sabato 7 ottobre 2017

10anniPD / Un partito necessario ma ancora incompiuto

Molte sfide, molti difficili appuntamenti, in Italia e in Europa, sono di fronte al PD

Claudia Mancina (Democratica, 6 ottobre 2017)

A distanza di dieci anni dalla sua nascita, il PD appare contemporaneamente un partito necessario e un partito incompiuto. Necessario perché porta avanti, sia pure con lentezze, esitazioni e contraddizioni, una elaborazione delle tradizionali posizioni della sinistra, richiesta da un mondo che è cambiato e continua a cambiare; ma anche perché, in un quadro politico ormai da anni in smottamento, è l’unico partito che conserva una qualche parvenza di stabilità, l’unico dotato di statuto, procedure, regole democratiche.
Tuttavia incompiuto, perché l’operazione iniziata dieci anni fa, a suo modo audace, se si pensa alla immobilità del sistema dei partiti precedente, rotta soltanto dalla crisi politico-giudiziaria del 1992-93, è stata fin dall’inizio monca. Il PD era l’evoluzione fisiologica e la proiezione partitica dell’esperienza dell’Ulivo, fondato nel 1995 e consolidatosi nelle elezioni del 1996. Nasceva quindi con un ritardo di più di dieci anni; un ritardo dovuto ad opposizioni e resistenze non tanto sotterranee, destinate a pesare per tutta la sua vita successiva.

Resistenze che in alcune circostanze – come in quel 2007 – ci si illuse di aver superato, ma che periodicamente sono riemerse, provocando le dimissioni di Veltroni nel 2008, il ritorno indietro della segreteria Bersani, e infine il virulento attacco al segretario Renzi, culminato pochi mesi fa nella scissione.
Queste resistenze sono state e sono certamente legate a ambizioni e rivalità personali; ma sarebbe un errore ridurle a questo. Alla base ci sono diversi orientamenti di cultura politica, relativi sia alle politiche di governo sia alla forma-partito. Prima Veltroni e poi Renzi hanno tentato, con alterno successo, di aggiornare e rivedere le culture politiche delle due principali tradizioni confluite nel partito, quella ex-comunista e quella ex-democristiana. A differenza di Natale e Fasano, autori di un interessante bilancio della breve storia del PD (L’ultimo partito, Torino, Giappichelli, 2017), non credo affatto che le difficoltà e le incertezze incontrate fino ad ora siano da attribuire a questa fusione. Credo invece che entrambe quelle tradizioni fossero deboli, vecchie, gravate da contraddizioni, e in conclusione poco riformiste. Entrambe, per la loro parte maggioritaria, accettarono la prospettiva della nuova forza politica più per necessità che per una vera scelta. E si industriarono a portare nella nuova botte il vino vecchio. Due esempi a caso: dopo dieci anni il Pd non è ancora riuscito a elaborare una linea coerente sulla giustizia o sulla scuola, due temi sensibili nella storia del centro democratico così come in quella della sinistra riformista.
Per non parlare del lavoro: la riforma di Renzi è ancora sentita (nonostante i buoni risultati concreti) da gran parte del corpo politico del PD come un errore, anzi un tradimento, da revocare appena possibile. La mancanza di una elaborazione culturale nuova per un nuovo partito ha condotto alle oscillazioni e contraddizioni di cui siamo testimoni ogni giorno. Il PD non ha ancora una cultura politica comune, che possa riconoscere come propria: su questo Natale e Fasano hanno senz’altro ragione. Allo stesso modo, il PD non ha un’idea univoca, o perlomeno maggioritaria, sulla forma-partito, in particolare sul ruolo del leader. Anche qui, non si tratta solo di antagonismi personali; si tratta di una divaricazione culturale di fondo tra chi ha in mente i vecchi partiti di massa del novecento e chi sta dentro alla società contemporanea, nella quale la personalizzazione è ormai un fatto acquisito e inevitabile ben prima e ben più largamente che nella politica.
La personalizzazione – o leaderismo – c’è e non l’ha certo inventata Berlusconi; l’ha prodotta la televisione cinquant’anni fa (si può simbolicamente far risalire al duello televisivo tra Kennedy e Nixon) e non si può revocare. Piuttosto varrebbe la pena di esercitarsi a pensare come può essere interpretata in senso democratico. Le primarie sono un esempio di questo. Potrebbero esserci altri modi? Lo chiediamo ai nemici del leaderismo. Molte sfide, molti difficili appuntamenti, in Italia e in Europa, sono di fronte al PD. Se il partito sarà in grado di affrontarle con successo dipende in gran parte dalla sua capacità di svecchiare e rinnovare la sua cultura politica, andando oltre i miseri contrasti e le sterili polemiche a cui si cerca di inchiodarlo.

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