sabato 22 febbraio 2014

Padoan, ecco il tecnico "politico" che apre alla patrimoniale

Economista di fama internazionale, Pier Carlo Padoan è stato consulente della Banca mondiale europea, della Commissione europea e della Banca centrale europea. Nel 2007 diventa vice-segretario generale dell'Ocse. Tra il 2001 e il 2005 ha ricoperto il ruolo di Direttore esecutivo per l’Italia del Fondo monetario internazionale e dal 1998 al 2001 è stato consigliere economico per la presidenza del Consiglio dei ministri, collaborando con i premier Massimo D’Alema e Giuliano. Da gennaio è presidente dell'Istat.

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di Bianca Di Giovanni (l’Unità, 21 febbraio 2014)

Con Pier Carlo Padoan in campo non c’era partita per altri tecnici. Le credenziali che il capoeconomista dell’Ocse può vantare sono di peso: una carriera costellata di incarichi di responsabilità nelle più accreditate istituzioni economiche internazionali. In questo senso il suo nome è stato sostenuto dal Quirinale: come garanzia per l’Italia nei consessi economici di tutto il mondo.

È indubbio tuttavia che il suo arrivo all’Economia segna un passo indietro rispetto alla linea del cambiaverso propagandata da Matteo Renzi. In questa vicenda il premier incaricato ha dovuto prendere atto che in via XX Settembre si arriva solo con il «gradimento» dei «guardiani» del mercato e degli emissari delle cancellerie europee. Il motivo lo ha spiegato bene Vincenzo Visco in un’intervista al’Unità: «Siamo a sovranità limitata almeno fino a quando avremo un debito così alto».
Piazzare circa 400 miliardi di titoli all’anno sui mercati non è cosa da poco: per riuscirci non basta il bilancino sulle diverse «anime» delle maggioranze italiane. L’idea della discontinuità, del braccio destro del premier piazzato alla guardia dei conti e del rapporto con i «tecnocrati» dell’UE sarebbe stata una carta spendibile (e interessante) se solo Graziano Delrio avesse potuto vantare più esperienze all’estero.
Tuttavia parlare di Padoan come un semplice tecnico sarebbe riduttivo: non ne uscirebbe premiato il suo impegno culturale sempre di spessore, fin dai tempi giovanili dell’adesione alla Rivista trimestrale di Franco Rodano e Claudio Napoleoni. I suoi detrattori (di destra) oggi sventolano le sue ultime dichiarazioni sulla patrimoniale, su cui non ha pregiudizio alcuno visto che nei Paesi stranieri è parte integrante del sistema fiscale. Non dicono, i detrattori, che quella tassa (insieme all’imposizione sulla casa) servirebbe, nella visione del neoministro, ad abbassare le imposte sul lavoro e la produzione, oggi assolutamente fuori linea in Italia rispetto ai partner
I critici più avveduti magari ricorderanno oggi l’ultimo duello - a suon di badilate - ingaggiato sulle pagine del Sole24Ore con il premio Nobel Paul Krugman. Il quale non gli ha risparmiato strali per la sua adesione alla politica del rigore europea. Con la solita penna tagliente, l’economista americano lo ha etichettato «cheerleader del rigore». Anche questa, tuttavia, non è la foto esatta del Padoan-pensiero. Vero è che il neoministro ha sempre sostenuto che «i Paesi con più debito crescono meno». Chi potrebbe dargli torto? Ma è anche vero che all’insorgere della crisi del 2008 fu uno dei più acuti analisti di quello che stava accadendo, producendo un saggio sugli squilibri globali che puntava tutto sul gap di competitività tra diversi Paesi.

Quanto all’Italia forse il suo «manifesto» da ministro sta nell’ultimo rapporto Ocse, prodotto proprio in queste ore per il G20 di Sydney. Al primo posto per i tecnici parigini c’è l’obiettivo della crescita. Questa sarebbe la smentita più eloquente a chi disegna il neoministro come ossessionato solo dal rigore. In realtà è il recupero di competitività la vera ossessione di Padoan. Per raggiungere questo obiettivo dalla poltrona di Via XX Settembre dovrà giocare la partita europea per la «gestione» (più che revisione) del patto Ue. Le ultime indicazioni arrivate da Bruxelles fanno capire che qualsiasi politica espansiva dovrà essere legata a una batteria di riforme. Il presidente dell’Eurogruppo Joeren Dijsselbloem ha fatto capire che non si accontenterà di riforme scritte sulla carta: le nuove norme dovranno essere già attuate, per ottenere più flessibilità di spesa. In questo quadro assumono un’importanza particolare le indicazioni venute da Sydney. In quel documento l’istituto parigino invoca «riforme del mercato del lavoro dirette a ridurne il dualismo», e al tempo stesso chiede di «dare piena attuazione ad una rete di protezione sociale universale». Inoltre «migliorare l’istruzione e i sistemi di supporto all’apprendistato - si legge nel rapporto - può aiutare a diminuire le disuguaglianze di redditi».

In una scheda dedicata al nostro Paese l’Ocse poi elenca le raccomandazioni già indicate nelle passate edizioni del rapporto. Tra queste, si chiede di estendere la rete di protezione sociale; migliorare efficienza e equità nel sistema di istruzione; migliorare l’efficienza del sistema fiscale, semplificandolo e lottando contro l’evasione; ridurre le barriere alla concorrenza; accorciare i tempi del processo civile; ridurre i rischi di prolungata disoccupazione attuando politiche di occupazione attive.

Lo studio è accompagnato da un editoriale vergato dallo stesso Padoan concentrato sulla preoccupante e diffusa decelerazione della produttività, occorso a seguito della crisi, e che ora «potrebbe preludere ad una nuova era di crescita a rilento». Questo mentre la ripresa globale procede a rilento, alimentando in timori che i potenziali di crescita si siano ridotti. E questi timori, conclude Padoan, che finora toccavano prevalentemente i paesi avanzati ora rischiano di insidiare anche le grandi economie emergenti. Il ministro ha ricevuto la notizia in Australia: oggi sarà ancora in volo quando i suoi colleghi giureranno.

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