mercoledì 20 gennaio 2021

AURELIO ACERBI, vita di un militante

Aurelio Acerbi, nel 1921, è stato il primo Segretario della Sezione del Partito Comunista di Casola Valsenio. A lui, nel dopoguerra, venne intitolata la Sezione del PCI.

Nel 100esimo anniversario della fondazione del PCI, di Aurelio Acerbi pubblichiamo la biografia che Amilcare Mattioli - dirigente comunista, professore e primo sindaco di Casola nominato dal CLN a fine 1944, scomparso nel 1982 - scrisse nel numero 4 de “IL COMPAGNO”, agosto 1974.

Aurelio Acerbi nacque nel 1902 da una famiglia di artigiani che, nelle condizioni di miseria e di indigenza in cui viveva in quegli anni la più gran parte della popolazione del nostro paese, poteva considerarsi quasi benestante.

Il padre, che i vecchi ricordano ancora con il soprannome di “Marescial” (forse dovuto a un certo scontroso atteggiamento nei suoi rapporti personali), era, e rimase, un cattolico con delle marcate e per quei tempi abbastanza spregiudicate simpatie per il movimento socialista: questo spiega anche, in parte, perché egli acconsentisse a mandare in seminario i figli, una volta terminate le elementari; d’altra parte non solo in quegli anni ma per molto tempo a venire, questo costituiva per le famiglie casolane che non fossero di condizione nettamente agiata, l’unica strada per far proseguire gli studi ai propri figli che ne avessero mostrato predisposizione.

Così fu per Aurelio il quale, peraltro, terminato in seminario a Imola il ginnasio, decise di tornarsene a Casola anche a costo di dover lavorare come garzone nella bottega da calzolaio del padre.

Erano quelli gli anni della prima guerra mondiale, ed erano soprattutto gli anni in cui anche a Casola dopo un decennio di “apostolato socialista” ad opera di uomini come Giulio Cavina e Luigi Sasdelli, l’ideale del socialismo cominciava a conquistare sempre più largamente la coscienza dei lavoratori e soprattutto dei giovani.

Ben presto Aurelio fu attratto da questo ideale e tali furono la sua passione e il suo impegno che, appena diciassettenne fu eletto segretario della gioventù socialista e dopo poco della sezione di Casola del P.S.I.

Al momento della scissione di Livorno, egli aderì al Partito Comunista seguito in ciò da una minoranza (per lo più giovani) della sezione socialista: divenne quindi il primo segretario della sezione di Casola del Partito Comunista d’Italia, come allora si denominava il nostro Partito.

Sopraggiunse la bufera fascista, i cui sicari trucidarono a Casola il compagno Luigi Sasdelli, infaticabile educatore di tante coscienze socialiste, e perseguitarono con minacce e violenze gli antifascisti, tra cui in particolare il compagno Acerbi.

Le leggi eccezionali del 1926, che misero al bando primo tra gli altri il Partito Comunista, interruppero purtroppo ogni collegamento fra la sezione casolana del P.C. e gli organi nazionali e provinciali.

Nonostante ciò, anche negli anni più oscuri della dittatura fascista, Aurelio Acerbi non solo non piegò di fronte alle persecuzioni di cui era costantemente fatto segno (più volte fu sottoposto ad “ammonizione”, più volte fu tratto in carcere a Faenza e qui duramente maltrattato, cosicché non è azzardato affermare che la sua fine prematura sia da imputare anche alle percosse subite), ma cercò anzi – in quelle difficilissime condizioni – di tenere viva anche a Casola la fede negli ideali di riscatto umano che ispiravano la militanza comunista.

Un episodio particolarmente significativo di questo ininterrotto impegno, di questa coerenza politica e morale, merita di essere ricordato, anche perché in quella circostanza il nostro compagno Acerbi – forse istintivamente – seppe realizzare, nelle condizioni concrete in cui doveva operare, una direttiva fondamentale del nostro Partito e cioè di avvalersi di qualsiasi occasione e strumento “legale” offerto dalle circostanze per manifestare l’opposizione antifascista.

C’era la “Fiera di Mezza Quaresima” con la tradizionale sfilata dei carri, un avvenimento allora di ben più largo richiamo popolare rispetto ad oggi.

Acerbi e altri antifascisti costituirono allora una “società” e si misero ad allestire dei carri che in un modo o nell’altro proponessero, sia pure allusivamente, un discorso antifascista e progressista. Finché agli ottusi gerarchi fascisti apparve chiaro il significato di un memorabile “carro”, intitolato “LE GRANDI TAPPE DELLA STORIA” che celebrava i momenti più alti mediante i quali l’umanità era andata progressivamente conquistando dignità e diritti.

Sul carro figurava tra l’altro una frase che esortava gli italiani ad “accendere nella notte le fiaccole perché l’alba è ormai vicina”: una frase tratta dall’opera forse più nazionalista del “supernazionalista” Alfredo Oriani, ma che in questo carro e in quel tempo assumeva un significato del tutto rovesciato e “sovversivo”, come ben avvertì, infuriandosi, il musicista fascista Balilla Pratella, quel giorno presidente della giuria.

Ovviamente, non compariva l’esaltazione della Rivoluzione d’Ottobre, ma in compenso la giovane donna che simboleggiava la Rivoluzione Francese era tutta ammantata di rosso fiammante e gli applausi fragorosi con cui la gente accoglieva la comparsa del carro rendevano ancor più esplicito il significato di quel “rosso”.

La conseguenza più immediata fu una nuova “ammonizione di polizia” per il compagno Acerbi, ideatore e regista del carro, ma quella più profonda e importante fu – per molti casolani – di intendere che davvero c’era chi non si arrendeva, chi continuava come poteva a resistere, a contrattaccare.

Chi scrive queste parole – e non può non pensare con commossa ammirazione al compagni Acerbi come alla guida sua e di altri giovani verso la conquista degli ideali comunisti – era allora un giovanissimo studente: un ricordo vivo è nella mia mente, allorché d’estate, alle quattro circa di mattina, egli mi svegliava perché ascoltassi con lui Radio Madrid e Radio Mosca, le due voci libere e amiche i cui notiziari egli sapeva poi utilizzare sia per informare e orientare gli amici, sia per ridicolizzare con la sua caustica ironia la boria e l’ignoranza dei gerarchetti casolani.

Purtroppo la sua debole fibra, minata da una grave malattia e insidiata dalle percosse e dalle violenze fasciste subite, non resse a lungo: a soli trentasei anni Aurelio Acerbi morì, fino all’ultimo assolvendo al suo dovere di comunista, certo sempre che sarebbe giunto infine il giorno in cui la causa per la quale tanto aveva dato avrebbe trionfato.

Prof. Amilcare Mattioli 


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