La coscienza morale dei cechi, una delle voci più alte in
Europa, si è spenta:
Vaclav Havel, ex dissidente e primo presidente della
Cecoslovacchia democratica, è morto. È morto a Praga a 75 anni. Il presidente
letterato, drammaturgo, attivista dei diritti umani, voce spesso scomoda e
controcorrente di un'Europa a suo avviso troppo pavida e prudente, amico del
Dalai Lama, se ne è andato dopo l'ennesimo ricovero in ospedale. Protagonista
incontrastato del dissenso nella Cecoslovacchia, Havel, dopo la 'Rivoluzione di
velluto' e la svolta democratica nel 1989 in cui ebbe un ruolo centrale, divenne
il primo presidente della Cecoslovacchia post-comunista e poi, con la
separazione consensuale dalla Slovacchia nel 1993, della Repubblica ceca.
Per i cechi e ben oltre i confini nazionali, è stato il simbolo del dissenso e
della lotta contro l'oppressione del regime comunista nel suo Paese e delle
dittature in tutto il mondo. Artefice della Rivoluzione pacifica dell'89,
attivista dei diritti umani, fondatore e firmatario di Charta '77. Per il suo
impegno per i diritti civili e la libertà, Havel è stato ripetutamente
incarcerato in Cecoslovacchia: quasi cinque anni in tutto, un'eternità che gli
costò peraltro anche la salute, ma un periodo in cui produsse anche capolavori
letterari come le famose lettere dal carcere alla moglie Olga. All'estero era
una autorità, ma anche in patria era amato, soprattutto durante il mandato
presidenziale. Verso la fine era visto un pò come un outsider che spesso aveva
ragione ma che poi perdeva. Per alcuni era «un intellettuale di sinistra». Un
sognatore romantico, ma anche un combattente tenace che andava avanti anche a
costo di sbattere la testa. La sua biografia ammaliava tutti, fra teatro
dell'assurdo e favola con happy end. Per i grandi del mondo, specie in tempi di
crisi e terrorismo, era un punto di riferimento morale. Fra i tanti a volerlo
incontrare anche il presidente americano Barack Obama. Havel era nato il 5
ottobre 1936 in una famiglia benestante di imprenditori ed intellettuali di
Praga: una ‘colpa’ mai perdonata dal regime comunista del dopoguerra che
l'accusò di avere collaborato coi nazisti durante l'occupazione. Nonostante
gravi difficoltà a fare gli studi liceali e poi universitari, Havel riuscì a
seguire i corsi serali all'Università tecnica di Praga. Negli anni '60 dopo il
servizio militare cominciò a lavorare come macchinista in alcuni piccoli
teatri, fra cui il Teatro alla Ringhiera, dove poi andarono in scena alcune
delle sue prime opere, come Festa in Giardino (1963). Parallelamente studiava
per corrispondenza drammaturgia. In quegli anni scrisse due opere di rilievo,
Il memorandum (1965) e Difficoltà di concentrazione (1968). La Primavera di
Praga nel 1968 e le repressioni seguite all'invasione sovietica indussero
Havel, cacciato dal teatro, a impegnarsi nella lotta contro il regime: quasi
cinque gli anni trascorsi dietro le sbarre. Nel 1989 in veste di leader del
Forum Civico fu eletto primo presidente della Cecoslovacchia e riconfermato
nella Repubblica ceca nel 1993. Nonostante la precaria salute e numerosi
interventi chirurgici, nel 1998 fu rieletto per un secondo mandato.
Filoamericano, Havel fu il principale fautore dell'entrata della Repubblica
ceca nella Nato (12 marzo 1999). Nel 2003 gli successe Vaclav Klaus, suo acceso
avversario, e Havel annunciò di lasciare la politica per dedicarsi alla sua
professione di drammaturgo. Dopo 20 anni di pausa scrisse la piece 'Gli Addiì,
su un politico incapace di accettare la perdita del potere. La prima si tenne a
maggio 2008 al Teatro Arca di Praga. Nella primavera scorsa uscì la versione
cinematografica di 'Addiì con la sua regia. Di recente Havel aveva detto di
voler scrivere il suo ultimo dramma, Sanatorio, una specie di prosecuzione
naturale di 'Addiì. Dopodichè, annunciava, avrebbe davvero smesso di scrivere
per godersi un pò di riposo.
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