sabato 15 dicembre 2012

Il partito della nazione

di Alfredo Reichlin (l'Unità, 11 dicembre 2012)

L`ANALISI - Ci avviamo a una campagna elettorale che segnerà il futuro dell`Italia in uno dei momenti più drammatici della sua esistenza statuale.
La posta in gioco è molto alta, senza precedenti. Non è riducibile a un tradizionale scontro tra destra e sinistra all`interno di un assetto politico-istituzionale tranquillamente condiviso. Il ritorno in campo di Berlusconi non è una triste buffonata. È un fatto molto grave perché colpisce alle spalle un Paese che con immensi sacrifici stava riguadagnando il suo posto in Europa. Ed è ignobile perché spinge una parte importante del mondo di destra sul terreno del sovversivismo (vecchia pulsione delle classi dirigenti italiane) facendo leva con freddo cinismo sulle paure e sulle sofferenze reali del nostro popolo. Non mi rallegro affatto per la miserabile pochezza che tutto ciò rivela. Sento invece il peso (e l`orgoglio) delle responsabilità che a questo punto gravano sulle spalle del Pd. E chiedo scusa se penso per un momento ai sarcasmi di autorevoli amici per avere, anche in tanti articoli, sostenuto lo sforzo del Pd di costruirsi come un «partito della nazione» che andava oltre i vecchi confini della sinistra storica.



Avevamo ragione. Bersani potrà fare (credo e mi auguro) la campagna elettorale ponendosi come garante non solo di una «parte» ma del sistema democratico (moralità, lavoro, coesione sociale) e come il leader di una forza popolare che non ha padroni ma, in compenso, ha una idea forte dell`Italia. Forte e moderna. Perché anche questo deve essere molto chiaro. Stiamo attenti. Fare il «partito della nazione» non significa affatto mettere acqua nel vino del cambiamento. Del resto, se Bersani è stato in grado di vincere la partita delle primarie non è perché egli fosse l`«usato sicuro». Penso - al contrario - che la ragione di fondo sta nel fatto che il segretario aveva una idea più forte e più fondata del terreno reale su cui gli italiani giocano una partita che riguarda «ricchi e poveri, borghesi e proletari» (come diceva un vecchio partito). Che poi, nella sostanza significa mettere in grado gli italiani di partecipare al processo di trasformazione dell`Europa che è in atto su scala meta-statale. Ed è in ciò che consiste la possibilità di riaprire la «questione sociale» proprio perché l`Europa rappresenta la sola possibilità di rilanciare lo sviluppo dopo il fallimento or- mai in atto della finanziarizzazione, cioè del governo della mondializzazione affidata alla logica dei mercati finanziari.
Qui sta la enorme portata di questo passaggio così difficile e contrastato. Ed è ciò che sfida i partiti che chiederanno il voto per governare. La destra questa sfida l`ha rifiutata. Spetta quindi a noi.

Ma noi questo passaggio siamo in grado di affrontarlo? Non si può rispondere a questa domanda solo con la propaganda. La prova che affrontiamo è ardua, non nascondiamocelo. E non raccontiamo favole a noi stessi. Siamo arrivati a quella situazione di cui parlava Antonio Gramsci a proposito delle «tentazioni bonapartiste», una situazione in cui «il vecchio non è più ma il nuovo non può ancora». Per cui è sul superamento di quell`ancora che ci giochiamo tutto. Ma ciò che mi rende ottimista è che ho l`impressione che quell`«ancora» sta diventando meno grande di prima. Si sono viste cose nuove in quella straordinaria spinta alla partecipazione (milioni di persone) alle nostre primarie. Io ho visto nuove domande di senso e bisogni di rinnovamento in senso .etico e culturale prima ancora che politico. Ho visto una faccia bella della società italiana e, finalmente, ho visto molti veri giovani (20-30 anni). Noi saremmo degli sciocchi se non tenessimo conto di ciò nella campagna elettorale. Essa sarà anche una occasione per ridefinire agli occhi delle grandi masse la fisionomia del Pd e del campo delle forze riformiste.

Che cos`è un partito riformista? Io parto dall`idea che dopo le distruzioni di tessuto produttivo compiute dall`oligarchia finanziaria dominante non si tornerà al vecchio modello keinesiano e industrialista. Per pensare l`Italia e governarla bisognerà far leva sulla formazione di un nuovo tessuto sociale che dia spazio alle forze creatrici del lavoro, della cultura e di quella capacità italiana di fare impresa che è una cosa unica al mondo. Ecco perché bisognerà mettere in campo un partito più aperto, più inclusivo, che faccia più d`a collante della società.
Ridare voce alla società come luogo delle relazioni e non somma degli individui. Restituire agli uomini la possibilità di impadronirsi delle proprie vite. Io penso che è così che dobbiamo pensare il nostro ruolo. Come scrive Salvatore Biasco in un suo bel libro, il partito di centrosinistra non può non nutrire l`ambizione di conquistare gli animi e orientare l`humus culturale della società e quindi essere un polo di attrazione umana oltre che culturale, capace di offrire un senso alle spinte individuali orientandole verso una sintesi superiore, senza che ciò implichi il disconoscimento della piena realizzazione delle capacità di ciascuno.

Insomma siamo arrivati a un punto di svolta. È vero che la situazione è densa di incognite e di pericoli proprio perché «il vecchio non può più e il nuovo non può ancora». Ma è giunto il momento di guardare oltre la contingenza e oltre un «riformismo senza popolo». Io non penso affatto a riciclare un vecchio partito che predicava una finalità ideologica. Penso però che ai giovani bisogna cominciare a dire qualche cosa. Per esempio che nel momento in cui il centro-sinistra definisce i capisaldi di un programma politico (che non è una piccola cosa se si chiama «salvare l`Italia») esso identifica se stesso come la via d`uscita da una crisi che è realmente epocale. Questo è il punto. Tutto ciò che significa? Significa che siamo entrati in un`epoca in cui la lotta per nuovi assetti del potere economico e politico dominante è nelle cose.

Il ritorno in campo di Berlusconi non è una buffonata: spinge una parte importante della destra sul terreno del sovversivismo...

Ora Bersani potrà fare una campagna elettorale ponendosi come garante non solo di una parte ma del sistema democratico.

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