venerdì 16 ottobre 2015

NOTE CASOLANE - "La mia Romagna" nelle parole di Giuseppe Pittano in un'intervista del 1990

Intervista di Walter Della Monica al prof. Giuseppe Pittano
(“Romagna, ieri, oggi, domani”, Anno III n. 13 – gennaio 1990)

La nostra cultura è rimasta legata alla semplicità della terra per cui non c'è canto popolare nostro che non sia poesia.
Giuseppe Pittano è latinista, filologo, linguista e storico della lingua italiana. È stato professore all'Università di Bologna ed è impegnato nella compilazione di dizionari, grammatiche, antologie per la scuola; ma è anche amante e studioso delle cose della sua terra, la Romagna, alla quale ha dedicato libri, articoli, inter­venti molteplici fra i quali un fortunato documentario televisivo (che gli è valso un premio Guidarello), avente per tema i sentimenti amorosi dei giovani d'un tempo.
È un lavoratore infaticabile ed è soprattutto un brillante, antiaccademico divulgatore ed un affascinante conservatore.

Cosa vuol dire per te, Romagna?

La Romagna è l'unica terra che io ho conosciuto fino ai vent'anni.
Soltanto verso i venticinque anni ho saputo che la mia famiglia aveva origini friulane, era friulano mio nonno, ma io mi sentivo così radicato nella Romagna che quando ero fuori mi sembrava di essere all'estero. Mondadori, il vecchio Arnoldo, mi diceva: "tu Pittano sei romagnolo" e io volevo sapere come faceva a capirlo; lui mi rispondeva: "tu non parli italiano, tu parli romagnolo". Infatti io quando parlo in italiano, in realtà traduco dal dialetto che ho parlato nella mia infanzia, la lingua dei giochi, della lippa e delle palline. Anche i miei genitori erano dialettofoni anche se parlavano benissimo l'italiano.
Per me la Romagna è talmente diversa dalle altre terre che nei miei cataloghi, nei miei elenchi, quando me lo chiedono, dichiaro sempre di essere nato a Casola Valsenio, in Romagna.

Che cosa pensi della Romagna oggi

Ma, io dico che poche terre hanno avuto una cultura così bella, così dolce, come la Romagna. Noi non abbiamo avuto influenze di corte come altre città dell'Emilia, la nostra cultura non ha nulla delle raffinatezze, ma anche delle grossolanità tipiche di certi ambienti; è rimasta legata alla semplicità della terra per cui non c'è canto popolare nostro che non sia poesia.
Mentre la letteratura bolognese, o di altri luoghi dell'Emilia, ad esempio, è spesso grossolana, piena di storie o vicende grasse, sporche, noi in Romagna abbiamo una letteratura delicatissima, sentimenti delicatissimi. Io ho conosciuto in Romagna gente di ogni estrazione sociale, professionisti che per la loro stessa professione sono sempre a contatto col popolo, legati in maniera straordinaria agli uomini della nostra letteratura, Pascoli, Baldini, il Carducci di una certa maniera, Fanzini. Per me la Romagna è una terra coltissima ed io dico che debbo la mia scelta umanistica al fatto di essere nato in Romagna.

Dopo la stagione dei Fanzini, Beltramelli, Moretti, Arfelli, Serantini, Montesanto, Fuschini, noi oggi non abbiamo grandi narratori. Come lo spieghi questo fenomeno?

Lo giustifico con l'evoluzione operata nelle nostre terre in maniera violenta. Noi abbiamo avuto una specie di "corsa all'ovest".
Nel 48-49 si sono spopolate le montagne, si sono rime­scolate le civiltà; noi stiamo oggi sedimentando queste cose; forse verrà una nuova stagione letteraria.
La nascita di Ravenna come polo industriale ha portato via la gente dalle campagne; una città che viveva nel romanticismo della tradizione contadina ha visto rovesciare interessi e costumi.
Mentre un tempo si parlava di "triangolo industriale' oggi si parla di "quadrilatero industriale" con uno dei suoi cardini proprio nella Romagna. Queste cose non pos­sono succedere senza creare grandi mutamenti.
Si è creata una nuova cultura sovrapposta con violenza alla precedente, ed io penso che darà presto frutti anche nella narrativa.
Evidentemente un nuovo tipo di narrativa, di romanzo, legato ai tempi moderni.

Un'altra osservazione. Si è data molta importanza negli ultimi trenta quaranta anni alla economia, alla urbanizzazione della costa, dimenticando l'entroterra. Adesso questo entroterra si sta valorizzando.

La costa non è Romagna...

Scusa, ma la costa è anche pescatori, lavoratori del mare, con una loro cultura antica…

Io parlo dell'altra costa, quella degli albergatori, quella degli impianti turistici, quella dei divertimenti estivi, che ha spinto a dimenticare per molto tempo l'interno. Oggi torniamo a scoprirlo.
La costa turistica è certamente poca cosa dal punto di vista culturale ma se si rivolge attenzione all'interno anche la costa ne avrà un vantaggio!, non soltanto economico, ma proprio nel piano più squisitamente culturale.
Parlando di noi, di casa nostra e ricordando che tu hai visto la nascita di questa rivista, cosa ti pare del no­stro impegno alla valorizzazione del­l'interno; ti sembra mirato giusto, ti sembra abbia bisogno di modificazioni?

Mi sembra che, paragonandola ad altre riviste romagnole ben conosciute, questa abbia un taglio più moderno, si muove con meno rimpianti. La vostra ricerca del passato è fatta in funzione del presente e mi sembra giusto far conoscere, senza nostalgie, quei grandi tesori di cui è ricca questa terra.

Il rapporto tra antico e moderno quindi lo vedi in questa continuità.

Certamente, altrimenti non ha senso, altrimenti il passato vale soltanto per coloro che si chiudono in se stessi in una specie di rimpianto. Io credo che ogni forma di archeologia è interessante quando diventa presente.

Come linguista consideri una specie di archeologia anche l'interessamento per il dialetto?

Eh no!, No! Ci vorranno ancora generazioni prima di poter collocare il dialetto fra gli interessi dell'archeologia. Ci sono aree dialettali che resistono perché sono legate ad una profonda cultura; e questo è il caso anche della Romagna.
La morte del dialetto avviene dove intervengono modificazioni massicce nel tessuto sociale. Penso a Torino o altre zone d'Italia interessate ad un forte fenomeno di immigrazione...

Ma anche da noi è accaduto.

Forse hai ragione per alcune aree, ma la Romagna interna è ancora tutta romagnola.
Il dialetto è sangue della terra, sangue ancora forte ed è difficile muoia presto. Non credo tuttavia alla difesa nostalgica del dialetto; ci sono leggi naturali contro le quali noi non possiamo far niente.

Nel tuo amore, così dichiarato, per la Romagna, non ti sembra di essere condizionato da una specie di campanilismo?

Una volta sì, oggi no, assolutamente no.
Una volta per esempio ero forse l'unico romagnolo che teneva per il "Bologna ", mentre tutti tenevano per la "Juventus", poniamo, o per il "Milan".
Era una forma di campanilismo; tenevo per la squadra più vicina; e quando la squadra bolognese era in serie B rivolgevo le mie attenzioni all’Udinese, perché pensavo a mio nonno.

Come lo senti tu il rapporto Romagna-Bologna?

Vedi, la Romagna è stata sempre dominata; è stata l'unica colonia d'Italia.
Mentre gli altri stati d'Italia avevano il loro sovrano, il loro governante, la Romagna era una appendice dello Stato Pontificio, unica terra dove ci fosse una specie di vicepapa, il legato, appunto, che risiedeva a Bologna.
Il papato si serviva della Romagna per portare via di qui il sale e i pinoli.
Il contadino romagnolo ce l'aveva con Bologna perché era la sede del potere e perché si sentiva sfruttato da esso.
Oggi cominciano dei cambiamenti, ma come tutte le cose di vecchia tradizione, fanno fatica.

Ritorni volentieri a Casola?

Ci sono spesso e mi sento perfettamente integrato.
Quando alcuni mesi or sono mi diedero una medaglia d'oro i casolani nella motivazione scrissero che me la davano perché "è ancora come quando è partito".
"Dopo venti trent'anni che abita a Bologna, Pittano — dicono a Casola — conosce la gente, ride con la gente, si muove e parla come se non si fosse mai mosso di qui".

(data di prima pubblicazione sul sito:  5 settembre 2012)

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