domenica 31 gennaio 2016

È la Costituzione che chiede le Unioni civili

di Stefano Ceccanti (l'Unità, 30 gennaio 2016)

Non è incostituzionale il testo, ma l’assenza di una legge sulle unioni di persone omosessuali

La settimana prossima il Senato inizia col voto delle pregiudiziali, non sulle soluzioni di merito. I due piani sono però collegati perché c’è la tentazione di accusare di incostituzionalità tutto ciò che non condividiamo. In verità su questo come su altri temi la Costituzione non può né vuole imbrigliare il legislatore ad un’unica soluzione, né ancorarlo ad un’univoca definizione di cosa sia “naturale”, su cui i Costituenti la pensavano in modo molto diverso. In ogni caso il principio personalista comporta per il legislatore l’assumere che “lo sviluppo della persona è un compito da realizzare e non solo un dato da rispettare” (Barbera).

Prima di affrontare le pregiudiziali va segnalato che ad essere incostituzionale è anzitutto non il testo, ma l’assenza di una legge sulle unioni di persone omosessuali. La Corte con le due sentenze chiave (138 del 2010 e 170 del 2014) ritiene che l’articolo 2 della Costituzione sia violato finché il Parlamento non provveda: da qui il carattere pretestuoso dell’argomento dell’esclusione delle persone eterosessuali che hanno già a disposizione il matrimonio. Nello stesso senso la Corte di Strasburgo che vigila sul rispetto della Convenzione europea (a cui ci vincola l’art. 117.1 della Costituzione) ha condannato l’Italia per l’assenza di una legge con la sentenza Oliari del 21 luglio 2015. Chiariti questi margini e questo vincolo, al di là della questione della copertura risolta con stime ricavate dall’analoga esperienza tedesca, le pregiudiziali propongono due tipi di argomenti.
Il primo è forse il meno comprensibile per l’opinione pubblica, ma va comunque esaminato perché, qualora fondato, travolgerebbe tutto. Si tratta della procedura: l’articolo 72 della Costituzione fissa delle regole per l’esame dei testi in modo che siano seriamente esaminati, prima in Commissione e poi in Aula, regole specificate nei Regolamenti. Fuori dal tecnicismo si potrebbe spiegare così: ma il Parlamento conosce davvero le cose su cui sta deliberando? L’istruttoria è stata seria? È un fatto che i testi sulle unioni abbiano occupato la Commissione Giustizia per oltre 70 sedute dal giugno 2013. Quello che si discute in Aula è un aggiornamento del testo adottato il 26 marzo 2015, varato proprio per tenere conto del dibattito che si è svolto su di esso per 20 sedute. Sostenere che l’esame in Aula sarebbe prematuro perché a causa dell’ostruzionismo in Commissione non è stato completato significherebbe accettare un potere di veto assoluto di chi non condivide un testo. Un veto che né l’articolo 72 della Costituzione né i Regolamenti potrebbero ammettere perché sarebbe travolta la funzionalità delle istituzioni. Il secondo tipo di argomenti si rivolge invece ai contenuti della legge e coinvolge alcuni articoli della Costituzione.

Prima di esaminarli, tuttavia, vale la pena di segnalare che una delle argomentazioni polemiche più utilizzate contro il provvedimento, spesso mettendo insieme merito e costituzionalità, riguarda il cosiddetto utero in affitto, che tuttavia è proibito dalla legge 40 e che non è toccato dal progetto in questione. Di conseguenza non dovrebbe fare oggetto di esame dell’Aula perché a rigor di logica gli emendamenti presentati su tale aspetto, al di là del merito, sarebbero estranei alla materia trattata. Il cuore delle obiezioni si concentra sulla presunta confusione che si verrebbe a creare tra l’unione civile (che per la Corte costituzionale deve fondarsi sull’articolo 2 della Costituzione) e la famiglia fondata sul matrimonio (basata sul 29). Non c’è dubbio che la differenza non possa essere solo nominalistica e in questo senso il dibattito ha aiutato a superare rinvii eccessivi agli articoli del Codice civile che regolano il matrimonio. Tuttavia il fatto che il fondamento sia diverso (il 2 e non il 29) non significa di per sé che le conseguenze pratiche debbano sempre e comunque essere diverse, ad esempio sulla successione o sulla reversibilità.

La Corte, che nella sentenza 494 del 2002, aveva dichiarato che «la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti», parla di ragionevolezza dei trattamenti differenziati che il legislatore è chiamato a valutare: quel richiamo vale sia a rifiutare una secca equiparazione sia ad evitare differenziazioni discriminatorie. In ogni caso sul punto più polemico che esiste davvero nella legge (l’altro, l’utero in affitto, come si è detto non è toccato) la questione del figlio che si trova già a vivere nella coppia, né la soluzione prevista dal testo, la cosiddetta adozione interna, né altre eventuali sembrano violare la frontiera tra articolo 2 e articolo 29. Già la giurisprudenza di merito è andata in tale direzione anche in assenza di una legge sulle unioni, ma una volta che si decide di approvare una legge in merito come si potrebbe evitare di affrontare, con questa o con altre soluzioni che si preferiscano sul piano politico, la questione dei doveri a favore dei figli presenti nell’unione? Insomma discutiamo laicamente nel merito degli emendamenti ammissibili, ma intanto sgombriamo il campo da pregiudiziali infondate.

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