domenica 28 aprile 2013

Spari davanti a Palazzo Chigi. Colpiti due carabinieri.

Sono le 11,20 quando nel breve spazio che separa il Parlamento dalla sede del governo echeggiano gli spari e due carabinieri cadono, colpiti, a terra. Seguono 35-40 minuti di vero terrore, si riaffacciano prepotenti i fantasmi della violenza politica che ha insanguinato l’Italia negli anni di piombo: in quegli stessi minuti i nuovi ministri stanno giurando sulla Costituzione repubblicana, al Quirinale. È un battesimo del fuoco per il governo Letta.

Per quello che si sa, in quel momento, l’attentatore potrebbe non essere solo, l’obiettivo quello di colpire la città della politica, i vertici istituzionali. A quell’ora, in una assolata domenica mattina, sul luogo dell’attentato si trova, per fortuna, un numero non grande di persone: gli operatori delle videonews chiacchierano rilassati sotto la sede del quotidiano il Tempo, telecamere a terra, in attesa dell’ora in cui dovranno riprendere l’arrivo dei nuovi ministri. Risuonano i colpi d’arma da fuoco, si girano e vedono - vicinissimo - l’individuo col braccio teso che continua a sparare. È fuggi fuggi, si mettono al riparo. Ancor più vicina, a due metri dall’attentatore e dal carabiniere colpito al collo, è la famiglia Stolzi. Marisa, incinta, insieme al marito Andrea, il primogenito di tre anni nel passeggino. Scappano verso la garitta, il passeggino si cappotta ma il pianto del bambino tranquillizza il padre.
Due ciclisti, in piazza Colonna, perdono l’equilibrio, corrono i funzionari di polizia, li aiutano a rimettersi in piedi, ad allontanarsi. Viene fatta evacuare piazza del Quirinale. Qualcuno parla di uno zainetto abbandonato, più probabilmente è una misura di precauzione: il rito dell’insediamento del nuovo governo prevede, dopo il giuramento, il passaggio delle consegne, a palazzo Chigi, fra vecchio e il nuovo premier. Anche il Quirinale potrebbe essere un obiettivo. Qualche minuto dopo le 12 a palazzo Chigi arriva Gianni De Gennaro, quasi contemporaneamente arriva la prima notizia tranquillizzante: sembra il gesto di un isolato.
Come quello di Antonio Pallante che, a pochi metri di distanza dal luogo della sparatoria di ieri, il 14 luglio del 1948, fece fuoco contro Palmiro Togliatti che usciva da Montecitorio insieme a Nilde Iotti. Un gesto isolato anche allora, ma carico delle tensioni dell’epoca. Luigi Preiti, 49 anni, è vestito in giacca e cravatta, in modo distinto, quando si avvicina con la mano in tasca. Un carabiniere lo ferma, stanno chiudendo le transenne di piazza Colonna, in previsione dell’arrivo, di lì a poco, dei ministri. Preiti, che è arrivato in treno da Rosarno, sua città natale, in Calabria, tira fuori la mano dalla tasca, impugna la pistola di piccolo calibro, 7 e 65, e spara. Giuseppe Giangrande, 50 anni, viene colpito fra il collo e la nuca. È il ferito più grave, anche se non perde coscienza.
Le fotografie mostrano il rivolo rosso del sangue che scende dalla nuca sul collo e sull’asfalto. Più tardi il referto medico al Policlinico Umberto I dirà che è visibile, sul collo del brigadiere, «il foro di entrata ma non viene apprezzato il foro di uscita». Il proiettile continua il suo tragitto fino a ledere la colonna all’altezza della cervicale. L’appuntato viene sottoposto ad un delicato intervento chirurgico: «Il danno midollare», dice il referto post-operatorio, «è importante». La prognosi resta riservata per «72 ore». Il proiettile, entrato dalla base del collo, a sinistra, è stato estratto dai chirurghi, nella zona sopra la scapola destra. Francesco Negri, 30 anni, appuntato, è colpito alla gamba.
Probabilmente è lui che ha bloccato l’ingresso di Preiti nella piazza. È stato ricoverato al San Giovanni, lo stesso ospedale dove viene portato l’attentatore. Luigi Preiti, dopo aver sparato all’impazzata, ha tentato la fuga ma è stato bloccato e steso a terra a pochi metri dal luogo dove ha fatto fuoco. Agli uomini che lo arrestano fa l’impressione di una persona gelida, che non perde la calma, chiede che gli vengano allentate le manette troppo strette. Disoccupato, da un paio d’anni era tornato a Rosarno, dai genitori pensionati. Prima viveva con la moglie a Predosa, in privincia di Alessandria.
Grande lavoratore, secondo lo zio, e titolare di una ditta edile che non ha più appalti, aveva visto cadere in pezzi la propria vita: le perdite ai videogiochi, la separazione, la disoccupazione. Ha raccontato tutto ai magistrati, il procuratore aggiunto Laviani e il pm di turno Antonella Nespola. Voleva «sparare ai politici» ma, ha aggiunto Laviani: «Visto che non li raggiungeva ha sparato ai carabinieri». Ha detto di essere «disperato ma non animato di un odio particolare», voleva «fare un gesto eclatante in una giornata particolare».
Era arrivato a Roma in treno sabato sera, durante il viaggio la Polfer ha controllato, fra Villa San Giovanni e Napoli, i suoi documenti senza rilevare nulla di particolare, Preiti è incensurato. Però ha ammesso di aver comprato la pistola al mercato nero, circa quattro anni fa ad Alessandria. Si fermato a dormire all’hotel Concordia, pochi passi a piedi da Montecitorio. Nella piazza deserta, dopo la sparatoria, la polizia scientifica semina i suoi segnalatori gialli, che indicano i punti dove sono caduti i proiettili. Colpi esplosi in serie, sei forse, che avrebbero potuto produrre una strage. Fra i carabinieri c’è chi confessa un sentimento di frustrazione: la rabbia sociale si rivolge contro di noi. Lungo le transenne si affollano turisti e cittadini che aspettano l’insediamento del governo.

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