mercoledì 18 aprile 2018

18 aprile 1948, l’alba della Prima Repubblica

70 anni fa le prime elezioni politiche, quando si confrontarono la DC e il Fronte Popolare (PCI-PSI)

Stefano Ceccanti (Democratica.it, 18 aprile 2018)

Nello schieramento vincitore convivono un anticomunismo democratico con un anticomunismo non democratico. La differenza tra questi due lacererà profondamente l’area delle maggioranze politiche nella cosiddetta prima Repubblica
La foto istantanea del 18 aprile 1948 ci restituisce il successo della tesi giusta, quella che ha obiettivamente dato all’Italia settant’anni di democrazia e di prosperità, ossia la collocazione euroatlantica, e la sconfitta della tesi sbagliata, quella che identificava la causa dell’uguaglianza con l’URSS e le democrazie popolari.
Tuttavia limitarsi a questo sarebbe semplicistico perché immediatamente dopo inizia un processo che è destinato a dividere profondamente entrambi i campi a partire da letture diverse di quell’evento.
Nello schieramento vincitore convivono un anticomunismo democratico che mira in prospettiva a far diventare patrimonio comune la scelta di allora, separando nel campo opposto l’ideologia sbagliata dal movimento storico (secondo la classica distinzione di Giovanni XXIII), con un anticomunismo non democratico che non esclude il ricorso alla violenza e che in realtà simpatizza per i regimi autoritari residui, quelli di Franco e di Salazar, vedendo i sostenitori della tesi opposta nel proprio campo persino come più pericolosi dello schieramento avversario. Basti pensare agli ambienti di destra soddisfatti per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
La differenza tra questi due diversi anticomunismi che lacerano profondamente l’area delle maggioranze politiche nella cosiddetta prima Repubblica, dalla discussione dei primi anni ’50 sull’opportunità di sdoganare alleanze a destra bloccata da De Gasperi, agli scontri successivi sul centrosinistra e sulla solidarietà nazionale è evidente in due testi, uno di De Gasperi e l’altro di
Moro.
Il testo di De Gasperi è il celebre discorso “Nostra patria Europa” del 21 aprile 1954 alla conferenza parlamentare europea che anticipa la distinzione di Giovanni XXIII tra ideologia e movimento storico: “Oggi una parte della classe operaia subisce la suggestione dello Stato e si trova per il momento in contrasto con l’ideale europeo, indebolendo il ruolo che potrebbe esercitare il movimento operaio in opposizione con le tendenze totalitarie del bolscevismo. Né bisogna però sottovalutare il contributo che proprio dall’umanesimo che si trova all’origine del movimento socialista può essere portato alla formazione dell’unità morale dell’Europa. Se la solidarietà della classe operaia non è sufficiente a costituire da sola la base di quell’unità, la solidarietà di altri interessi industriali e agricoli, lo sarebbe ancor meno.”
Il testo di Moro è l’intervento alla Camera del 5 agosto 1960, per la fiducia al III Governo Fanfani dopo la caduta di Tambroni. Moro spiega chiaramente la linea divisoria: ”Il nostro anticomunismo non è un tortuoso e inefficace anticomunismo di tipo conservatore, il quale vada suscitando i temi e le esigenze ai quali il comunismo poi si abbarbica; non è il nostro un anticomunismo che faccia affidamento sulle armi, del resto vane, della compressione della personalità umana e del sopruso del potere. E’ stato da sempre il nostro, e tale vuole rimanere, trovando in ciò appunto la certezza della sua efficacia, un anticomunismo democratico, che nasce dall’accettazione senza riserve della democrazia, si avvale delle armi della democrazia, ha di mira non una repressione, con la forza, di masse inquiete, ma la restaurazione di un’ordinata società democratica”.
Questo percorso di avvicinamento ha un riscontro speculare nei primi dubbi che cominciano a serpeggiare tra gli sconfitti. Infatti il 21 aprile nel suo diario Pietro Nenni annota: “Posso io rifiutare di prendere atto che sotto bandiera, direzione o ispirazione comunista, apparente o reale poco importa, non si vince in Occidente?”.  L’inizio di un lungo percorso che condurrà la sinistra, prima quella socialista e poi anche quella comunista a riconciliarsi con l’europeismo e poi anche con la collocazione atlantica.
Se guardiamo quindi al processo oltre che all’istante si colgono quindi soprattutto le ragioni di una parte dei vincitori, quella che puntava ad allargare quel consenso nonostante le resistenze pesanti dell’anticomunismo antidemocratico, e le ragioni di chi operò nel campo degli sconfitti, prima tra i socialisti e poi anche tra i comunisti, per superare l’errore di allora.
Un’eredità così forte che anche le nuove forze che si affermano oggi, nascendo e sviluppandosi sulla base di polemiche semplicistiche contro l’Unione europea, fanno poi fatica a rinnegare non appena si avvicinano all’area di Governo. Fermo restando che la vigilanza su questo resta sempre doverosa e intransigente.

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