Lettera di Pier Luigi Bersani
a “La Repubblica” – 3 gennaio 2012
Caro Direttore,
come tutti dicono,
abbiamo davanti un anno arduo e non semplice da interpretare. Vale forse la
pena di "progettarlo" un po', togliendo di mezzo un eccesso di
fatalismo. Vorrei cominciare con qualche prima idea. I tre punti dell'agenda
politica del PD.
1. La scena
si apre sull'Europa.
Fino ad ora le decisioni sono state deboli. L'agenda da qui a marzo di per sé
non rassicura. Nelle opinioni pubbliche è ancora dura come il marmo quell'ideologia
difensiva e di ripiegamento che le destre europee hanno coltivato, ricavandone
inutili vittorie, e che i progressisti non hanno potuto o saputo contrastare,
ricavandone larghe e dolorose sconfitte.
Inutile illudersi. O si mette
in comune rapidamente e seriamente la difesa dell'Euro (vincoli di disciplina,
strumenti efficaci e condivisi contro la speculazione e per la crescita,
politiche macroeconomiche coordinate) o sarà il disastro. Se davvero l'Italia è
troppo grande sia per fallire che per essere salvata, allora è troppo grande
anche per stare zitta. È tempo che ciascuno di noi faccia la sua
parte in Europa; il Partito Democratico sta lavorando per la piattaforma comune
dei progressisti europei. Ma è tempo anche di fare qualcosa assieme, qui in
Italia. Governo e forze politiche possono determinare una posizione nazionale.
Il Parlamento (che non esiste solo in Germania!) può articolarla e assumerla.
Il nostro Presidente del Consiglio può interpretarla e gestirla al meglio. Le
idee ci sono e vedo su di esse la possibilità di una larga convergenza. Il
biglietto da visita delle nostre idee in Europa potrebbe essere così concepito:
noi continueremo le nostre riforme e ci riserviamo ogni ulteriore iniziativa
per rafforzare la nostra credibilità.
Ma non faremo più manovre. A chi raggiunge il 5% di avanzo
primario che cosa altro si può chiedere? Nel caso, nessuno pensi di trattarci
come la Grecia. Come si diceva, siamo troppo grandi e quindi parecchio
ingombranti. Se ne tenga conto.
2. Torniamo qui ai nostri compiti. Salvare l'Italia significa, al concreto,
contrastare la recessione, produrre crescita e occupazione, dare una
prospettiva alla nuova generazione. Salvare l'Italia è possibile solo se
cambiamento e coesione si danno la mano. Se coesione e cambiamento diventassero un
ossimoro, non ci sarebbe speranza. L'azione di governo deve dunque possedere un
metodo fondamentale e un fondamentale messaggio. Quanto al metodo, emergenza e
transizione pretendono una forma particolare di dialogo sociale tale da
sollecitare partecipazione e corresponsabilità, salvaguardando comunque la
decisione tempestiva. Si può fare e, a parer mio, si deve fare. Ma voglio
sottolineare in particolare il metodo politico. Il Governo troverà la sua forza
in un rapporto stabile, permanente e ordinato con i Gruppi Parlamentari; un
rapporto da allestire anche nella fase ascendente delle decisioni. Si parli di
mercato del lavoro, o di liberalizzazioni, o di politica industriale, di
pubblica amministrazione, di immigrazione, di Rai e di cento altri temi,
esistono in Parlamento, da ogni lato, idee inevase da anni e non
necessariamente divisive.
Dica il Governo il suo piano di lavoro, raccolga dal
Parlamento orientamenti e idee e avanzi quindi le sue decisioni e le sue
proposte. Noi non pretendiamo il cento per cento di quel che faremmo, e così
sarà per gli altri. Ma la trasparenza e la chiarezza servono a tutti. Quanto al
messaggio fondamentale, se nell'emergenza è in gioco il comune destino del
Paese, si deve innanzitutto promuovere un'idea di comunità degli italiani. Ci si ricordi allora che la solidarietà è la materia
prima di una comunità, è ciò che la distingue da una accozzaglia anarchica di
interessi. Se vogliamo farcela, tutti assieme, i riflettori vanno dunque
puntati su chi è più in difficoltà. Bisogna predisporre l'aiuto a chi sta
vivendo e vivrà le condizioni più difficili, come l'assenza di lavoro,
l'insufficienza di reddito o una disabilità abbandonata. Su questo, non ci
siamo ancora. Occorre fare di più, cominciando
col cancellare qualche inutile asprezza di alcune misure già adottate che
suscitano un giusto risentimento.
3. La grande parte delle forze politiche e parlamentari si
dichiarano interessate e disponibili ad una iniziativa di riforma delle Istituzioni
e della politica. Il Presidente della Repubblica la sollecita autorevolmente. È
evidente che un simile percorso significherebbe stabilità per il Governo e
maggiore credibilità della politica e delle Istituzioni nella prospettiva della
nuova legislatura. Sto parlando della già avviata adozione di parametri europei nei costi della politica, di riduzione
del numero dei Parlamentari, di riforma del bicameralismo, di radicale
aggiornamento dei regolamenti parlamentari e, alla luce delle prossime decisioni
della Corte, di riforma elettorale. Su tutto questo esistono
proposte e appaiono possibili convergenze significative. Si intende fare sul
serio? Intendiamo davvero passare dalle parole ai fatti? Questo pronunciamento
tocca innanzitutto ai segretari dei partiti, ovviamente non solo a quelli che
hanno votato la fiducia al Governo, ma a partire da loro. C'è poco tempo ed è quindi ora di prendersi impegni
pubblici, espliciti e dirimenti.
I tre punti che ho segnalato
dovrebbero essere, a parer mio, l'agenda di gennaio. Infine una
parola per chi, nel gioco ormai stucchevole fra tecnica e politica, si
predispone a promuovere, chissà in quali forme nuove, l'edizione 2012
dell'antipolitica. L'Italia ha già dato. Per quello che ci riguarda il Partito
Democratico ha compiuto un gesto propriamente politico, trasparente e generoso,
nel sostenere questa transizione e si predispone ad offrire agli elettori,
quando sarà il momento, una proposta riformista e democratica di ricostruzione,
alternativa al decennio populista. Siamo pronti a riconoscere in termini nuovi
i codici e i limiti della politica. Anche in questo difficile passaggio,
tuttavia, siamo convinti di poterne rafforzare la dignità e l'indispensabile
ruolo.
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