Il carro "Fermati uomo! - Festa di Mezzaquaresima 1950 |
L'autore, Beppe Sangiorgi, affronta con il professor Giuseppe Pittàno una interessante e stimolante riflessione sui carri allegorici della Festa di Primavera; "Carri di pensiero", come li definisce Pittàno, orginali e unici nel panorama delle manifestazioni popolari della nostra regione.
La conversazione tra Beppe Sangiorgi e Giuseppe Pittàno si concentra sul valore culturale, artistico, architettonico dei carri, sul rapporto tra la tradizione e l'esigenza di innovazione delle forme e dei contenuti dei carri.
Intervista a Giuseppe Pittàno, giornalista, docente universitario e, negli anni ’50, ideatore di carri allegorici.
A cura di Giuseppe Sangiorgi
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G. Sangiorgi – Professor Pittàno, lei ha realizzato per la RAI un ciclo di trasmissioni dal titolo “I parlari dell’Emilia-Romagna”, tracciando un itinerario linguistico lungo i percorsi della civiltà emiliano-romagnola. In questo programma (trasmesso ogni giovedì dalla rete regionale) lei ricorda e descrive feste tradizionali e popolari della nostra regione. Come si colloca la Festa di Primavera di Casola Valsenio in questo programma?
G. Pittàno – Io considero la Festa di Primavera ancora come la Festa di Mezzaquaresima, con la sua sfilata dei carri allegorici, unici come architettura e tematiche.
La Festa casolana ha una tradizione molto singolare e non vedo come collocarla nell’ambito delle manifestazioni popolari emiliano-romagnole né, penso, esistano altre manifestazioni di questo tipo al di fuori della regione trattandosi di una manifestazione storico-politica unica.
Compare sì il rito della segavecchia, comune a tutta l’area emiliana e, in modo più variegato, nell’area gallica, ma esso è secondario rispetto alla sfilata dei carri allegorici i quali rappresentano l’aspetto caratterizzante della sagra: non sono carri di festa o di divertimento ma piuttosto carri di pensiero, tant’è vero che sfilavano il giorno di mezzaquaresima, la quale era sì una giornata di festa ma anche di ripensamento.
G. Sangiorgi — Sulla origine dei carri allegorici di Casola Valsenio non esistono documenti. Secondo testimonianze orali pare che alla fine dell’800 si organizzasse la rievocazione di una battaglia (forse la famosa battaglia delle botti del 28 Ottobre 1523 tra i Ceronesi e Guido Vaino) e che piacque tanto ed entusiasmò tutti a tal punto da riproporlo l'anno seguente e di seguito ogni anno radicandosi in questo modo la tradizione di celebrare, con carri allegorici, uomini e fatti importanti nella storia dell'umanità. Quali sono le sue conoscenze intorno all’origine dei carri allegorici casolani?
G. Pittàno — Alla fine del secolo scorso in molti centri si tenevano sfilate di carri storici, ad esempio famosi "carri etruschi" di Bologna, me erano carri festosi con aspetti carnevaleschi. E' probabile che la manifestazione casolana abbia preso spunto de altre sfilate a carattere storico, tuttavia qui si è passati al tono serio della storia e il passo dalla storia alla politica é un passo quasi obbligato.
Ad un certo momento i personaggi raffigurati sul carro rappresentano anche la ideologia e quindi si verifica tra costruttori dei carri la divisione in fazioni politiche.
Ricordo che i miei nonni parlavano della mezzaquaresima come di una manifestazione vicina e qui concordo nel collocare l'origine dei carri allegorici verso la fine dell'800, anche se pochi anni fa c'era chi parlava del centenario della sfilata del carri.
G. Sangiorgi — La politicizzazione dei carri casolani si è manifestata nel primo decennio di questo secolo; nello stesso periodo nel quale assistiamo alla organizzazione del socialismo locale. Ci fu una connessione?
G. Pittàno — Certo! I costruttori dei primi carri, in genere piccolo borghesi del paese, intendevano divertire e fare un poco di cultura. In seguito riconoscendo in certi storici aspetti ideologici, ad esempio in Spartaco o in Bruto la rivolta contro il tiranno, i socialisti sono tra più accaniti costruttori di carri e avvertono la loro potenzialità di propaganda e di indottrinamento, soprattutto considerando la scarsissima diffusione della stampa e l'alto grado di analfabetismo.
II carro, con le sue allegorie elementari, era come un affresco medioevale con il quale si spiegavano agli analfabeti le grandi tematiche. II carro allegorico ricade in questa Ietteratura popolare.
Alla costruzione dei primi carri politici diede un contributo fondamentale la categoria dei calzolai, nerbo del socialismo e del movimento sindacale casolani. Le botteghe di calzoleria rappresentavano i circoli più politicizzati del paese essendo gli unici luoghi ove quotidianamente si ritrovava lo stesso gruppo di lavoratori. Gli altri operai erano ancora divisi e in condizione peggiore si trovava la campagna con i contadini refrattari ad ogni approccio politico e sindacale, succubi del padrone e del fattore. In questa divisione aveva certo forza anche una vena di razzismo che esisteva tra paese e campagna, a volte persino feroce, poiché il razzismo più tenace e più diffuso è quello spaziale tra centro e periferia, razzismo che affiora talvolta anche ai giorni nostri. Con carri si realizza la possibilità di un contatto ideologico tra il paese che lancia il messaggio e la campagna che lo “legge”.
Anche il fascismo sfruttò questo particolare mezzo di comunicazione di massa (diremmo oggi): portò in piazza tutta la mitologia fascista, con conquista dei mari, dei cieli, dell’impero, ecc. Eppure anche in pieno fascismo i comunisti e i socialisti casolani portarono in piazza un carro antifascista – Le grandi tappe della storia – che aveva ottenuto l’autorizzazione della questura perché ritenuto celebrativo delle conquiste del fascismo. L’ideatore e alcuni tra i costruttori pagarono poi le conseguenze di questo atto di coraggio. Questo dimostra come sia radicata la tradizione dei carri anche sotto l’aspetto della lotta politica.
G. Sangiorgi – Si evince che la molla che muove alla costruzione del carro è il desiderio di lanciare un messaggio, un ammaestramento politico più che la partecipazione alla sfilata per concorrere al premio.
G. Pittàno – L’ideatore e i collaboratori più stretti erano evidentemente mossi da motivi politici, poi intorno si costituivano delle società fatte di amici o di persone desiderose di collaborare sulla spinta di una affinità politica e ideologica, Di conseguenza le tematiche presentate risentono del momento politico: in periodi di lotta molto radicalizzata anche le società assumono connotazioni politiche ben precise (il carro dei comunisti, ecc.) e i carri sono fortemente caratterizzati in senso politico. Ad esempio, io ho presentato il carro Fermati uomo!, fortemente politico e, qualche anno dopo, Va’ pensiero, un carro che esaltava il sentimento nazionale. Fermati uomo! è un carro del 1950 ed era l’invito all’uomo di scienza di servirsi della sua forza per contribuire al progresso dell’umanità, non per distruggerla. Si trattava di un carro contro la bomba atomica, prima ancora che venisse l’appello di Stoccolma e fu segnalato per la chiara presa di posizione politica.
Si possono presentare tematiche più o meno politiche ma non si possono certo accettare le proposte qualunquistiche di chi dice: basta con la guerra, basta con il sangue, ecc. Proposte che, se accolte, porterebbero alla morte i carri di Casola, perché per fare i carri festosi occorrono decine e decine di milioni e non si potrebbe certo entrare in concorrenza con i carri di Cento, di S. Giovanni in Persiceto e di tanti altri luoghi.
G. Sangiorgi - Pur restando nella tradizione – tematiche storico/politiche, materiali di costruzione tradizionali – si avverte tuttavia l’esigenza di un continuo rinnovamento. Nel 1950 lei ideò e presentò il carro Fermati uomo!, fortemente innovatore. Quali potrebbero essere le innovazioni di oggi?
G. Pittàno – Con quel carro ruppi, prima di tutto, con una forma di ipocrisia e di costume vecchissima, portando in piazza uomini nudi mentre fino ad allora le figure allegoriche erano state ricoperte con mutandoni e maglie di lana. Il carro presentava inoltre una sagoma rivoluzionaria, totalmente diversa dalla tradizionale montagna. La ricerca di nuove strutture incontra dei limiti, ai quali si può ovviare con effetti di suono o di luce o altro; effetti impossibili una volta e oggi realizzabili grazie a una tecnica notevolmente progredita: se realizzassi oggi un carro verdiano l’effetto suono avrebbe la preponderanza. Potrebbe cambiare tutta la tecnica; il carro è come un quadro: c’è anche ha avuto il coraggio, come gli informali, di uscire fuori dalla cornice.
G. Sangiorgi – Lei concorda quindi con chi, negli ultimi anni, ha presentato forme nuove, forme geometriche mai viste, ad esempio i cubi, ed anche con chi ritiene si possano costruire parti del carro non statiche?
G. Pittàno – Certo! Se noi fossimo un poco attenti all’architettura contemporanea avremmo possibilità enormi di realizzare delle strutture nuove. Tuttavia, cubi o non cubi, bisogna che abbiano un gusto artistico, non generiche forme geometriche buttate là. Si deve sempre fare attenzione alla architettura perché il carro è un’opera di architettura e di struttura e quindi bisogna seguire anche l’andamento delle arti contemporanee, avere il coraggio di aggiornarsi anche culturalmente.
G. Sangiorgi – Considerato che la maggior parte di coloro che vengono alla festa sono ex casolani desiderosi di ritrovare i carri che ricordano sovente con nostalgia, quali potrebbero essere le reazioni di fronte a forme nuove?
G. Pittàno – Penso che, se culturalmente motivate, verrebbero capite e accettate. Ricordo che mentre costruivamo il carro Fermati uomo! tutti ridevano e lo chiamavano in dialetto l’ebaladôra. Io andai in piazza quasi sconosciuto, avendo di fronte società e costruttori di fama e di grande esperienza; la gente inizialmente rimase sbalordita e attonita per la novità, ma avvertì immediatamente la fortissima carica politica e umana che sprigionavano quelle nuove forme.
G. Sangiorgi – Ogni anno immancabilmente nascono polemiche attorno alla composizione e al verdetto della giuria. Lei auspica una giuria qualificata o una giuria popolare?
G. Pittàno – La giuria deve essere qualificatissima; quella popolare è assurda perché giudica per sentimento non per cultura, quando addirittura giudica per fazione. Sarebbe come nominare una giuria popolare in un premio letterario: tra una poesiucola di quattro versi in rima di un qualsiasi poetucolo e un pezzo di Ungaretti o di Montale, la giuria popolare premierebbe la poesiucola.
In tutte le cose ci vuole cultura, che non vuol dire scienza, ma vedere nel profondo delle cose. A mio avviso la giuria più è qualificata, più è imparziale. Essa dovrebbe essere formata da personalità che cambiano continuamente.
G. Sangiorgi – Cambiare i componenti della giuria non favorirebbe un certo conservatorismo o peggio una povertà di idee in quanto per una giuria ogni anno nuova, lo stesso carro o un carro con poche modifiche rispetto all’anno precedente apparirebbe sullo stesso piano degli altri?
G. Pittàno – E’ sufficiente nominare un presidente fisso, come avviene per molti premi letterari. Il presidente deve comunque essere una grossa personalità al di sopra delle parti e deve avere la capacità e la cultura tecnica. Un architetto ad esempio, perché per giudicare si deve avere il senso delle strutture e delle forme.
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