mercoledì 23 maggio 2018

La legge 194 non si tocca, si applica

Alessandro Barattoni, segretario Federazione PD Ravenna
Mirella Dalfiume, coordinamento Donne Democratiche - Federazione PD Ravenna

Il 22 maggio 1978 fu promulgata la legge 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.
In questi giorni è partita anche sul nostro territorio un’offensiva sconsiderata e inaccettabile contro questa legge da parte del movimento pro vita.
E’ bene ricordare che la legge non ha introdotto la pratica dell’aborto ma ha tolto dalla clandestinità e dall’illegalità l’interruzione volontaria della gravidanza, grazie alla capacità delle donne di imporre all’agenda politica un drammatico vissuto femminile fino ad allora relegato nel privato ed esposto da un lato al rischio di morte, dall’altro alla galera.
La legge fu fortemente voluta dalle donne di gran parte del movimento femminista, dell’Udi, dei partiti di sinistra, dei sindacati e delle associazioni e tante altre seppero mettersi insieme, dopo mediazioni non facili, e vinsero. Le strutture sanitarie pubbliche dovevano garantire gratuitamente l’interruzione volontaria di gravidanza e i consultori dovevano assicurarne la prevenzione attraverso una efficace educazione sessuale e sanitaria. La legge recepì queste istanze, ma consentì l’obiezione di coscienza anche se circoscritta al solo personale, la struttura era tenuta in ogni modo ad assicurare gli interventi.
Tutte le rilevazioni statistiche effettuate dal 1978 ad oggi dimostrano che: in questi 40 anni il calo delle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia è stato ed è in continua e progressiva diminuzione; attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei paesi occidentali; l’aborto volontario non è mai stato un mezzo di controllo delle nascite.
Se si va a rileggere il testo della 194, si scopre che il vero problema della legge, a quarant’anni dalla sua introduzione, è soprattutto la sua mancata applicazione.
Il nodo è quello dell’obiezione di coscienza di medici e infermieri. Secondo l’ultimo rapporto del ministero della Salute, con dati del 2016, i ginecologi obiettori nelle strutture in cui si praticano interruzioni di gravidanza sono oltre il 70%. In molte regioni il diritto garantito dalla 194 è di fatto negato. Ci sono strutture dove l’obiezione è totale e altre ridotte a catena di montaggio dell’aborto, con singoli operatori che arrivano a praticarne 400 all’anno.
Nel 2016 il Consiglio d’Europa, su ricorso della Cgil, ha richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la «discriminazione» nei confronti del personale sanitario non obiettore. L’anno dopo ha fatto lo stesso il comitato dei diritti umani dell’Onu, sottolineando come questi ostacoli portino a un aumento degli aborti clandestini. Con i suoi rischi e le sue tragedie.
Quarant’anni dopo, le donne incontrano ancora molti ostacoli e il loro diritto a scegliere è tutt’altro che garantito.
L’accesso a pratiche di IVG meno invasive, come la pillola del giorno dopo, l’assistenza sanitaria in tutte le strutture sanitarie pubbliche o accreditate, per non scaricare le scelte degli obiettori sulle donne e sui medici non obiettori, il rilancio dei consultori familiari, l’accesso a metodi contraccettivi semplici, senza effetti collaterali, meno costosi e reversibili, l’educazione alle relazioni e alla sessualità nelle scuole sono elementi fondamentali per ridurre il numero di gravidanze indesiderate e il ricorso all’IVG.
Solo così potremo esercitare il diritto alla procreazione responsabile.
Il Partito Democratico sarà dalla parte delle donne e dei diritti.”

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