lunedì 14 settembre 2015

Aumentano Pil, produzione industriale e occupazione: ora bisogna sostenere la ripresa

di Alberto Pagani (Deputato PD)

I dati semestrali Istat disegnano un quadro di miglioramento che va incentivato con misure adeguate, per non disperdere il primo vero spiraglio che l'Italia vede da 7 anni a questa parte

Mentre si sta aprendo il “cantiere” della Legge di Stabilità, che dovrà delineare le strategie di intervento politico ed economico per il prossimo anno, a inizio settembre l'Istat ha fornito alcuni dati, come sempre molto degni di interesse, su consumi, produzione industriale, crescita e occupazione. I numeri dell'Istituto di Statistica sono più confortanti del previsto. Ma proprio di questi risultati dobbiamo fare tesoro nel delineare la programmazione per il 2016, se non vogliamo disperdere le potenzialità della ripresa che, seppur ancora aurorale, è confermata dalle cifre.
La crescita del Pil nel secondo trimestre dell'anno è stata dello 0,3% anziché lo 0,2% come precedentemente stimato. Oltre a questo l'Istat ha anche rivisto al rialzo la crescita del primo trimestre: 0,4% e non 0,3%. Numeri incoraggianti, che sostengono nettamente la previsione contenuta nel Def (il Documento di Economia e Finanza) sulla crescita 2015 allo 0,7%. Ovviamente è una crescita da consolidare, ma non va dimenticato che è la prima volta che accade dal 2008, ovvero dopo 7 anni di recessione.

Mediamente siamo inoltre allineati all'aumento del Pil dell'eurozona (non accadeva dal 2005) e addirittura in alcuni casi andiamo più spediti rispetto a Paesi importanti come la Francia, che nel 2015 sta segnando crescita zero. L'aumento dell'attività produttiva nel suo complesso è poi dello 0,7%. Un aspetto molto positivo di questi dati, come hanno spiegato i tecnici dell'Istat, è che incrementi di produzione e Pil sono trainati più dalla domanda interna che da quella estera. Ovvero sono ripresi i consumi delle famiglie (+0,6%). E sono cresciute anche le importazioni (+2,2%). Dato lievemente negativo riguarda invece gli investimenti (-0,3%), sebbene siano incrementati quelli sui macchinari aziendali e le attrezzature (+2,5%). Restano al palo le costruzioni: questo comparto assiste a un calo dell'1,9%, che deprime la media totale. Giustamente, l'Istituto di Statistica fa notare che la voce “investimenti” è però quella che occorre più di ogni altra irrobustire perché la ripresa sarà più duratura e l'economia più solida proprio quando questo capitolo aumenterà in maniera sostenuta.
Andando più nel dettaglio: nel secondo trimestre è cresciuta l'industria in senso stretto (+0,2%), così come sono cresciuti i settori del commercio (soprattutto i piccoli negozi), degli alberghi, dei trasporti (+0,2%). Su base annuale, però, la produzione industriale è cresciuta dello 0,4%. Il mercato dell'auto traina il settore (nel semestre si assiste addirittura a un +15% di produzione di mezzi). Delude l'industria alimentare (-1,7%) e forti arretramenti si registrano nell'attività estrattiva (-7,9%) e nella metallurgia (-5%). Flessione lieve, infine, per la manifattura (-0,2%). Positiva la performance dei servizi: il fatturato, complessivamente, nei primi sei mesi del 2015 cresce dell'1,8% trainato dal commercio e dalla riparazione degli autoveicoli. Molto bene, anche per ragioni stagionali, l'alberghiero (+3,4%) e la ristorazione (+1,2%).
L'Istat conferma che la disoccupazione è calata del 0,9% su base annua arrivando così al 12%. Bisogna però considerare che in tutta l'eurozona il tasso di disoccupazione è sceso sotto l'11% e che siamo lontanissimi dalla Germania, che guida il continente con una disoccupazione al 4,7%. Quel che più conta, però, è che aumenta l'occupazione (le due cose, infatti, non sono necessariamente correlate, perché il calo della disoccupazione potrebbe significare semplicemente che molti hanno smesso di cercare lavoro): dall'inizio dell'anno sono stati attivati 235mila nuovi rapporti di lavoro in più al netto delle cessazioni. In Italia nel 2014 lavorava il 55,7% della popolazione tra i 15 e i 64 anni (contro il 64,9% della media Ue): ad aprile 2015 lavora invece il 56,1% della popolazione di quella fascia. A fine luglio siamo arrivati al 56,3%. In sette mesi, insomma, l'occupazione è cresciuta dello 0,6%. La decontribuzione e la riforma del lavoro hanno dunque incentivato le aziende a fare contratti. Purtroppo non si attenua invece il divario tra Nord e Sud, tanto che il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno resta al 20,2%.
Dunque, questi numeri ci dicono alcune cose: la prima è che siamo entrati in una congiuntura migliore, ma che questa congiuntura deve essere sorretta in maniera saggia perché da sola non porta a cambiamenti radicali. Il secondo aspetto è che i consumi interni, che vanno incentivati ulteriormente, sono frutto anche delle politiche già attuate dal Parlamento e dal Governo (e probabilmente anche il bonus da 80 euro al mese ha avuto, alla fine, un effetto espansivo). Il terzo aspetto è che dobbiamo fare di più per il lavoro perché l'aumento degli occupati deve essere assai superiore: siamo ancora oltre 8 punti sotto la media europea. Bisogna dunque rendere le assunzioni ancor più convenienti. Per farlo, auspico ad esempio che la decontribuzione sui nuovi contratti stabili, contenuta nella legge di Stabilità 2015, venga mantenuta anche nel 2016. Auspico poi che le risorse che abbiamo a disposizione vengano prioritariamente indirizzate ad aiutare le aziende e a creare impieghi, prima di tagliare imposte a tutti senza tener conto del reddito delle persone. Infine: se la situazione è migliorata rispetto a qualche anno fa lo dobbiamo a fattori esterni (calo dei prezzi petroliferi, buone politiche monetarie da parte della Banca centrale europea), ma anche a fattori politici interni. La stabilità della Legislatura aiuta a far crescere la fiducia: anche per questo non possiamo permetterci di arenarci ora e bisogna portare avanti le riforme. Perché ora la discussione sulle misure economiche può ricominciare da uno scenario migliorato. Sta a noi migliorarlo ulteriormente. E in questo senso, come l'Istat indica, occorre far ripartire gli investimenti in maniera netta e ciò non è possibile se non delineando un chiaro quadro di sviluppo.

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