L'11 gennaio la Camera ha approvato il Disegno di legge che riforma la Costituzione della Repubblica italiana. Si tratta del secondo passaggio della norma a Montecitorio (la prima lettura è terminata un anno fa) dopo l'analogo secondo passaggio della norma in Senato: con ciò, ovvero con la doppia lettura del testo da parte di entrambi i rami del Parlamento, finisce la prima e più delicata fase della discussione. Quella in cui le Commissioni e le Aule si sono impegnate nella presentazione degli emendamenti e in un ampio (talvolta acceso) dibattito sul senso e sulla corretta modalità della revisione.
Con la fine di questa fase, la riforma – di cui a breve farò una sintesi – si presenta dunque nella sua versione definitiva: quella approvata è la legge non più emendabile che potrà modificare la Costituzione e in particolare l'architettura parlamentare.
Ora il testo dovrà tornare un'ultima volta all'attenzione delle due Camere, che potranno però solo dare un parere secco (sì o no) al provvedimento nella sua interezza e a maggioranza assoluta. È molto importante che le persone siano consapevoli dei contenuti votati anche perché – se gli ultimi passaggi parlamentari andranno a buon fine – in autunno si dovrà tenere il referendum confermativo: sarà quindi il voto dei cittadini a decidere se la riforma entrerà in vigore o verrà bocciata.
Obiettivo principale del Ddl è il superamento del bicameralismo paritario che da sempre ha contraddistinto la nostra Repubblica (che il 2 giugno 2016 compie 70 anni): si intende andare oltre al meccanismo secondo cui entrambi i rami del Parlamento esaminano tutte le leggi svolgendo identiche funzioni. Uno sdoppiamento che risulta ormai incongruo con le esigenze di una società assai differente rispetto a quella di decenni fa, una società in rapida evoluzione e in cui le decisioni vanno prese con attenzione ma evitando un calco, una duplicazione, delle stesse azioni. La riforma introduce quindi un procedimento sostanzialmente monocamerale. Nel far questo, la legge modifica il ruolo del Senato, che diventa l'assemblea di rappresentanza dei territori.
Composizione del Senato. Il Senato resta la seconda Camera del Parlamento ma con diverse competenze rispetto a Montecitorio, e a Palazzo Madama siederanno 100 senatori e non più 315 come oggi. Di questi 100 membri, 95 saranno rappresentanti delle istituzioni territoriali (Regioni e Comuni, quindi consiglieri e sindaci). Gli altri 5 potranno essere: senatori a vita (ne anno diritto solo gli ex Presidenti della Repubblica) o nominati dal Presidente della Repubblica per alti meriti (questi ultimi restano in carica 7 anni e non possono essere rinominati). A ogni Regione è invece assegnato in misura fissa un numero di rappresentanti, in totale 95 appunto, proporzionale alla popolazione ma che non può comunque essere mai inferiore a 2 unità: l'Emilia-Romagna avrà 6 senatori per i suoi (circa) 4 milioni 500mila cittadini.
Il Senato non verrà più eletto direttamente né tramite le elezioni politiche (che sceglieranno la sola composizione della Camera, come prevede già l'Italicum), ma consiglieri e sindaci saranno votati dalle Assemblee regionali. Un emendamento approvato a Palazzo Madama l'autunno scorso ha previsto che l'elezione del Senato da parte dei Consigli regionali avvenga in conformità con le scelte espresse dagli elettori nel voto regionale, ovvero in ragione delle preferenze ottenute dai consiglieri e dalle percentuali prese dai primi cittadini. Le modalità esatte con cui verranno scelti i senatori-consiglieri e i senatori-sindaci saranno stabilite con una legge, da emanare successivamente all'approvazione della riforma, che disciplinerà la corretta attribuzione dei seggi di Palazzo Madama tenendo conto delle indicazioni degli elettori.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi territoriali dai quali sono eletti. Ne consegue che il Senato si rinnova parzialmente in corrispondenza del rinnovo dei Consigli regionali e che il voto regionale comporta anche la fine del mandato di tutti i senatori della Regione (compresi i sindaci).
Il Senato viene definito un “organo continuo e non soggetto a scioglimento”: continuo perché, appunto, non ha una scadenza come avviene per la Camera (i rappresentanti territoriali decadono con la fine del loro mandato nelle Regioni, ma non decade il Senato); non soggetto a scioglimento perché, non essendo più un organo di rappresentanza Nazionale, non potrà più accordare o togliere la fiducia al Governo e, viceversa, il presidente della Repubblica non potrà scioglierlo per le elezioni che, appunto, non lo riguardano.
Viene confermato per i senatori il cosiddetto divieto di “mandato imperativo”, ovvero quel principio costituzionale che lega il parlamentare all'elettore e non al gruppo con cui è stato eletto, permettendo dunque l'uscita di una persona da un partito in caso di disaccordo insanabile ma non inficiandone la permanenza nelle istituzioni. Viene invece totalmente meno l'indennità parlamentare: i senatori-sindaci o i senatori-consiglieri regionali ricevono solo lo stipendio da sindaco o da consigliere regionale.
La riforma costituzionale promuove l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza, dunque ci dovrà essere parità di genere sia alla Camera che in Senato.
Il nuovo Senato avrà le seguenti funzioni:
- rappresentare le istituzioni territoriali;
- esercitare il raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi la Repubblica;
- prendere parte alle decisioni sugli atti normativi delle politiche Ue;
- valutare le politiche dell'Ue sui territori;
- esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo;
- partecipare all'elezione del Presidente della Repubblica, di 5 giudici della Consulta e dei membri laici del Consiglio superiore della Magistratura;
- svolgere inchieste su materie di interesse pubblico concernenti le autonomie territoriali e svolgere attività conoscitive e osservazioni anche su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati.
Il procedimento legislativo. Non tutte le leggi saranno sottoposte allo stesso iter che, per una parte molto minoritaria di esse, resterà quello bicamerale fin qui utilizzato. L'approvazione da parte di entrambe le Camere rimane tale e quale per: le leggi di revisione della Costituzione; le leggi elettorali che riguardano i Comuni e le Città metropolitane; l'ordinamento e le funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane e le norme sulle forme associative tra Comuni; le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati dell'Unione europea; le leggi che hanno a che fare con l'ordinamento regionale e la legge che disciplina i casi in cui le Regioni possono concludere accordi con enti territoriali di altri Paesi o con altri Stati; la legge che prevede il distacco dei Comuni da una Regione.
Tutte queste materie, che hanno a che fare con l'Ue e i territori (ovvero i temi su cui il Senato mantiene piena competenza), possono essere approvate solo con procedimento bicamerale.
Il procedimento monocamerale si applica in via generale invece a tutte le altre leggi, quindi alla stragrande maggioranza, per le quali basta il vaglio della sola Camera. Anziché tre passaggi parlamentari, come avviene oggi, tutto si riduce a un passaggio e i tempi potranno essere significativamente abbattuti.
Se però almeno un terzo dei membri del Senato lo richiede, anche le leggi ad approvazione monocamerale possono essere esaminate da Palazzo Madama che può proporre modifiche entro i successivi 30 giorni (15 per la legge di Bilancio). La Camera delibererà poi sulle proposte del Senato in via definitiva. L'iter, anche in caso di richiesta di esame da parte del Senato, risulta estremamente snellito rispetto a quel che accade attualmente, visto che una legge ordinaria oggi può restare impantanata mesi nei passaggi tra le due Aule.
Funzioni della Camera. Modificando in questo modo l'assetto parlamentare, spetterà solo a Montecitorio rappresentare la Nazione e determinare l'indirizzo politico accordando o revocando la fiducia al Governo. Come scritto, la Camera sarà prevalentemente l'unico organo legislativo. Sono poi di esclusiva competenza della Camera: le leggi di amnistia e indulto; l'autorizzazione a sottoporre il presidente del Consiglio o i Ministri al giudizio della magistratura per reati commessi nell'esercizio delle funzioni; la deliberazione dello stato di guerra.
La sola Camera dei deputati può essere sciolta dal Presidente della Repubblica.
In seduta comune il Parlamento elegge il Capo dello Stato, per la cui scelta è richiesta la maggioranza dei due terzi del collegio nei primi tre scrutini, quella dei tre quinti dal quarto al sesto scrutinio e la maggioranza dei tre quinti dei votanti dal settimo scrutinio in poi. Le funzioni di supplenza del Presidente della Repubblica sono svolte dal Presidente della Camera (e non più da quello del Senato), ma è il Presidente del Senato a convocare e presiedere il Parlamento in seduta comune per l'elezione del Capo dello Stato.
Ruolo del Governo nel procedimento legislativo. La riforma chiarisce e precisa l'incidenza dell'Esecutivo nel lavoro parlamentare con la finalità in particolare di riportare lo strumento del “Decreto legge” alla sua destinazione autentica, ovvero a essere usato solo in situazioni d'urgenza. Per far diminuire il ricorso alla decretazione si prevede però la possibilità per l'Esecutivo di chiedere l'iscrizione in via prioritaria, all'ordine del giorno della Camera, dei Disegni di legge considerati essenziali per l'attuazione del programma politico.
La Camera deve dare il via libera all'iscrizione entro 5 giorni dalla richiesta e, in caso affermativo, la pronuncia sulla legge deve avvenire entro 70 giorni grazie al ricorso del “voto a data certa” (è prevista un'ulteriore proroga di massimo 15 giorni se il Ddl è particolarmente complesso). Anche in questi casi, come per la legge di Bilancio, se il Senato vuole esaminare il Ddl presentato dal Governo deve farlo entro 15 giorni.
I principi della decretazione d'urgenza entrano invece nella Costituzione stessa: si sancisce che i Decreti debbano recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogenee e corrispondenti al titolo, senza far entrare nei provvedimenti disposizioni estranee alla ragione per cui vengono emanati. Il Senato può prendere parte al procedimento di conversione dei Decreti, ma l'intero iter non sarà più di 60 giorni come avviene oggi, bensì di 40 giorni (il Senato ne avrà 10 per poter proporre emendamenti).
Modifiche all'istituto referendario. Per quanto concerne il referendum abrogativo, sono introdotti due diversi quorum per la validità del voto: quando la proposta è stata sottoscritta da 500mila elettori serve la maggioranza degli aventi diritto; quando la proposta è stata sottoscritta da almeno 800mila elettori serve la maggioranza dei votanti alle precedenti elezioni della Camera dei deputati, ovvero le politiche. La modifica ha come obiettivo quello di rendere più probabile l'esito referendario qualora l'abrogazione sia stata voluta da poco meno di 1 milione di cittadini. Abbassando, in questo caso, la soglia del quorum, si rende più possibile l'esito certo del referendum (e si restituisce maggiore dignità a questo istituto). Inoltre: la riforma sancisce che la Corte costituzionale possa pronunciarsi preventivamente sulla legittimità delle leggi elettorali, compreso l'Italicum (ovvero la riforma elettorale approvata dall'attuale legislatura), laddove si rivolgano alla Consulta un quarto dei componenti della Camera o un terzo dei componenti del Senato. Viene infine soppresso il Cnel, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, fin qui un organo di rilevo costituzionale.
Riforma del Titolo V: altro punto molto rilevante del Ddl è quello che riguarda la parte della Costituzione che disciplina i Comuni, le Regioni e le loro competenze. Il riordino, per prima cosa, toglie dal Titolo V e dalla Costituzione qualunque riferimento alle Province, che sono state riorganizzate e riconcepite dalla legge Delrio del 2014. Soprattutto vengono apportati forti cambiamenti alle potestà legislative regionali: divenendo il Senato un organo che rappresenta i territori in Parlamento, sono ridotti gli ambiti in cui la Regione è ente legislativo autonomo. La competenza esclusiva regionale è individuata in via residuale essendo ascrivibile a quelle materie non espressamente riservate allo Stato. Tra queste ultime ci sono il coordinamento della finanza pubblica e il sistema tributario; le norme sul lavoro; le disposizioni generali per la tutela della salute; l'ordinamento scolastico; le infrastrutture fondamentali (tra cui i porti) e la loro programmazione; il settore energetico e le telecomunicazioni. La Regione ha invece potestà legislativa sulla pianificazione del territorio regionale e sulla mobilità; sulla dotazione infrastrutturale territoriale; sulla programmazione e l'organizzazione dei servizi sanitari e sociali; sulla promozione dello sviluppo economico e l'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese. Viene fatta salva, ovviamente, l'autonomia delle istituzioni scolastiche e la disciplina dei servizi scolastici regionali, la formazione professionale e il diritto allo studio universitario. Restano insomma fermi i principi di sussidiarietà e di autonomia gestionale. Riformato positivamente l'istituto del cosiddetto “regionalismo differenziato”, che consente alle Regioni con un bilancio in regola di chiedere ulteriori forme di autonomia su alcune materie di legislazione statale: le politiche sociali; la programmazione delle attività di ricerca; le politiche attive per il lavoro e la formazione professionale; la promozione del commercio con l'estero; la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; le attività culturali e il turismo.
Queste sono, in sintesi, le modifiche più importanti del Disegno di legge che abbiamo approvato e che sostengo. Credo che questa innovazione istituzionale sia utile a rendere il nostro sistema meno farraginoso e più efficiente. E credo, cosa più importante, che lo spirito della revisione non snaturi i principi della rappresentanza democratica voluti dai padri costituenti. Il cambiamento che si imprime è in armonia con la Costituzione del 1948, che viene aggiornata in maniera consapevole e rispettosa. Sono anni che si parla a vuoto di una buona riforma, che oltre tutto mantenga un positivo equilibrio tra lo Stato e le Regioni: oggi siamo a un pochi passi dal renderla realtà.
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