martedì 21 gennaio 2014

NOTE CASOLANE - In ricordo di Aurelio Acerbi

1931 - Il carro "Le Grandi Tappe della Storia"
93 anni fa, nel gennaio 1921, dopo la scissione della "frazione Comunista" al Congresso nazionale del PSI, che si era riunito a Livorno, e la fondazione - il 21 gennaio - del Partito Comunista d'Italia, anche a Casola Valsenio veniva fondata la Sezione Comunista.
Primo Segretario della Sezione fu Aurelio Acerbi, al cui nome è stata intitolata fino al 1991 la Sezione casolana del Partito Comunista Italiano e, fino al 2007, quella dei Democratici di Sinistra.
Per ricordare quella personalità della sinistra casolana dei primi anni del 1900, ripubblichiamo l'articolo su Aurelio Acerbi che Amilcare Mattioli - primo Sindaco di Casola dopo la Liberazione - scrisse nel 1974 per il mensile del PCI casolano "Il Compagno".

Aurelio Acerbi: vita di un comunista
Terminò il Ginnasio in seminario a Imola - A 17 anni divenne Segretario della Gioventù Socialista e poco dopo della Sezione del Partito Socialista Italiano di Casola - Nel 1921, dopo la scissione di Livorno, divenne primo Segretario della Sezione di Casola del Partito Comunista d'Italia - L'avvento del fascismo, la repressione e l'episodio del carro "Le Grandi Tappe della Storia".

Aurelio Acerbi nacque nel 1902 a Casola, da una famiglia di artigiani, che nelle condizioni di miseria e di indigenza in cui viveva in quegli anni la maggior parte della popolazione del nostro paese, poteva considerarsi benestante.
Il padre, che i vecchi ricordano col soprannome di Marescial (forse dovuto a un certo scontroso atteggiamento nei suoi rapporti personali), era e rimase un cattolico con delle marcate e, per quei tempi, abbastanza spregiudicate simpatie per il movimento socialista: questo spiega anche, in parte, perché egli acconsentisse a mandare in seminario i figli, una volta terminate le elementari.
D'altra parte non solo in quegli anni, ma per molti a venire, questo costituiva per le famiglie casolane che non fossero di condizione nettamente agiata l'unica strada per fare proseguire gli studi ai propri figli che ne avessero mostrato predisposizione.
Così fu per Aurelio Acerbi il quale, terminato in Seminario a Imola il Ginnasio, decise di tornarsene a casa anche a costo di dover lavorare come garzone nella bottega da calzolaio del padre.
Erano quelli gli anni della prima guerra mondiale, ed erano soprattutto gli anni in cui anche a Casola dopo un decennio di "apostolato Socialista" ad opera di uomini come Giulio Cavina e Luigi Sasdelli, l'ideale del Socialismo cominciava a conquistare sempre più largamente la coscienza dei lavoratori e soprattutto dei giovani. Ben presto Aurelio Acerbi fu attratto da questo ideale e tali furono la sua passione e il suo impegno che appena diciassettenne fu eletto Segretario della Gioventù Socialista e poco dopo della Sezione di Casola del PSI.
Al momento della scissione di Livorno egli aderì al Partito Comunista seguito in ciò da una minoranza (per lo più giovani) della Sezione socialista: divenne quindi il primo Segretario della Sezione di Casola del Partito Comunista d'Italia, come allora si chiamava il nostro Partito.
Sopraggiunse la bufera fascista, i cui sicari trucidarono a Casola il compagno Luigi Sasdelli, infaticabile educatore di tante coscienze socialiste e perseguitarono con minacce e violenze gli antifascisti, tra cui, in particolare, il compagno Acerbi.
Le leggi eccezionali del 1926, che misero al bando primo tra gli altri il Partito Comunista, interruppero purtroppo ogni collegamento tra la Sezione casolana del PCd'I e gli organi provinciali e nazionali.
Nonostante ciò, anche negli anni della dittatura fascista, Aurelio Acerbi non solo non si piegò di fronte alle persecuzioni di cui era costantemente fatto segno (più volte fu sottoposto ad "ammonizione", più volte fu tratto in carcere a Faenza e qui duramente maltrattato, cosicché non è azzardato affermare che la sua fine prematura sia da imputare anche alle percosse subite) ma cercò anzi in quelle difficilissime condizioni di tenere viva anche a Casola la fede negli ideali di riscatto umano che ispiravano la milizia comunista.
Un episodio particolarmente significativo di questo initerrotto impegno, di questa coerenza e morale, merita di essere ricordato anche perché in quella circostanza il nostro compagno Acerbi, forse istintivamente, seppe realizzare nelle condizioni concrete in cui doveva operare una direttiva fondamentale del nostro Partito, e cioè valersi di qualsiasi occasione e strumento "legale" offerto dalle circostanze per manifestare l'opposizione antifascista.
C'era la "fiera di Mezza Quaresima" con la tradizionale sfilata dei carri (un avvenimento allora di ben più largo richiamo popolare rispetto a oggi).
Acerbi e altri antifascisti costituirono allora una "società" e si misero ad allestire dei carri che, in un modo o nell'altro, proponessero, sia pure allusivamente, un discorso antifascista e progressista.
Finché agli ottusi gerarchi apparve chiaro il significato del memorabile "carro" intitolato LE GRANDI TAPPE DELLA STORIA che celebrava i momenti più alti mediante i quali l'umanità era andata progressivamente conquistando dignità e diritti.
Sul "carro" figurava tra l'altro una frase che esortava gli italiani ad "accendere nella notte le fiaccole perché l'alba era ormai vicina"; una frase tratta dall'opera forse più nazionalista del "supernazionalista" Alfredo Oriani, ma che in questo carro assumeva un significato del tutto rovesciato e "sovversivo", come ben avvertì, infuriandosi, il musicista fascista Balilla Pratella, quel giorno presidente della giuria.
Ovviamente non compariva l'esaltazione della rivoluzione d'Ottobre, ma in compenso la giovane donna che simboleggiava la rivoluzione francese era tutta ammantata di rosso fiammante, e gli applausi fragorosi con cui la gente accoglieva la comparsa del carro rendevano ancora più esplicito il significato di quel "rosso".
La conseguenza più immediata fu una nuova "ammonizione di polizia" per il compagno Acerbi ideatore e regista del carro, ma quella più profonda e importante fu - per molti casolani - d'intendere che davvero c'era chi non si arrendeva, chi continuava come poteva a resistere e contrattacare.
Chi scrive queste parole non può non pensare con commossa ammirazione al compagno Acerbi come alla guida sua e di altri giovani verso la conquista degli ideali comunisti. Ero allora un giovanissimo studente: un ricordo vivo è nella mia mente, allorché d'estate, alle quattro circa di mattina, egli mi svegliava perché ascoltassi Radio Madrid e Radio Mosca, le due voci libere ed amiche i cui notiziari egli sapeva poi utilizzare sia per informare e orientare gli amici, sia per ridicolizzare con la sua caustica ironia la boria e l'ignoranza dei gerarchetti casolani.
Purtroppo la sua debole fibra, minata da una grave malattia e insidiata dalle percosse e dalle violenze fasciste subite, non resse a lungo; a soli 36 anni Aurelio Acerbi morì, fino all'ultimo assolvendo il suo dovere di comunista, certo sempre che sarebbe giunto infine il giorno in cui la causa per la quale tanto aveva dato, avrebbe trionfato.

Amilcare Mattioli

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