di Matteo Renzi (Sindaco di Firenze)
I fatti sono noti. Un folle,
xenofobo e nazista, Gianluca Casseri ha raggiunto Firenze e ha
aperto il fuoco in Piazza Dalmazia, uccidendo Diop Mor e Samb
Modou, due uomini senegalesi. Ha poi ferito altre tre persone prima di uccidersi nel parcheggio del mercato di San Lorenzo.
È come se avessimo per la prima volta toccato con mano il
razzismo. Una brutta bestia, che tante volte ci era passata accanto: dal
fischio incivile allo stadio contro un giocatore di colore fino alle battutine
volgari di una serata in pizzeria. Avevamo criticato, come tutte le persone
normali, le iniziative idiote come quelle di qualche sceriffuccio travestito da
sindaco nel profondo nord che ha emanato le geniali ordinanze per dividere le
panchine degli italiani da quelle degli stranieri. Ma tutto sommato il razzismo
ci sembrava una cosa talmente assurda da poter essere tenuta lontana, a debita
distanza.
Stavolta è un’altra cosa.
Quei corpi in terra, in Piazza Dalmazia, dimostrano che questa è un’altra storia. Il sangue di Mor e Modou non è l’effetto speciale di un film. E i bambini di Firenze sanno che questo non è un gioco della Playstation. Vite spezzate su un marciapiede. E noi che non riusciamo a capacitarci del perché.
Ho portato la solidarietà mia personale e soprattutto della
mia città alla comunità senegalese. Ho assicurato ai responsabili, che sarà il
Comune a farsi carico delle spese per il rimpatrio delle salme. Ho garantito
che staremo a fianco dei tre feriti anche quando saranno fuori dall’ospedale. E
ho proclamato un giorno di lutto cittadino con iniziative diverse, dalle scuole
fino ai pub. Perché la battaglia da vincere, oggi, è la battaglia culturale,
educativa, di pensiero.
Ma con tutta la forza che ho nel cuore e nelle dita, pigio
sui tasti del computer per scrivere, a tutti e a ciascuno, che quella di ieri
non è Firenze. La Firenze vera, quella che conosco e che rappresento con
orgoglio, è un’altra. La Firenze che porta gli studenti ad Auschwitz perché
tutte le idiozie che scriveva il killer sugli ebrei si fermano davanti a quel
campo di sterminio, all’evidenza innegabile di quei luoghi. La Firenze dei
corsi di formazione per immigrati e la Firenze dei corsi di alfabetizzazione
per i bambini stranieri delle scuole elementari. La Firenze per cui chi nasce
in Italia è italiano è un grido che risuona non solo alla stazione Leopolda ma
anche nella comune condivisione di tanta parte dell’associazionismo e del
volontariato. La Firenze che ieri piangeva. La Firenze che oggi fa il lutto
cittadino. La Firenze che domani vorrà vivere la memoria, senza incertezze o
titubanze.
Il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano è intervenuto con la consueta saggezza. Gliene sono
profondamente grato. Come sono grato agli altri livelli istituzionali a partire
dal Ministro Andrea Riccardi che oggi sarà
con noi a Firenze per dimostrare che la parola integrazione è un punto di
riferimento assoluto per le nostre città. Il contrario di integrazione non è
identità, come pensa qualche sociologo politico. Il contrario di integrazione è
disintegrazione. E noi non vogliamo disintegrarci.
Quando Totò Riina ha colpito al cuore
Firenze, piazzando una bomba sotto gli Uffizi e uccidendo la famiglia Nencioni,
Angela e Fabrizio, le loro figlie Nadia
e Caterina e Dario Capolicchio, studente di
architettura, nessuno ha detto che Firenze era diventata una città mafiosa.
Oggi che Gianluca Casseri è venuto a Firenze con l’obiettivo di uccidere
ragazzi di colore e colpendo Mor e Modou non
accetteremo che nessuno dica che Firenze è diventata una città razzista. Però
vogliamo guardare in faccia la realtà. E dire che esiste una gigantesca
questione educativa e culturale, nel nostro tempo. Bisogna avere il coraggio di
affrontarla, a partire dalle scuole.
Senza avvisare nessuno, questa mattina prima di venire in
Palazzo Vecchio mi sono fermato in Piazza Dalmazia. E parlando con la nostra
gente – lontano dai taccuini e dalle telecamere – ho promesso a me stesso che
lo faremo.
Lo faremo: è il mio impegno in questo giorno dove il grigio
del cielo rispecchia in modo fedele il colore dell’anima. Lo faremo, anima e
corpo, senza farci sconti.
Lo faremo perché noi siamo Firenze, culla di civiltà. Città
plurale, che ha dato il meglio di sé quando si è aperta al mondo rimanendo se
stessa, con i suoi pregi e con i suoi difetti.
Lo faremo anche nel nome di Mor e Modou.
Per lungo tempo ieri i giornali hanno scritto “due ragazzi senegalesi”. Ma loro
avevano un nome, un cognome, una storia. Vogliamo che abbiano anche una
memoria. Perché la loro assurda morte possa far fiorire un seme di speranza.
Un saluto,
Matteo
Matteo
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