lunedì 13 gennaio 2014

Ecco perché la Consulta ha bocciato il Porcellum

Il plenum della Corte Costituzionale ha firmato questa sera le motivazioni della sentenza del 4 dicembre 2013 che bocciava il "Porcellum", l'attuale legge elettorale dichiarata incostituzionale.
I 15 giudici della Consulta hanno approvato il documento presentato dal relatore Giuseppe Tesauro dopo quattro ore di camera di consiglio.
I giudici hanno respinto il premio di maggioranza, ammettendo invece le preferenze e i listini fissi, facendo però «attenzione a non produrre l'effetto di una sommatoria di premi». Una decisione che apre la strada ai tre modelli avanzati («nessun ostacolo»). «Attenzione però ai premi nascosti» (come lo spagnolo).
Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza previsto dal Porcellum, «pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese» è una disciplina «non proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito» poiché «determina una compressione della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'uguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente». A rilevarlo è la Consulta, spiegando parchè lo scorso dicembre decise di dichiarare incostituzionali alcuni punti dell'attuale legge elettorale.
Anche per quanto riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza al senato su scala regionale, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma «che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pure in presenza di una distribuzione del voto nell'insieme sostanzialmente omogenea. Questo, osservano i giudici delle leggi, “rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l'esercizio della funzione legislativa”. Insomma, questa norma “rischia di vanificare - si legge nella sentenza - il risultato che si intende conseguire con un'adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo”.
Un meccanismo «proporzionale», «depurato dell'attribuzione del premio di maggioranza». Questo è quanto resta in vigore, spiega la Consulta. «La normativa che rimane in vigore - si legge nella sentenza depositata - stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che  consente l'attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni  elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il Senato». 
Inoltre, si spiega nella sentenza, «le norme censurate riguardanti  l'espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto  di preferenza». La Corte sottolinea che «non rientra» tra i suoi compiti  «valutare l'opportunità e/o l'efficacia di tale meccanismo», ma solo il compito «di verificare la conformità alla Costituzione delle specifiche  norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con  la restante normativa».
Per quanto riguarda la possibilità, per l'elettore, di esprimere un voto di preferenza «eventuali apparenti inconvenienti - sottolineano i giudici delle leggi - possono essere risolti mediante l'impiego degli ordinari criteri di interpretazione»: ad esempio, le previsioni che stabiliscono
che sono proclamati eletti «nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima secondo l'ordine di  presentazione», secondo la Corte non «appaiono incompatibili con  l'introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l'ordine di lista  operante solo in assenza di espressione della preferenza». In merito, poi, alla scheda elettorale, possa essere inserito «uno spazio per l'espressione della preferenza».
Il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale risalgono retroattivamente fino al momento di entrata in vigore della norma annullata «vale però soltanto per i rapporti - spiegano i giudici nella sentenza - tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida».
Alla luce di ciò, la Consulta sottolinea che «le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono in definitiva e con ogni evidenza un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti». Nello stesso modo, aggiunge la Corte Costituzionale, con la sentenza sul Porcellum «non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali».
La Consulta ricorda, in particolare, «il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un'astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità dei suoi organi costituzionali» a cominciare dal «parlamento». Dunque, si legge nella sentenza «è fuori di ogni ragionevole dubbio che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere - conclude la Corte - sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare».

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