«Sento in giro molte preoccupazioni sul dopo Monti. Allora
chiariamo subito un punto: qualunque ragionamento sul prossimo futuro deve
partire dal presupposto che non vengano abolite le elezioni, magari su
suggerimento di Moody's. Se in Italia passasse l'idea che la politica non è in
grado di tirarci fuori dalla crisi, noi ci porremmo automaticamente al margine
delle democrazie del mondo». Finite le brevi ferie d'agosto, Pierluigi Bersani
torna in campo e detta a Monti le condizioni dell'autunno.
Il leader del PD considera quella del governo tecnico una
«parentesi non ripetibile». «Perché vede - spiega - il limite della soluzione
tecnica non sta nel governo Monti, che pure ha fatto un gran lavoro, ma nella
mancanza di univocità di una maggioranza che ha opinioni diverse, perché in
natura esistono una destra e una sinistra alternative l'una all'altra. E se a
Bruxelles o sui mercati si ha paura per la tenuta del rigore in Italia, io
voglio credere che ci si riferisca a un rischio Berlusconi o a un pericolo
populista, non al centrosinistra».
Eppure, segretario, l'impressione è che cancellerie e
Borse non si fidino neanche di voi...
«Noi abbiamo fatto la moneta unica, con Prodi, D'Alema e
Amato abbiamo raggiunto accordi storici con la Ue e la Nato, io ho lavorato con
Ciampi e Padoa-Schioppa. I mercati e le cancellerie non possono far finta di non
conoscerci. Se ci sono manovre interessate per dire che nell'Italia del dopo
Monti non c'è un presidio credibile, noi siamo qui, con la nostra storia, a
dimostrare che non è vero».
Quindi lei fin da ora dice no a un Montibis e dice no a
una Grande Coalizione?
«Io dico che in un Paese maturo si fronteggiano un
centrodestra, un centrosinistra ed eventualmente una posizione centrale che da
una legislatura all'altra può dare flessibilità al sistema. Chi vince, governa.
Questo è il vero tema, non quanti tecnici ci sono nel governo. E questo
significa che non si può andare al voto proponendo una Grande Coalizione. Non
esiste proprio».
Perciò, Bersani va al voto con il suo programma e le sue
alleanze, e se vince va a Palazzo Chigi. Giusto?
«Così funziona, nelle democrazie normali. E poi, hai visto
mai, può succedere che una figura come Monti non riesce a portare a casa una
legge contro la corruzione, e invece Bersani ci riesce».
Il PD è sempre più insofferente col governo. Oggi c'è il
primo Consiglio dei ministri dopo le ferie. Cosa chiede a Monti?
«A Monti chiedo un cambio di passo. Non sono d'accordo su
come stanno andando le cose. È ora di riscrivere l'agenda. Per noi progressisti
è il momento di rompere l'avvitamento tra austerità e recessione. Il rigore non
va abbandonato. Ma è ora di aprire gli occhi. Lo dico anche al Consiglio dei
ministri che si riunisce oggi: date finalmente uno sguardo alla realtà».
Perché finora il premierei ministri non l'hanno
fatto?
«Non sto dicendo questo. Dico che ora ci sono due problemi
da affrontare. Il primo è europeo: a settembre il messaggio dell'Ue sulla
stabilizzazione degli spread non deve più essere un oggetto da Sibilla Cumana,
ma deve diventare operativo. A proposito di battere i pugni sul tavolo, questa
è l'occasione. Il secondo è italiano. Sento parlare di via d'uscita dalla
crisi. Io credo nella possibilità di uno spiraglio, ma ancora non lo vedo. E ho
l'impressione che il governo finora non abbia percepito lo scivolamento
dell'economia reale. C'è un crollo della produzione industriale, un segno meno
nei consumi, lavorano 22 milioni di italiani su 60. Io chiedo: come affrontiamo
queste emergenze?».
E cosa si aspetta che le risponda, Monti?
«Per me il rigore è la condizione necessaria, ma non è
l'obiettivo. Il vero obiettivo, qui ed ora, è il sostegno all'economia reale.
Leggo di piani energetici, di piani per gli aeroporti. Per carità, va tutto
benissimo. Ma i problemi di famiglie e imprese, in questo momento, sono altri.
Per esempio: il prezzo della benzina si può ridurre? I pagamenti della Pubblica
Amministrazione sono stati sbloccati? E che facciamo di fronte alle crisi
industriali, dalla Fiat a Finmeccanica all'Alcoa? Le eventuali operazioni di
alienazione del patrimonio pubblico possono essere destinate a politiche
industriali e allo stimolo all'economia reale? In agenda io vorrei queste
priorità. Attenzione a messaggi troppo astratti, che non generano fiducia ma
semmai scollamento».
Da mesi si critica il governo perché non fa niente sulla
crescita, ora lei lo critica perché prova a fare qualcosa?
«Io non lo critico, ma dico che non bisogna passare dal
niente al troppo. Sento parlare di una defiscalizzazione dell'Iva sulle
infrastrutture, praticamente senza copertura. Bene, ma perché da mesi si dice
no alla sterilizzazione dell'Iva sulle accise per la benzina? Ci sono cose che
il governo può fare subito. Rafforzi gli sgravi fiscali sulle ristrutturazioni
immobiliari in funzione antisismica e ambientale. Adotti misure di
sburocratizzazione, eliminando passaggi burocratici o esternalizzandoli.
Finanzi l'innovazione coi crediti d'imposta sulla ricerca e la
defiscalizzazione degli investimenti. Introduca una vera Dual Income
Tax».
Il nodo vero è la pressione fiscale. Lei pensa che Monti
dovrebbe cominciare a rimodulare le aliquote Irpef?
«Senta, io non riesco a raccontare favole. È un obiettivo
per il futuro, ma per ora non possiamo permettercelo. Dobbiamo scongiurare gli
aumenti dell'Iva, questo sì. Ed è possibile farlo, aumentando il recupero
dell'evasione fiscale, concludendo l'accordo con la Svizzera sulla tassazione
dei capitali, lavorando realisticamente sugli incentivi alle imprese, e poi
definendo meglio con gli enti locali la griglia della spending review».
Elsa Fornero ha detto che porterà il taglio del cuneo
fiscale in Consiglio dei ministri. Lei è d'accordo?
«Certo, in prospettiva il cuneo fiscale va ridotto. Ma anche
qui, non ci sono soluzioni miracolistiche. E poi serve uno schema pattizio:
Prodi tagliò il cuneo fiscale di 5 punti, ma purtroppo questo non servì a
rilanciare gli investimenti».
E la patrimoniale? La deve fare Monti, o la farete voi
quando tornerete al governo?
«Noi proponemmo un'imposta sui grandi patrimoni immobiliari
per alleggerire l'Imu. Non si fece allora, per me va fatta adesso. Quanto alla
finanza, la ricchezza scappa e la povertà resta. Va rafforzata la tracciabilità
dei capitali, anche su scala europea. Questo Monti può farlo, entro la fine
della legislatura».
Lei parla di fine della legislatura. Ma tornano in ballo
le elezioni anticipate a novembre.
«Le elezioni anticipate sono un'elucubrazione dannosa. Io
non le auspico e non le vedo all'orizzonte, anche se è nostro dovere tenerci
pronti a qualunque evenienza. Poi, lo dico una volta per tutte, non c'è alcun nesso
tra voto anticipato e legge elettorale...».
Ma l'intesa col PdL sulle modifiche al Porcellum c'è o no?
«Oggi un accordo non c'è ancora, ma da parte nostra c'è la
disponibilità a chiudere in fretta. Naturalmente, non rinunciamo ai nostri due
paletti. Primo: la sera in cui si chiudono le urne il mondo deve sapere chi
governa, altrimenti ci travolge uno tsunami. Secondo: i cittadini devono
scegliere chi mandare in Parlamento. In concreto, questo significa due cose. Ci
vuole un premio di maggioranza ragionevole, e il 15% lo è, perché sarebbe
curioso che il PdL che nel 2005 ha introdotto una premialità sconosciuta in
Occidente oggi dicesse no a una premialità decorosa. E poi ci vuole una quota
significativa di collegi uninominali, per ricreare un legame tra elettori ed
eletti».
Mi dica la verità, c'è imbarazzo nel PD sul conflitto
sollevato dal presidente Napolitano contro i pm di Palermo per le
intercettazioni sulla trattativa Stato-mafia?
«Nessun imbarazzo. Napolitano ha fatto quel che doveva. Dopodiché,
in un sistema costituzionale e democratico lo schema non è chi è d'accordo e
chi no con il Capo dello Stato, ma chi lo rispetta e chi no. E allora, se il
Presidente ha chiesto alla Consulta di chiarire un punto cruciale che riguarda
le sue prerogative, può anche essere criticato ma deve essere rispettato. E
questo non sta avvenendo sempre. C'è una campagna contro Napolitano: esiste un
filone populista, in certe aree della politica e del giornalismo, che forse ha
anche un disegno in testa. Ma non passerà».
Ma lei e il PD siete d'accordo con Monti e la Severino,
che annunciano una nuova legge sulle intercettazioni?
«Per me in una democrazia liberale il diritto alla
riservatezza di chi è al di fuori da un'indagine penale non è un optional.
Ma attenzione: questo diritto si garantisce con un filtro rigoroso affidato
alla magistratura, senza limiti alle indagini e bavagli all'informazione.
Dunque, se il governo vuole presentare un ddl con queste caratteristiche, noi
siamo pronti a discuterne. Ma la condizione è che ci sia un pacchetto
complessivo di riforma della giustizia, con al primo posto le nuove norme
contro la corruzione. E dopo, semmai, anche le intercettazioni».
Le primarie tornano a infuocare la vostra metà campo. Le
farete, come e quando?
«Il percorso è chiaro. In autunno vareremo una carta di
intenti, con regole d'ingaggio, criteri di partecipazione, impegni e
responsabilità comuni. E tra novembre e dicembre faremo le primarie di
coalizione, con la massima apertura alle forze politiche e alla società
civile».
Del rottamatore Matteo Renzi che mi dice?
«In questi mesi non ho mai alimentato polemiche, e
continuerò a farlo. Siamo dentro la più grave crisi del dopoguerra. Ne usciamo
solo se c'è condivisione tra noi».
Sulle alleanze il quadro è problematico, tra Vendola e
Casini. Riuscirete a vincere e a governare, mettendo insieme i centristi e i
comunisti?
«Noi organizziamo un centro sinistra aperto a un incontro
con forze politiche e sociali moderate. Entro ottobre saranno pronti 10-15 punti
di programma, non 281 pagine. Sarà poi il candidato premier a fare il
resto...».
Lei, presumibilmente...
«Se mi voteranno, sarò io. Sulla base di quel programma, il
centrosinistra proporrà un'alleanza di legislatura alle forze liberali e
moderate del Paese. Dentro questo perimetro non ci sono solo Vendola e Casini,
ma ad esempio anche i socialisti».
Con Di Pietro è finita per sempre?
«Mi pare evidente che lui vuole star fuori. Il
centrosinistra deve fare spesso i conti con le forze agite da questo istinto
minoritario di auto-esclusione dalle responsabilità. Io, da riformista, lavoro
perché questa maledizione finisca. Il PD è pronto per governare, e sono
convinto che governerà».
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