di Filippo Taddei, Responsabile Economia e Lavoro PD (l'Unità, 21 dicembre 2016)
2 percettori di voucher su 3 svolgono un doppio-lavoro. Vale la pena chiedersi cosa avrebbero fatto in assenza del voucher: si sarebbero astenuti dal lavoro o l’avrebbero svolto in nero?
In politica capita spesso di confondere il problema con lo strumento e i presenti con i responsabili: così sta succedendo sui buoni lavoro (voucher), cioè lo strumento di pagamento per il lavoro accessorio. Proviamo a guardare al problema con un occhio alla storia – il livello del lavoro nero in Italia – e lo sguardo sul futuro – la lotta alla precarietà. Il Partito Democratico, quello che ha governato dal 2014 ad oggi almeno, lo può fare con una certa equidistanza: non siamo stati noi ad introdurre i voucher e non siamo stati noi a liberalizzarne l’uso. Al contrario: è stato attraverso il jobs act che abbiamo introdotto la tracciabilità per bloccare l’abuso più odioso. Vale comunque la pena andare con ordine.
Una breve cronistoria dei voucher aiuta a risolvere la confusione: nel 2008 c’è la prima applicazione concreta, ma limitata all’agricoltura. Da lì in avanti, sotto il Governo Berlusconi, si susseguono vari interventi volti all’estensione dell’uso dei voucher ma il culmine della liberalizzazione avviene con il Governo Monti.
Nel 2012 infatti il Ministro Fornero liberalizza di fatto l’utilizzo dei voucher a tutti i settori, introducendo un limite massimo di 5000 euro all’anno per il singolo lavoratore e un massimo di 2000 euro percepiti da una singola impresa/professionista.
Nel 2013 il Ministro Giovannini del Governo Letta cancella il requisito che le mansioni pagate a voucher siano “di natura meramente occasionale”.
Quindi nel 2014, prima dell’arrivo del Governo Renzi, il voucher era stato, nei limiti del reddito definiti dalla Fornero, pienamente liberalizzato.
Infatti, solo dal Governo Renzi in avanti diventa obbligatoria l’attivazione telematica dei voucher prima del loro utilizzo. Prima era possibile pagare il lavoratore senza prima registrare lui e il suo committente sul sito INPS attraverso il codice fiscale.
Dal 2015 il jobs act introduce tre cambiamenti e le prime due strette sull’uso dei buoni lavoro:
- il primo è l’estensione del massimale annuale pagabile a voucher a 7000 euro, pur restando il limite a 2000 euro per il singolo datore di lavoro;
- il secondo è il divieto di utilizzo dei voucher negli appalti;
- il terzo cambiamento consiste nella previsione, per la prima volta, dell’obbligo da parte del datore di lavoro di dichiarare in anticipo (almeno 60 minuti prima dall’inizio) non solo chi sia il lavoratore interessato ma anche “il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione”. Questo intervento, ultimo solo in ordine temporale, cancella l’abuso più odioso: se il datore di lavoro non è preciso nella indicazione degli orari, il voucher può essere utilizzato per coprire il lavoro nero anziché farlo emergere.
In passato bastava registrare il lavoratore in un dato periodo e, qualora si fosse presentato l’ispettore, era sufficiente dichiarare che il lavoratore era appena arrivato coperto dal singolo voucher per evitare le sanzioni.
Tutto questo oggi non è più possibile per la stretta tracciabilità introdotta dal jobs act.
Questa cronistoria non assolve nessuno per i problemi che rimangono da risolvere ma serve a chiarire le responsabilità per la condizione attuale.
Per comprendere se il voucher favorisce l’emersione oppure facilita la precarizzazione, è naturale guardare alla composizione dei prestatori. Uno studio INPS diretto da bruno Anastasia mostra come nel 2015 quasi il 10% dei percettori di voucher sono pensionati, mentre il 55% si divide tra persone che hanno un altro lavoro (la maggioranza) e percettori di ammortizzatori sociali (la minoranza).
In conclusione 2 percettori di voucher su 3 svolgono un doppio-lavoro. Vale la pena chiedersi cosa avrebbero fatto in assenza del voucher: si sarebbero astenuti dal lavoro o l’avrebbero svolto in nero?
La restante parte dei lavoratori percettori di buoni lavoro si divide tra chi non ha mai avuto una posizione previdenziale e quelli che avevano un lavoro ma l’hanno perso negli anni precedenti. Su questo gruppo di persone dobbiamo concentrare la nostra attenzione per vedere come correggere i voucher per combattere la precarietà. Dobbiamo farlo senza pregiudizi e con i dati che, grazie alla tracciabilità, avremo da gennaio.
Nel contrasto alla precarietà non dimentichiamo la lotta al lavoro nero. Poiché il lavoro nero è molto esteso, è un fenomeno eterogeneo che si sconfigge costruendo ponti che portino i lavoratori nella legalità. Cerchiamo di capire come i voucher possano aiutarci, studiamone i limiti ma comprendiamone i benefici. Perché se reagiamo sull’onda dell’indignazione rischiamo solo di rimanere con il lavoro nero senza diminuire la precarietà.
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