domenica 12 gennaio 2014

Cécile Kyenge: «Non mi faccio intimidire, hanno paura del futuro»

Intervista di Rachele Gonnelli a Cécile Kyenge (l'Unità, 12 gennaio 2014)

Non è intimidita ma comincia a essere davvero stufa, la ministra dell'Integrazione Cécile Kyenge, di essere lasciata sola a fare da bersaglio di manifestazioni di intolleranza come quelle di ieri a Brescia, dove ha dovuto accettare di essere scortata fuori dall'auditorium dalle forze dell'ordine.

Questa volta è stato un assedio, è intervenuta la polizia. Si è sentita intimidita?

«Io non ho paura, l'ho detto fin dal primo giorno e non ho cambiato approccio. È chiaro che non sono uscita e neanche mi sono affacciata, perché c'è un protocollo da rispettare in questi casi. Ho sentito solo le urla e ho visto quelle persone quando sono entrata con la macchina. Non ho paura perché sto portando avanti idee che aiutano l'Italia a progredire attraverso politiche di integrazione e accoglienza che porteranno sviluppo e civiltà. La società italiana sta cambiando rapidamente, chi si oppone a ciò che sta avvenendo non aiuta a costruire il futuro ma esprime una debolezza e non fa un bel regalo alle generazioni future. Io mi batto non per qualcuno, per gli stranieri, ma per tutti. Credo però che serva un maggior senso di responsabilità delle forze politiche. Io non ho mai evitato il confronto anche con chi ha idee opposte alle mie, tutto è possibile nel rispetto e nel riconoscimento reciproco. Qui però si è passato un limite».

Cosa è successo precisamente?
«Avevamo organizzato un incontro molto importante, per la prima volta riuscendo a coinvolgere un po' tutte le istituzioni locali e le associazioni, a cominciare dall'Azione cattolica. L'approccio di fondo è stato quello di aprire al confronto anche con le difficoltà del territorio, dare disponibilità all'ascolto anche di idee molto distanti. E in effetti dentro la sede della manifestazione c'è stato chi ha espresso anche critiche molto dure, ma questi gruppi molto critici erano comunque benvenuti perché hanno accettato l'interlocuzione, non sono stati mandati via, anzi, erano critiche costruttive alla fine, hanno anche presentato dei documenti come
parte di una discussione nazionale, in un confronto civile, non mirato a distruggere. Purtroppo non tutti si sono comportati così, fuori c'e stata una manifestazione di totale chiusura al dialogo, appoggiata anche da alcuni partiti ed esponenti politici. E questo è la cosa più grave. Ciò che mi dispiace di più è che dopo ciò che è successo non si riuscirà a focalizzare l'attenzione sulle tante cose dette, i tanti contributi avuti nel corso di due giorni di discussione, molti anche di sostegno al percorso che ho intrapreso. Spero, man mano che andrà avanti una vera politica di integrazione, di veder sparire o almeno diminuire queste posizioni intolleranti».

Capisco lo stile attento a non enfatizzare gli episodi di ostilità, ma non è particolarmente inquietante una contestazione violenta che ha visto uniti Fratelli d'Italia, Lega Nord, Forza Nuova e Forza Italia?

«Non voglio sminuire la gravità di ciò che è successo, è chiaro che una manifestazione arrivata fino allo scontro e alla minaccia all'ordine pubblico è senz'altro indice di un certo disagio. Il problema vero è che alcuni partiti ed esponenti politici hanno deciso di cavalcare questo disagio, fomentando e strumentalizzando le paure della gente per farne una campagna elettorale. E tutto ciò non è più tollerabile».

Che cosa è insopportabile?

«Da chi è nelle istituzioni si deve pretendere un linguaggio e un metodo democratico. Almeno il rispetto per le persone. Tra i contestatori c'erano un assessore regionale, un parlamentare e un consigliere regionale. Questo è un messaggio molto brutto, non educa al rispetto e alla democrazia».

Pensa che sia in atto una campagna contro di lei?
«Contestazioni ci sono spesso e le precauzioni infatti vengono sempre prese. È in atto un profondo mutamento culturale, l'Italia sta diventando un Paese diverso e si tratta di cogliere queste diversità come opportunità e ricchezza. Il che significa anche dare una risposta, dare concretezza con atti legislativi e sul piano delle politiche di accoglienza. Altrimenti diventa difficile. Divento io oggetto di una campagna elettorale permanente e il populismo prende il sopravvento».

Vuol dire: togliamo la legge Bossi-Fini altrimenti mi mandano al massacro per niente. È questo il discorso?
«Senza arrivare alla Bossi-Fini su cui c'è un percorso aperto. A fine luglio ho annunciato un piano triennale di lotta a tutte le discriminazioni che vuol dire anche rafforzamento degli strumenti giuridici e quindi incluso la legge Mancino. Vuol dire rafforzamento di strumenti come l'Unar, campagne di sensibilizzazione e formazione mirate, dallo sport ai media alla scuola ai settori del welfare e del lavoro, attività di monitoraggio, progetti nei territori. A settembre siamo stati tra i 23 Paesi che hanno firmato il patto 2014-2020 stimolato dalla Dichiarazione di Roma. È un patto nato dall'iniziativa di Italia e Belgio che impegna i leader politici alla responsabilità e a messaggi educativi nel senso della valorizzazione delle differenze. Per togliere argomenti ai razzisti bisogna dare corso a questi impegni, investirci sopra. Come dicevo è in gioco il futuro e la civiltà dell'Italia, non la mia
persona o solo alcune categorie come gli stranieri. Il messaggio deve essere chiaro».

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