo Tagliaferri e il Dott. Rino Cenni, nell'ospedale Bottonelli
(PRIMA PARTE - dal 22 settembre al 30 novembre 1944)

I mesi dell’autunno e dell’inverno 1944 furono i mesi durante i quali la vallata e Casola Valsenio furono investiti dalla furia della guerra, dai dolori, dai patimenti e dalle tragedie che essa portò con sé.
Il fronte si fermò lungo la linea dei Gessi per alcuni mesi e fu proprio in questi luoghi che si risolsero le sorti della guerra. Per rievocare quegli avvenimenti proponiamo ai lettori del blog la straordinaria testimonianza di un “non combattente”, di un uomo di medicina, che più di altri conobbe e visse le sofferenze delle nostre popolazioni: il Dott. Gaspare Cenni, Rino come tutti lo chiamavano.
I brani che pubblichiamo sono tratti dal “Diario di condotta” che il Dott. Rino pubblicò nel 1965.
(...)


22 SETTEMBRE 1944
Di notte colpi di granata giungono a Casaimone di S. Rufillo. Nel pomeriggio un aereo mitraglia la strada vicino alla Peschiera ed alcune bombe vengono sganciate nelle vicinanze della frazione Coccio.
Il Commissario prefettizio e tutto il Comando del Presidio delle Brigate Nere, abbandona, notte tempo, Casola. Ciò indica che il fronte è ormai alle porte delle nostre case.

23 SETTEMBRE 1944
Sul mezzogiorno cadono le prime granate in prossimità del capoluogo.

25 SETTEMBRE 1944
Ultima giornata che faccio l’ambulatorio. La popolazione del paese è in buona parte già sfollata ai monti. Comune, banche e negozi sono tutti chiusi. Passiamo giorno e notte nel rifugio perché il continuo fuoco delle artiglierie rende ogni movimento pericolosissimo.

26 SETTEMBRE 1944
Le artiglierie intensificano il bombardamento di Casola, granate cadono ovunque e lungo la via provinciale e lungo il fiume Senio. Aerei sganciano le prime bombe. Si hanno i primi morti: un’intera famiglia è stata distrutta: marito, moglie e due bambini. Recatomi nel tentativo di portare qualche soccorso, col mio infermiere andiamo a vedere. Purtroppo non c’era più niente da fare.
Un sasso divelto da uno scoppio di granata, mi colpisce a una spalla, senza grave conseguenza. In un intervallo del fuoco, correndo, raggiungo il rifugio. Il paese è irriconoscibile: le strade sono già ricolme di macerie e un denso fumo, con un acuto odore di polvere bruciata, rende l’aria pesante ed irrespirabile. Passiamo il resto del giorno e della notte nel rifugio mentre il bombardamento continua incessante.

27 SETTEMBRE 1944

Il cannoneggiamento aumenta ancora di intensità. Innumerevoli granate cadono sul paese, sui dintorni, lungo le strade e sul fiume Senio.
Tutto il giorno e tutta la notte nel rifugio; uscire sarebbe come esporsi a morte certa!

28 SETTEMBRE 1944
Dopo una notte insonne, pigiati nel rifugio come sardine, storditi dalla scoppio continuo delle granate, l’alba che sorge ci trova tutti smunti, pallidi, con la stanchezza impressa nei nostri volti. Ognuno dice le proprie impressioni, si discute, si fanno previsioni su che ci aspetta e si prega; molto si prega. Il pericolo tutti ci affratella nella preghiera. Sulle 10 avvertiamo il rombo degli aerei che si avvicinano. Dopo poco li vediamo sbucare al disopra di Meleta, il monte che si trova in faccia al nostro rifugio. In meno che non si dica, si abbassano in picchiata su Casola e sganciano. Vedo benissimo le bombe che, con sibilo acuto, sembrano venirci addosso. Poi gli schianti paurosi degli scoppi. Una di esse cade a una decina di metri dal nostro rifugio. La volta scricchiola sinistramente; stiamo tutti trattenendo il fiato, col cuore in gola. Se la bomba fosse scoppiata sul rifugio non avremmo resistito e saremmo rimasti tutti sepolti sotto di essa! Nessuno parla. Tutti temiamo che gli apparecchi ritornino e sgancino ancora. Fortunatamente invece li sentiamo allontanarsi. Passato il pericolo mi rivolgo a mia moglie: - Se è destino che dobbiamo morire, io preferisco morire all’aria aperta, non schiacciato come un topo. - Anch’io – mi risponde – sono della tua stessa idea! Nel medesimo momento entrano nel rifugio, urlando, tre feriti, tutti anneriti di fumo e polvere. Fortunatamente hanno solo delle ferite superficiali e leggere. Li medico alla meglio e poi, presa la valigia con le cose più necessarie e che tenevamo sempre pronte, abbandoniamo il rifugio.
Scendiamo verso la Calgheria, attraversiamo il Senio, passando su un ponticello fatto con due putrelle di ferro e giungiamo a Ca’ di Canzola.
La casa è chiusa, i contadini sono già sfollati. Qui raggiungiamo un grosso di persone, che sfollano anch’esse. Tutto procede bene fino sotto i Ronchi, quando all’improvviso ci sorprende un nutrito fuoco di artiglieria. Ci gettiamo tutti a terra, riparandoci sulla spalla di terreno che costeggia la strada da noi percorsa. Il riparo è ottimo! Le granate ci passano sopra sibilanti e rabbiose, ma vanno tutte a cedere a un centinaio di metri da noi, nei campi sottostanti. Noi siamo al sicuro, trovandoci riparati in un angolo morto. Finito anche questo bombardamento, riprendiamo il nostro cammino.

Arriviamo così ai Ronchi. Appena entrati, vediamo la casa piena di persone, tutte fuggite dal paese in cerca di qualche angolo più sicuro. Ci sono pure tre persone che si sono ferite nel percorrere la strada che pure noi avevamo percorso. Mi fermo a medicarle. La più grave è una certa Linda Menotti, che ha un avambraccio maciullato e ciondolante, trattenuto da un lembo cutaneo muscolare. Chiedo un paio di forbici alla padrona di casa, per completare l’amputazione; ma, nel trambusto del momento, le forbici non si trovano e allora pratico un apparecchio di contenzione di fortuna. Fu una cosa provvidenziale, in quanto l’immobilizzazione fece sì che si formasse un callo osseo efficiente e la donna, nella sua disgrazia, ebbe la consolazione di avere il suo braccio. Se avessi trovato le forbici invece…
Medicati i feriti, riprendiamo il nostro cammino. Per un ripido sentiero serpeggiante in mezzo al bosco, giungiamo alla Casetta. I nostri contadini ci accolgono lietamente vedendoci che eravamo sani e salvi. Dalla Casetta proseguiamo verso i Dilatti.
E’ l’ultimo nostro podere, il più lontano dal paese. La nostra meta, che avevamo in preventivo, non era questa, ma dovevamo andare alla Palazzina di Pozzo dove ci stava la famiglia dei nostri conoscenti che ci avevano invitato. Ma i nostri contadini Pozzi Getullio e la moglie sua Monti Maria, ed i figli loro, ai quali tutti non siamo sempre stati affezionati in modo particolare e loro ci ricambiano con pari affetto, non vollero assolutamente lasciarci proseguire; ci tolsero le valige e vollero che stessimo lì con loro. E così facemmo! Di questo non abbiamo mai avuto di che pentircene, perché con loro ci siamo trovati benissimo.
Eravamo arrivati da pochi minuti, che vediamo giungere sull’aia una settantina di bambine dell’Istituto delle Suore di Santa Dorotea, con una decina di suore. Si fermarono tutte e stavano lì come in attesa, ma nessuno parlava. Sembravano smarrite, pallide e ansimanti. Anche loro avevano fatto tutto il tragitto da Casola fino ai Dilatti, sfidando il fuoco delle granate. A quello spettacolo inaspettato, guardai negli occhi Getullio, senza parlare. Si capiva bene che quelle creature chiedevano ospitalità, e senza avere il coraggio di domandarla. – Come facciamo? Chiesi a Getullio. Lui rimase un istante soprapensiero poi disse: . Le faccia fermare! Sgombreremo la stalla. Le bestie le mettiamo in cantina. E qui metteremo le bambine. Poi sgombrammo il capannone degli attrezzi e là mettemmo le suore.
Caro Getullio, non dimenticherò mai l’espressione di vera carità cristiana che in quel momento illuminava il vostro sguardo! Chiamai una suora e le dissi che avremmo preparato il posto per riceverle tutte: suore e bambine.
Ci mettemmo tutti all’opera. In poco tempo la stalla fu sgomberata, ripulita e ovattata da un bel strato di paglia; quello sarebbe stato il dormitorio delle bambine. Altrettanto fu fatto per il capannone che doveva ospitare le suore.
Sistemate così le bambine e le suore, alla mente mia e di Getullio, sorse il pensiero ed una preoccupazione logistica. Come avremmo ad alimentare tutta questa gente? Tanto più che c’erano gli altri sfollati e, compreso la famiglia di Getullio, mia moglie ed io, eravamo la bellezza di 170 persone! Facemmo un po’ di calcoli. Nel granaio c’erano 40 ql. di grano che, in previsione del peggio, non avevamo versato all’ammasso. Era davvero la manna di noi tutti. La Maria dichiarò di mettere generosamente a disposizione il suo pollame, poi c’erano i suini e il bestiame; di fame non saremmo morti. Inoltre avevamo una catasta di 60 ql. di pere, che avevamo venduto nei giorni precedenti ma che poi il compratore non poté ritirare, per il precipitare degli eventi e per il fuoco delle artiglierie. Fu una vera grazia anche quella, perché ne davamo una per una alle bambine per merenda ed anche quello fu un bel sollievo.
Poi nei campi l’uva era ormai matura e sugli alberi c’erano ancora delle mele! Avevamo fra noi, un omino, anziano, che chiamavamo il “Grillo”; ma se l’aspetto fisico prometteva poco, aveva in compenso un coraggio da leone. Anche sotto il tiro delle granate, se ne andava tranquillo con un mezzo quintale di grano sulle spalle, fino al mulino a farlo macinare, poi riportava su la farina. Bisogna pensare che Getullio, coadiuvato dalla moglie e da quella suora, faceva la bellezza di tre infornate di pane al giorno. E così tirammo avanti per oltre 5 mesi.
Di sera mi chiamano ad Artaiola, per una donna di parto. Il percorso è lungo e bisogna farlo tutto a piedi. Dall’inizio del passaggio del fronte, l’unico mezzo di comunicazione disponibile sono le gambe! Il parto si prolunga e passo là tutta la notte. Questa casa è piena zeppa di partigiani: ce ne sono dappertutto, in casa, nel fienile e nella stalla.

1 OTTOBRE 1944
Un intenso bombardamento di artiglieria colpisce il paese di Casola al mattino, seguito sul mezzogiorno dallo sganciamento di una decina di bombe d’aereo. Nella notte il tiro delle artiglierie, sospeso per alcune ore, riprende sul paese e lungo la via provinciale fino a Valsenio. I tedeschi hanno messo in postazione delle batterie nelle vicinanze dei poderi: Paradiso, Mingotta, Piramide, Prata e Mandria. Si può dire che hanno occupato, con le artiglierie, tutta la piana di Valsenio.

3 OTTOBRE 1944
Al mattino ho una visita urgente a Settefonti, dove si trovano adunati un numero abbastanza nutrito di persone. Piove a dirotto. Sul mezzogiorno ritorno a casa.
E’ notte profonda, quando sentiamo bussare alla porta. Chi sarà mai a quest’ora? Andiamo ad aprire e con grandissima sorpresa vediamo la Madre Superiora dell’Istituto di S. Dorotea con due suore. Le chiedemmo il motivo di questa sua visita inaspettata e a quell’ora. Ci disse che due negozi, in vicinanza dell’Istituto, erano in fiamme e per paura che il fuoco potesse arrivare fino all’Istituto, aveva pensato di portare in salvo il Santissimo! Infatti sotto il mantello aveva la pisside.
Il Santissimo fu portato nella nostra camera e noi avemmo la grande fortuna di averlo per una notte, con noi. L’atto della Madre Superiora fu veramente un atto eroico; sotto la pioggia, in una notte da lupi e col coprifuoco. Scoperte, avrebbero potuto benissimo essere fucilate dai tedeschi!
Nella camera che accolse il Santissimo abbiamo fatto porre una lapide ricordo, che dice così, sotto all’immagine del Sacro Cuore:
“Nella notte del 3 ottobre 1944 questa divenne casa di Dio.
I coniugi Gaspare ed Emilia Cenni a memoria posero”.

5 OTTOBRE 1944
Piove sempre forte. La giornata decorre abbastanza calma,
Ho diverse chiamate e faccio diverse visite.
Nella serata, durante un nuovo bombardamento della piana di Valsenio, viene colpito un deposito di munizioni che salta in aria con immenso fragore.

8 OTTOBRE 1944
Da alcuni giorni continua intenso il fuoco delle opposte artiglierie.

10 OTTOBRE 1944

Le batterie tedesche della piana di Valsenio aprono tutte il fuoco contro M. Battaglia. Il vecchio castello di Caterina Sforza viene tutto demolito. Fra il nuvolo delle granate che scoppiano, si vede il “torrione” che resta fermo e solido al suo posto, sebbene crivellato da un numero enorme di colpi. E lo resterà fino alla fine del passaggio del fronte. “Sta come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar di venti”. E’ un tema che mi diedero da svolgere in Liceo e mi viene ora alla memoria per correlazione di pensiero. Ma il vento che soffiava a M. Battaglia era ben violento!

11 OTTOBRE 1944
Le batterie inglesi ricominciano a bombardare Casola, la strada provinciale e a controbattere le batterie tedesche.
Nel pomeriggio vengo chiamato per una visita urgente al Monte di S. Andrea.
E’ una lunga camminata di parecchi km. e piove a dirotto. La casa dove debbo andare è ricolma di tedeschi e vi sono pure parecchi sfollati. Eseguita la mia visita me ne ritorno verso i Dilatti. Giunto in prossimità di Fioridola, una vedetta tedesca ha la bella idea di spararmi due colpi di moschetto! Sento le pallottole sibilare sopra la mia testa, mi getto a terra e mi trascino verso un rio che ho a pochi metri di distanza, mi caccio dentro e lo percorro tutto fino in fondo; ne esco solo quando sono certo di essere fuori tiro. Non mi so rendere conto, nemmeno oggi, del motivo di quella “sparata” tanto più che ero uscito da una casa che ospitava truppe tedesche.

12 OTTOBRE 1944
Le batterie inglesi battono con violenza tutta la piana di Valsenio.

14 OTTOBRE 1944
Giornata abbastanza calma: rari colpi di artiglieria, da ambo le parti. Continuo ad essere chiamato da una parte e dall’altra, ma mi si presenta un curioso problema da risolvere. L’unico paio di scarpe che ho rimasto, le ho ai piedi e per il continuo camminare, sempre nel fango, vanno riducendosi a brandelli: non so proprio come fare!

15 OTTOBRE 1944

E’ Domenica. Don Mino Martelli è venuto sfollato a Laguna, un podere che confina coi Dilatti. Ha costruito un altare di fortuna e dice la Messa. Vi partecipo.

18 OTTOBRE 1944

Fino ad oggi, al di qua del fiume Senio, delle granate ne erano arrivate pochissime, ma da oggi si sono ricordati anche di noi! Ho una chiamata a Renzuno Spada, podere distante dai Dilatti circa un km. Mentre mi trovo nello stradone che porta a Renzuno Bianco, una scarica di granate giunge in pieno su questa strada. C’è un fosso che la fiancheggia e mi ci caccio dentro in un baleno; non mi par vero! Le granate scoppiano dintorno e lungo tutta la strada.
Osservo un tiglio che, preso in pieno, è sradicato e lanciato lontano. Mi passano vicino due tedeschi che corrono a perdifiato, forse per raggiungere l’abitato di Renzuno. Giunti ad un duecento metri da me, una granata scoppia alle loro spalle. Vengono avvolti da una densa nube di fumo. Penso tra me: poveracci, quelli non l’hanno scampata! Invece, diradato il fumo, li vedo che ancora corrono, a fianco a fianco, come due leprotti.
Dopo un bombardamento di circa un quarto d’ora, (come sono lunghi i minuti in quei momenti!) il tiro viene sospeso; non si sente più un colpo. Allora ne approfitto per uscire dal mio improvvisato rifugio.
Corro più che posso verso la casa più vicina che è quella di Renzuno di Sopra; sto per arrivarci, che il bombardamento ricomincia. Aumento la mia velocità ed infilo il primo uscio che mi si para davanti: è quello di un pollaio! Il locale è pieno zeppo di tedeschi. A vedermi arrivare come un bolide mi ridono dietro ed in coro mi dicono: - Italiano molta paura. Ed io di rimando – E voialtri allora cosa fate qui dentro?
Cessata anche questa sfuriata di granate, mi avvio, sempre di corsa, per paura che la musica ricominciasse ed arrivo finalmente alla casa dove c’era quell’ammalato che mi aspettava. Faccio la mia visita e via di corsa verso i Dilatti. La strada era tutta bucherellata di crateri freschi di scoppi di granate e questo mi metteva le ali ai piedi. Mi ricordo benissimo che guardai l’orologio: partii alle 15 precise ed arrivai ai Dilatti in tre minuti. Un tempo da record, avendo percorso un buon chilometro. “Gamba mia non è vergogna fuggir quando bisogna!”.
Quando arrivai ai Dilatti tutti restano meravigliati, perché sapendo dove ero andato, avevano assistito al bombardamento della strada che io stavo percorrendo e credevano che non ce l’avessi fatta. Invece, grazie allo schiacciarmi dentro al fosso, non solo ce l’avevo fatta, ma avevo anche eseguito la visita all’ammalato, che mi aspettava. Certo non pensava che per lui quasi quasi ce la lasciavo… Ad ogni modo è bene ciò che finisce bene!

19 OTTOBRE 1944
Nella notte, mentre piove a dirotto, si ode un forte attacco verso monte Cece. Durante tutto il giorno continua il fuoco delle opposte artiglierie.
Sotto il capannone Don Mino ha allestito, con l’aiuto dei contadini, un altare e viene a celebrare la Messa ai Dilatti. Vi assistiamo tutti.

20 OTTOBRE 1944

Mi reco in pase a visitare degli ammalati ed a curare dei feriti, che si trovano rifugiati nelle cantine.
Al ritorno, siccome le artiglierie battono insistentemente la via provinciale e la strada della Storta e che va al ponte sul Senio, strada che avrei dovuto percorrere, penso di passare dalla Calgheria. Ma giunto al fiume, vedo che la passerella che lo attraversava (quella che percorremmo la mattina dello sfollamento da Casola) non c’è più. Il guaio è che nel fiume c’è una piena di circa 80 cm. Allora non ho altra scelta che togliermi le scarpe, i pantaloni ed attraversare a guado il fiume.
Quando sono nel bel mezzo di esso, l’acqua mi arriva alla cintola e me la vedo di dovermi gettare a nuoto; senonché, avendo accorciato il tiro, le granate dalla strada del Vignozzo, incominciano a cadere contro la rupe del Senio. Le schegge cadono nell’acqua a me dintorno, schizzando in essa con sibilo acuto. Questo fatto mi dà nuova lena e riesco a passare il fiume cosi, senza gettarmi. Appena fuori dall’acqua, via di corsa coi miei panni aggruppati in mano e gocciolanti di acqua. Per sentirmi più tranquillo vado a vestirmi in mezzo al bosco di Ca’ di Canzola. Poi così, mi avvio verso i Dilatti, bagnato ma tranquillo, perché le artiglierie non sparano più.

22 OTTOBRE 1944
Giornata calma, piove forte. Nel pomeriggio sono chiamato a Casola a visitare la sorella dell’Arc. Don Peppi Adamo. E’ stata colpita da una granata all’addome. Per le sue condizioni generali e locali buone, deduco che la scheggia non sia penetrata in cavità.
Infatti il decorso fu regolare e la scheggia fu poi estratta dopo, conficcata nel muscolo pararettale di destra senza aver leso il peritoneo. Visito ancora diversi ammalati nelle varie cantina di diverse case, poi al ritorno passo per la via Comunale perché oggi le batterie sono silenti. Arrivo a casa con le scarpe quasi a brandelli. Getullio me ne presta un paio delle sue!
I tedeschi sembrano a corto di uomini e di mezzi, tanto che fanno la caccia ai civili idonei al lavoro, per servirsene. Cercano i contadini coi barocci per trasportare le munizioni da una parte e dall’altra. Ma i civili hanno poca voglia di prestarsi al gioco. Si nascondono, come meglio possono, all’arrivo dei tedeschi, ma alle volte vengono scoperti ed allora sono obbligati a fare quello che vogliono loro; alle volte sono stati presi per spie o partigiani e passati per le armi. Ora scappano gli uomini; quando, partiti i tedeschi, arriveranno, con gli alleati, i negri e gli indiani, sarà la volta delle donne che dovranno scappare!
Un giorno un aereo lancia degli srapnels, poco distante dai Dilatti. I proiettili scoppiano in aria e lasciano cadere una grande quantità di foglietti. Ne raccogliamo alcuni. Sono scritti in inglese. Nessuno di noi conosce questa lingua, però con un po’ di buona volontà riusciamo lo stesso a capire il senso. Essi all’incirca dicevano così: “Italiani ribellatevi ai tedeschi e chiedete la pace”. Tutti agognavamo la pace, ma cosa potevamo fare per essa? Eravamo tutti tanto provati da sciagure, privazioni e disagi ed eravamo esclusivamente impegnati, ognuno per conto suo, a risolvere il già tanto difficile problema della sopravvivenza.

25 OTTOBRE 1944
Le artiglierie inglesi riprendono a battere con violenza Casola, la via provinciale e la piana di Valsenio.
Nel pomeriggio parecchie granate cadono dalla nostra parte: alla Canovetta, Castagno e Salde.
Le artiglierie tedesche invece hanno diminuito di molto la loro attività.
Da questa notte lasciamo la casa dei Dilatti ed andiamo a dormire nel capannone con le Suore ritenendoci in quel luogo più sicuri.

31 OTTOBRE 1944
Il tempo è sempre orribile: piove continuamente! Quando vado a far delle visite, non passo più per le strade, che sono impraticabili, ma preferisco girare in mezzo ai campi.
Una scheggia di granata uccide oggi un contadino di Laguna. Poveretto, era uscito un momento all’aperto per procurarsi un po’ di legna da ardere.
Vado a Rivalta dove un altro contadino è stato colpito da una granata; ma quando arrivo sul posto è già morto!
Non ho ancora ricordato, in questi miei pensieri, il cane di Getullio: Floch. Un magnifico Setter Lawer, che mi era tanto affezionato e che sempre mi accompagnava nelle mie pericolose peregrinazioni giornaliere. E quando eravamo sorpresi da un tiro di artiglieria si accovacciava a terra tutto tremante vicino a me. Quando mangiavo mi metteva la testa su di una coscia e restava così fino a quando non avessi finito.
Se entravo in una casa per una visita, si accovacciava vicino all’uscio e mi aspettava al ritorno. Se mi sentiva da lontano, allora correva sulla strada che dovevo percorrere e si schiacciava a terra. Io venivo avanti fingendo di non vederlo, ma quando l’avevo appena oltrepassato, si alzava in piedi e mi saltava sul petto, quasi ad abbracciarmi ed emetteva gemiti di contentezza!
Povero Floch! Quale triste fine doveva poi incontrare! Passò il fronte senza che venisse colpito mai; ma dopo, siccome era un ottimo cane da caccia, fu avvelenato, senza dubbio da qualche cacciatore geloso.

* * *
Quando mi trovavo un po’ di tempo libero, mi recavo dai contadini della Canovetta e, da lontano, poiché l’avvicinarsi era impossibile, osservavo come veniva conciata la nostra casa. Le finestre ormai non esistevano più perché gli infissi erano stati bruciati.
Un giorno Ettore, il figlio più grande del contadino, mi dice: - I tedeschi sono andati via tutti in perlustrazione. Vogliamo andare a vedere in casa? – E se tornassero? – No, fino a questa sera non tornano più. Me lo ha detto quello che viene spesso in casa nostra.
Ed allora facemmo, ripensandoci oggi, proprio una ragazzata che, se ci avessero visti, ci poteva costare la vita!
Entrammo in casa. Povera casa, in che stato era ridotta! Pianciti divelti, il piancito della cucina sfondato ed attraverso questa breccia, i tedeschi erano entrati nella cantina sottostante ed avevano fatto man bassa di tutte le bottiglie del vino. L’entrata della casa era adibita a macello delle bestie bovine, perché c’erano ancora dei residui di tali bestie sul piancito.
Entrammo nella sala. Era ricolma di fucili e cartucce. Poi vedemmo che c’erano dei sacchetti di caramelle. Era da tempo che non ne gustavo più e ne portammo via uno. Quando vidi i fucili, pensai che era meglio andarsene subito, perché se ci avessero sorpresi, certamente avrebbero pensato che fossimo entrati per rubare le armi. Ed allora addio “pelliccia”. Non ce l’avrebbero certo perdonata. Così ce ne andammo subito. I tedeschi ritornarono poi la sera.

26 NOVEMBRE 1944
Nel pomeriggio i tedeschi abbandonano la nostra casa della Canovetta. E’ notte profonda quando ascoltiamo, sulla via Provinciale, un rumore insolito e sempre crescente. Abbiamo l’impressione che si inizi una ritirata generale delle truppe tedesche. Rumori metallici di carri cingolati, scalpitio di cavalli e rullio di motori di macchine. Questo esodo in massa continua per tutta la notte e finisce verso l’alba. Mi meraviglio moltissimo che gli anglo-americani non si siano accorti di nulla, tanto è vero che non hanno sparato nessun colpo e la notte è passata calmissima.

I GUASTATORI TEDESCHI FANNO SALTARE I PONTI


Sono circa le tre del mattino quando degli scoppi, di notevole violenza, fanno tremare la nostra casa. Incuriositi per quello che può succedere, andiamo alla Casetta appena le prime luci dell’alba rischiarano le tenebre. Dalla Casetta si può vedere tutta Casola e buona parte del fiume Senio. Vediamo che il ponte della Soglia è già saltato (pochi giorni prima l’avevo passato andando a far una visita a Pagnano e avevo visto che era già tutto minato).
Pure sono già saltati il grande Palazzo del Comune ed il ponte d’Arsella con un buon tratto di strada. E’ questa la prova che i tedeschi si ritirano definitivamente.
Siamo appena ritornati ai Dilatti, che vediamo due tedeschi che da Valsenio, in bicicletta, si dirigono verso il ponte del Cardello. A circa duecento metri da questo, scendono dalle biciclette e procedono a piedi. Abbiamo l’impressione che siano due guastatori incaricati di far saltare anche quel ponte. Infatti giunti a poca distanza, si chinano, certo per accendere la miccia. Fatto questo, si alzano e via di gran corsa per nascondersi poi nel fosso e così ripararsi.
Passano pochi minuti che l’esplosione violenta rompe l’aria. Osserviamo che un’enorme colonna di fumo nasconde tutto. Appena dileguatasi, vediamo che il ponte del Cardello non esiste più! I due tedeschi si rialzano dal fosso e vanno ad osservare l’esito della loro triste opera, poi ritornano sui loro passi, rimontano sulle biciclette e se ne vanno.
Poco tempo dopo, un’altra violenta esplosione giunge fino a noi: è la volta del grande e magnifico ponte dei Monteroni, che i tedeschi hanno fatto saltare.
Il resto della giornata passa calmissimo, quando all’improvviso sulle 21, incomincia un bombardamento delle artiglierie inglesi sulla piana di Valsenio e dalla nostra parte. Fortunatamente il bombardamento è di breve durata. I tedeschi hanno abbandonato tutto il territorio del Comune di Casola Valsenio.

27 NOVEMBRE 1944

Le batterie inglesi battono ancora la piana di Valsenio e parecchie granate cadono ancora dalla nostra parte. Sembra che gli anglo-americani non si siano ancora resi conto che i tedeschi se ne sono andati. Ma in verità è la loro tattica, cioè di fare il vuoto davanti a loro, prima di avanzare. Per loro il fattore tempo non esiste o in ogni caso è secondario rispetto alle vite umane.

28 NOVEMBRE 1944
Alcuni animosi di Casola, si recano verso le linee alleate per assicurare che il territorio di Casola è libero dai tedeschi.

29 NOVEMBRE 1944
Un capitano e due tenenti inglesi entrano in Casola con alcuni soldati indiani che, con circospezione, frugano ogni angolo del paese, nel dubbio ci possano essere ancora dei tedeschi nascosti in qualche luogo.

30 NOVEMBRE 1944
Un’altra amara delusione dovevamo provare oggi!
Quando i tedeschi se ne andarono, speravamo che se ne fossero andati molto lontani, invece impariamo che si sono fermati sulla parte nord della catena dei Gessi; in mezzo c’è il Senio e nella catena sud si sono fermate le truppe alleate. Così li abbiamo a poca distanza e siamo sotto il tiro delle loro artiglierie! Ed a conferma di questo, nel pomeriggio, arriva improvvisa nel paese una scarica delle loro granate in pieno centro. E’ stato un vero miracolo che ci siano stati solo tre feriti, perché tutti erano usciti dai rifugi, con quel senso di euforia e di sicurezza che aveva messo in tutti la ritirata dei tedeschi! E ognuno sente il bisogno di respirare un poco di aria pura. Raccogliamo i feriti! Sono i primi di una lunga serie di civili che saranno uccisi o feriti dalle granate tedesche o dallo scoppio delle loro mine che, prima di partire, hanno insidiosamente nascosto un po’ dovunque e, alle volte, negli angoli più impensati.

(FINE PRIMA PARTE)

Il ponte di Baffadi

Le macerie del grande palazzo del Municipio

Quel che resta del ponte dei Monteroni

Un soldato inglese osserva la valle dalla strada di Arsella

Monte Battaglia dopo il passaggio del fronte

Gildo Tagliaferri, l'infermiere del dott. Rino Cenni

Il dott. Rino Cenni (a destra) davanti all'ospedale Bottonelli

Il ponte del Cantone

Il ponte della Soglia

La strada di Arsella minata

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