mercoledì 14 settembre 2011

Con la fiducia numero 50 passa alla Camera una 'manovra' ingiusta e sbagliata

Il PD vota "no" ma passa la manovra alla Camera con 316 sì e 302 no. Veltroni: "Serve un nuovo governo che abbia credibilità in Europa, in grado di varare le riforme necessarie al Paese, altrimenti si piomberà in una spirale di manovre".
Siamo alla cinquantesima imposizione del voto di fiducia da inizio legislatura. Il PD vota "no" ma la manovra economica è passata anche alla Camera dei Deputati con 316 sì e 302 no.
L'entità complessiva della manovra varata oggi in via definitiva ammonta a circa 54,2 miliardi di euro al 2013.
Le entrate nelle casse dello Stato, previste dalle modifiche contenute nel maxi emendamento inserito dall'esecutivo durante l'esame a Palazzo Madama deriveranno in linea generale:
dall'aumento del gettito dell'Iva, che sale dal 20 al 21 per cento; dall'innalzamento dell' età pensionabile delle lavoratrici private da 60 a 65 anni dal 2014.
In piccolissima parte dal contributo di solidarietà che sarà solo del 3 per cento e riguarderà esclusivamente i redditi oltre i 300 mila euro.

Inoltre sono contenuti nella manovra:
il contestatissimo articolo 8, che prevede per i contratti di lavoro, la possibilità di derogare dalle norme nazionali sulla base di accordi aziendali o territoriali;
e l'attenuazione del dispositivo sul carcere per gli evasori fiscali: le manette scatteranno infatti solo quando le tasse non pagate riguarderanno il 30 per cento di un volume d'affari di almeno 3 milioni di euro.
"Serve un 'nuovo governo con una ampia base parlamentare', guidato da una personalità che abbia credibilità in Europa, in grado di varare le riforme necessarie al Paese, altrimenti si piomberà in una 'spirale di altre manovre' che però non raggiungeranno i loro obiettivi". Lo ha detto Walter Veltroni annunciando in aula alla Camera il 'no' del Pd alla fiducia sulla manovra.

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Riportiamo il testo completo dell'intervento in Aula di Walter Veltroni per il Partito democratico

Signor Presidente, oggi è un tempo speciale, per molti versi drammatico, una di quelle stagioni difficili che raramente per fortuna si presentano a chi ha responsabilità politica. Oggi tutto è a rischio, oggi in discussione c'è davvero il futuro del nostro Paese e il futuro dell'Europa, la più grande costruzione politica del dopoguerra, che ha bisogno di diventare presto, in questa crisi spaventosa, gli Stati Uniti d'Europa, il progetto che Altiero Spinelli sognò mentre bruciavano Coventry e Dresda.
Ogni giorno il Paese si impoverisce, per anni in ogni famiglia italiana si è salito, con fatica e sudore, con talento e creatività, un gradino sociale nella certezza che i nostri figli avrebbero vissuto meglio di noi. Ora non è più così, e l'insicurezza di milioni di ragazzi italiani che studiano per prendere una laurea e finiscono a 600 euro al mese, non tutti i mesi, in un call center è il paradigma del rischio di declino di una grande nazione.
Giorgio Napolitano ha fatto riscoprire all'Italia l'orgoglio della sua storia e della sua identità, e mentre i Ministri deridevano il tricolore quell'uomo, figlio del tempo del dolore e della speranza italiana, ha ricucito il senso e la dignità del nostro essere figli di questo meraviglioso Paese.
All'Italia che assiste sgomenta alla crisi inedita di questi giorni non abbiamo il diritto di riservare in quest'Aula le parole di un comizio, troppo facili e troppo ovvie. Penso che il Governo e in particolare il Presidente del Consiglio abbiano responsabilità davvero storiche, so bene, perché non sono un fazioso, che oggi nessuno è al riparo da una condizione generale dell'Occidente che ha un nome che fa venire i brividi: si chiama recessione, la crisi della produzione e dei consumi. Quella parola nel Novecento ha significato tragedie sociali e umane, non dimentichiamolo mai.
Non sono quelli che viviamo giorni della cronaca ma giorni della storia, per questo voglio rivolgermi con rispetto a voi, donne e uomini della maggioranza che da più di tre anni guida questo Paese, con rispetto ma con schiettezza, che spero apprezzerete. Cosa serve all'Italia ora? Serve che prosegua il balletto delle manovre, un, due, tre, quattro, cinque, che si è svolto sotto gli occhi attoniti della comunità internazionale e dei cittadini? Serve che si continui lo spettacolo inverecondo delle divisioni e dei veti, del dito medio indicato a chi parla di riforma delle pensioni, con i gruppi e le fazioni della maggioranza che si scannano, con il Presidente del Consiglio che dice che il suo Ministro dell'economia e delle finanze rievoca, combattendo l'evasione fiscale, i tempi dello stalinismo?
Serve che il Governo si scagli contro quei sindaci, anche di centrodestra, che protestano per scelte che peggioreranno la qualità sociale della loro comunità? Serve una coalizione che ha iniziato la legislatura invocando i dazi contro la Cina e ora la cerca affannosamente per vendere patrimonio o debito? E serve che in sedi internazionali Berlusconi chiami criminale - lo ha detto ieri l'onorevole Casini - un'opposizione che in poche ore ha consentito l'approvazione di due manovre che non condivide radicalmente?
Cosa avrebbe detto se fosse accaduto quello che successe in quest'Aula qualche anno fa, con la legge finanziaria che consentì l'entrata nell'euro, quando proprio Berlusconi allora capo dell'opposizione fece abbandonare l'Aula mettendo a rischio quella scelta storica?
Dobbiamo uscire da questa crisi e dobbiamo uscirne più forti come italiani; tutti sapete - e lo dite - che la corsa non di un Governo, ma di una lunga fase politica durata quindici anni è finita, lo hanno detto le elezioni e lo dicono quei sondaggi che un tempo venivano tanto citati e oggi tanto nascosti. Lo dice la stampa internazionale, gli osservatori e la crescente freddezza dei nostri partner europei, lo dicono i mercati che sono un termometro importante della stabilità e affidabilità di un Paese.
Il Presidente del Consiglio può anche pensare, come ripete in modo sempre più astioso e stanco, che sia un complotto ordito da non so chi, ma mente a se stesso e ricorda la storia immaginaria dell'uomo che imbocca l'autostrada nel senso sbagliato e sente la radio che lancia l'allarme dicendo: «attenzione, un uomo ha imboccato l'autostrada contromano», e commenta con se stesso: «sì, uno, saranno mille». È il Presidente del Consiglio che è contromano, non il resto del mondo.
È per questo che è giusto che guidi qualcun altro il nostro Paese e riporti l'auto nella corretta direzione. È già capitato nella storia italiana che le forze politiche, chi aveva vinto e chi aveva perduto le elezioni, si rendessero responsabilmente conto che vi sono dei momenti in cui vi è bisogno di qualcosa di più, e questo qualcosa di più ha una luce che lo illumina e lo definisce: si chiama interesse nazionale.
La dignità di un uomo politico e di Stato si vede non quando assume potere e responsabilità, ma quando capisce che la sua permanenza può nuocere alla forza e al futuro del proprio Paese e ne trae le conseguenze. Quanto più si è governato scambiando mezzi e fini, quanto più è apparso che gli interessi privati fossero prevalenti su quelli generali del Paese, tanto più, in un momento così difficile, si è chiamati a rispettare le ragioni della collettività e della nazione.
Fare un passo indietro, senza chiedere contropartite, è un atto di dignità politica e personale, che non potrebbe, come tale, che essere apprezzato. Non farlo è un atto di arroganza e di egoismo. Voglio dirlo chiaramente: abbiamo bisogno, e subito, di un nuovo Governo, di una soluzione che restituisca al Paese serenità e prestigio internazionale, senza vincitori e vinti, ma con una sola stella polare: il bene degli italiani.
L'improvvisazione con la quale si è affrontata questa crisi, prima negata e poi subita, non si può protrarre in questi tempi così eccezionali. Abbiamo bisogno di un Governo con un'ampia base parlamentare, non un ribaltone e nemmeno la miseria, che oggi va in scena, delle maggioranze fatte di transfughi e di paura; di un Governo guidato da una persona che in Europa sia rispettata ed ascoltata e possa parlare a nome dell'intero Paese, come fece Alcide de Gasperi al tempo della ricostruzione.
Continuando invece così, nella totale sfiducia che accompagna, in questo momento, il nostro Governo, saremo costretti a nuove manovre, in una spirale concitata che ha già fatto tanto male ad un Paese amico come la Grecia. Bisognerà, invece, fare scelte radicali e profonde, e tutti, nessuno escluso, dovranno caricare sulle proprie spalle il fardello della verità sulla situazione del Paese e la responsabilità delle decisioni conseguenti.
Né la maggioranza può continuare a negare l'evidenza di una svolta necessaria, né l'opposizione si può sottrarre all'assunzione di oneri e responsabilità pesanti. Tutti, per l'Italia, abbiamo bisogno di dimostrare che la politica può essere la forma più alta di disinteresse e di coraggio, altrimenti non ci si lamenti per quella che viene chiamata l'antipolitica.
Ciò che la genera è la rissosità e l'inconcludenza di un sistema che appare troppo pesante e lento a fronte della rapidità dei mutamenti strutturali. L'antipolitica nasce se si varano tre Commissioni bicamerali e se ne ignorano i risultati, nasce se chi decide sembra pensare a sé, mentre intorno tutto è scosso e tutto vacilla. L'antipolitica nasce se nella politica crescono malaffare e criminalità, se la legalità è considerata un fastidio e i poteri terzi un'anomalia l'antipolitica nasce quando vi è un Governo senza potere e un Parlamento senza capacità di controllo. La politica e la partecipazione sono l'unico strumento che abbiamo per evitare che la crisi diventi rischio di frattura nel tessuto sociale e civile del Paese.
E quando sento che viene proposto come soluzione, gridata proprio sabato scorso nella Piazza di Montecitorio, di chiudere il Parlamento, mi viene in mente l'ultimo discorso che da quello scranno tenne Giacomo Matteotti, per difendere la libertà e la democrazia nel nostro Paese.
Non di altre manovre abbiamo bisogno, non di annunci improvvisati, ma di respiro lungo. Vorrei dire con una frase: meno manovre e più riforme. Abbiamo bisogno che si affrontino con senso di equità la riforma delle pensioni e quella del lavoro; non l'inutile e ideologico articolo 8, ma un nuovo patto con le parti sociali, che abbia al centro la fine della precarietà, una nuova stagione di lavoro femminile e una maggiore produttività diffusa, perché l'Italia ha bisogno di crescita, di innovazione, di tecnologia, di sapere che si accompagna al rigore.
L'Italia ha bisogno di lavoro e di impresa e sbaglia chi, ancora, non capisce che è il tempo di una grande alleanza dei produttori per la crescita e l'equità. Bisognerà proporsi di dare un colpo serio al debito che ci taglia le gambe e ci succhia futuro. Come ha detto Bersani: riforma radicale della pubblica amministrazione e valorizzazione del patrimonio pubblico. E poi, dimezzamento dei parlamentari, differenziazione delle due Camere, alleggerimento della macchina politica per avere una democrazia che funziona.
E poi chiedere a quel 10 per cento del Paese, che possiede il 48 per cento del patrimonio, di contribuire.
Voi vi siete accaniti nei vari tentativi di manovra contro chi paga le tasse, ma lo scandalo di questo Paese è che solo il 2 per cento dichiari più di 74 mila euro. Lo scandalo italiano è l'evasione fiscale, come lo è il fatto che si accetti, come un male incurabile, che le mafie succhino al PIL 150 milioni di euro.
Non manovre, riforme. Subito un Governo con un ampio sostegno parlamentare che possa affrontare l'emergenza e compiere le scelte più dolorose. È quello che fecero, con successo, Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.
Giriamo pagina, facciamolo insieme. Cambiamo la legge elettorale che tutti aborriamo e poi si confrontino alle elezioni schieramenti fondati su omogeneità politica e programmatica.
Non siamo un Paese «di schifo», onorevole Berlusconi, siamo una grande e coraggiosa comunità. Dimostri di amare l'Italia, che con lei è stata sin troppo generosa, e faccia un passo indietro.Il Paese lo apprezzerà e comincerà per tutti un tempo nuovo.

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