Beppe Vacca (Democratica, 9 ottobre 2017)
L’esercizio individuale della sovranità popolare che i cittadini italiani hanno conquistato nel dopoguerra chiede nuovamente di rispondere alla domanda: chi è il legislatore?
Il ritorno al proporzionale cambierà molte cose nella vita politica degli italiani. Nella Seconda Repubblica avevamo finito per mettere in scena una “democrazia delle facce”, quelle dei leader (o presunti tali) per cui i cittadini erano chiamati a votare.
Col proporzionale torna la “democrazia dei partiti” e il racconto della politica tende già a cambiare. Piaccia o no, questo ci chiede di elaborare l’identità del PD non solo in termini di programma di governo, ma anche di cultura politica diffusa, di capacità di influire sul senso comune per favorire una nuova “connessione sentimentale” fra la politica e gli italiani, e viceversa.
Tutto ciò richiede una capacità corale dei dirigenti, dei militanti e dei simpatizzanti di diffondere i significati della proposta politica promuovendo mobilitazioni civiche e proponendo proprie narrazioni sui problemi fondamentali della vita comune.
In altre parole, ci vorrà un PD abbastanza diverso da quello che si è formato in questi dieci anni, dotato di una “cultura dell’organizzazione” di cui ancora non disponiamo. Con la lucidità dell’intuizione fondativa e della proposta politica conseguente, il PD è divenuto un partito indispensabile per tenere l’Italia in connessione con l’Unione europea svolgendo un ruolo importante nell’elaborazione della sua agenda politica. Ma qui vorrei concentrarmi sulla percezione del PD da parte dei cittadini italiani.
È un problema di rappresentatività politica e ideale che Matteo Renzi ha sintetizzato in tre idee-forza: lavoro, casa, mamma.
La vitalità del PD dipende dal modo in cui leggiamo la crisi della democrazia e ne rigeneriamo la qualità. Provo a fare qualche esempio.
Lavoro vuol dire molte cose riguardanti l’azione di governo, ma la composizione demografica generata dalla “rivoluzione digitale” pone innanzitutto il problema della rappresentanza dei lavoratori. È un problema globale, non solo italiano. Ma come dare rappresentanza alle moltitudini dei senza-lavoro e dei lavoratori precari se non ripensiamo modo in cui operano le organizzazioni dei lavoratori e delle imprese rappresentative del lavoro formalmente certificato? È un grande problema che non possiamo addossare solo ai sindacati che a loro volta sono in crisi per molte ragioni, ma soprattutto per l’anacronismo delle loro compartimentazioni confederali e in taluni casi per l’inadeguatezza della loro stessa cultura.
Renzi ha detto poi mamma, evocando temi epocali originati dall’ingresso delle donne nella storia della libertà e da un’emergenza antropologica che riguarda ormai anche il modo di concepire la riproduzione del genere umano e le filiere sempre più mobili della bio-politica. Su questi temi sono in campo movimenti, esperienze e culture molto diversi e fra loro in conflitto. A mio avviso è necessario scegliere e fare maggiore chiarezza: ad esempio, cosa pensano le donne e gli uomini del PD del pronunciamento di Papa Francesco contro “l’utopia del neutro” e a favore di una nuova “alleanza dell’uomo e della donna chiamata a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società”? E come rispondono al suo auspicio di una “rinnovata cultura dell’identità e della differenza” elaborata in comune da donne e uomini, credenti e non credenti?
Non ho scelto a caso i temi cui ho accennato poiché sono fra i più sensibili per la definizione di una nuova qualità della democrazia. Le culture che avevano preparato e innervato in occidente i “trent’anni gloriosi” del lungo dopoguerra sono state smantellate nei decenni successivi e da quando è cominciata la “globalizzazione della democrazia” quello che vediamo è il diffondersi in grandi aree del mondo di una cultura dei diritti fondata su declinazioni sempre più arbitrarie dei desideri e delle pulsioni individuali, eccitati da una singolarizzazione spettrale del mondo della vita. Sono i problemi del nostro mondo, sempre più angosciato dal riaffacciarsi dell’equazione fra la politica e la guerra. Ma per affrontare il tema della qualità della democrazia in Italia non dobbiamo archiviare l’esperienza del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. L’europeizzazione dell’impalcatura politica delle nostre istituzioni è fallita più volte negli ultimi decenni. L’unica riforma costituzionale confermata da un referendum è stata quella del Titolo V, nel 2001, che ha aggravato la disarticolazione del paese. Tuttavia la mobilitazione per il referendum del 4 dicembre ha avuto per milioni di cittadini il valore di una costituente del popolo italiano. A quell’esperienza ci possiamo rifare per dare alla politica la funzione costituente che la situazione esige elaborando una nuova idea della democrazia.
Frantumati i corpi intermedi e le agenzie politiche e culturali che pareva avessero educato i cittadini alle responsabilità della democrazia, campeggia un’idea residuale del diritto di avere diritti. È difficile sottovalutarne la forza poiché quell’idea è sottesa da processi globali di inusitata potenza come la mercatizzazione della vita e la delegittimazione, quando non la distruzione, della sovranità politica. Essa quindi prescinde dalle categorie fondative del diritto moderno dando veste giuridica a rivendicazioni individuali o collettive senza assumere la responsabilità del loro impatto sul futuro delle comunità. Su queste basi non è possibile difendere e tanto meno riqualificare la democrazia, che affonda le sue radici nell’idea di sovranità popolare.
L’esercizio individuale della sovranità popolare che i cittadini italiani hanno conquistato nel dopoguerra chiede nuovamente di rispondere alla domanda: chi è il legislatore? Che si tratti del legislatore in senso tecnico (vale a dire i componenti delle assemblee elettive legittimate a legiferare) o del singolo cittadino, torna prepotente la domanda fondamentale: può, il singolo, essere legittimato a decidere della cosa pubblica ignorando la catena delle connessioni che lo vincolano alla comunità nazionale, sovranazionale, e in definitiva al genere umano? So bene che una riforma intellettuale e morale di tali proporzioni non può essere messa solo sulle spalle dei partiti; ma l’impulso principale a promuoverla può venire, a mio avviso, innanzitutto dal PD.
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