martedì 18 marzo 2014

NOTE CASOLANE - Il ruolo del Sindacato negli anni '60 e '70 per il lavoro e i diritti degli operai forestali

Gian Paolo Sangiorgi (1985)
Nel 2009, ricorreva il 60° anniversario della Festa degli Alberi, celebrata a Casola nel dopoguerra - per la prima volta in Italia - il 21 marzo 1949. Nel convegno organizzato dal Comune di Casola Valsenio, tra gli altri, prendeva la parola Gian Paolo Sangiorgi, ex-sindacalista della CGIL, assessore comunale a Casola negli anni '80, che portava la propria personale testimonianza di una fase intensa e importante della vita sociale ed economica di Casola, rappresentata dalla grande opera di rimboschimento dei nostri monti e del ruolo che, in essa, hanno svolto decine e decine di operai forestali, uomini e donne, che - anche con l'intervento delle loro organizzazioni sindacali, la CGIL e la CISL - hanno dato vita a un'esperienza collettiva che è giusto e bello ricordare.


INTERVENTO DI GIAN PAOLO SANGIORGI, ALLA CERIMONIA PER I 60 ANNI DELLA FESTA DEGLI ALBERI
Casola Valsenio, Cinema Senio - 21 marzo 2009
                    
Ho colto con piacere l’invito del Sindaco Giorgio Sagrini a partecipare a questa iniziativa che ricorda, rinnova e celebra un qualcosa di importante per la piccola comunità di Casola Valsenio.
Privilegio ed emozione quando mi ha chiesto di portare una mia testimonianza, contestualizzata in un evento “La Festa degli Alberi” che anch’io (al di la delle riflessioni che farò) ho vissuto direttamente e di cui ho buon ricordo.
La Festa degli Alberi, alimentata, animata, sempre sostenuta dal nostro compianto Prof. Augusto Rinaldi Ceroni, è un inscindibile, inseparabile il ricordo per chi ha vissuto a Casola nell’ultima metà del secolo scorso.
60 anni sono trascorsi dalla “riedizione moderna” di questa Festa, e non sono pochi. Il mio primo ricordo della Festa degli Alberi risale all’inizio degli ’50 ed è un ricordo chiaro, molto nitido, che rivivo con emozione.
Intanto il tempo è passato troppo veloce e mi spavento; mi guardo intorno e mi accorgo che tanti amici non ci sono più, i ranghi si sono sfoltiti, diradati e mi sento quasi un reduce.
Ognuno di noi cancella o mantiene nella memoria: episodi, fatti, storie; voglio dire – e non è una dichiarazione di circostanza - che questa ricorrenza mi è rimasta dentro, impressa nell’angolo delle cose belle.
La scuola elementare coincide con l’inizio delle responsabilità: le lezioni ordinarie, a volte anche pesanti e noiose, quel giorno della Festa degli Alberi erano un’altra cosa. Puliti, ordinati, composti- un tema attinente, un pensiero legato all’importanza della giornata, un vasetto da comporre, una piccola pianta da portare a casa e custodire.
E come dimenticare l’omaggio, in un paio di queste occasioni, di una scatolina rettangolare di cartoncino rigido piena di oggetti e cose, per noi allora, straordinarie. Particolari gomme da cancellare, pastelli di cera, modellini in metallo pressofuso, materiale scolastico vario, giocattoli e altri oggetti non comuni. Scatole che profumavano di chewingum (anche certi odori non  svaniscono), colorate a strisce… Si! erano Americane! confezionate dagli USA - in piena guerra fredda - per i bambini dei Paesi loro alleati. Nella pubblicazione del 2003 dell’amico Beppe Sangiorgi, su Augusto Rinaldi Ceroni, a pag.53, una fotografia della Festa degli Alberi del 1956, mostra il Prof. Augusto che presenta un vaso curato dagli scolari – curiosamente il tavolo delle Autorità era pieno delle scatoline ricordate.
Era un giornata di festa (e lo è ancora) con al centro un messaggio importante, forte e chiaro. Intervento e azione diretta su bambini, ragazzi e famiglie per l’accrescimento di una loro piena sensibilità (rispetto, valorizzazione, apprezzamento) verso il verde, le piante e il bosco.
Principi sempre importanti, ma nella realtà locale fondamentali per l’economia, lo sviluppo, la difesa del suolo, l’assetto idrogeologico, la qualità dell’aria e l’ambiente salubre. Concetti generali validi oggi, ma ieri lo erano anche di più. Purtroppo l’attenzione e gli sforzi di sensibilizzazione che qui venivano compiuti…si affievolivano nell’approccio con la scolarità superiore – allora in generale modestamente sensibile a questi argomenti;  più incline o indotta a supportare la spinta e la tendenza di sviluppo in atto in quel periodo.
In quegli anni (la metà degli anni ’50) il boom economico scompaginava disordinatamente gli assetti economico/sociali storici, a noi famigliari. Si realizzava una trasformazione che non “riformava”, ma sconvolgeva le realtà collinari e montane dell’intero Paese.  Ci sono voluti decenni per comprendere e metabolizzare i guasti provocati al territorio (massicci esodi ed emigrazioni)  dall’abbandono della montagna e dalla fuga caotica dalle campagne.
 Si badi bene! questi percorsi erano inevitabili a fronte di condizioni di vita insostenibili, ma soprattutto a fronte di politiche non adeguate alla salvaguardia del territorio ed al proprio sviluppo equilibrato. Questo il contesto ed il punto d’avvio del ragionamento, della mia comunicazione a questo Convegno. Un piccolissimo contributo, episodi su uno spaccato di storia locale legati ad in quinquennio:dalla fine degli anni’60 al 1975. Considerazioni e concetti ovviamente “leggeri” (non vorrei apparissero troppo superficiali) per ragioni di tempo e perché, in questo convegno, potrebbero non essere percepite come centrali, poco pertinenti o peggio, troppo di parte.
Una mia esperienza vissuta direttamente, legata ai temi del lavoro locale, del rapporto con la specificità del settore agricolo-forestale, per la funzione e ruolo sindacale che ricoprivo in quel periodo.
Se dovessi trarre un bilancio delle esperienze e delle cose fatte fino a questo momento (e non sono poche!),”la scuola di vita” – la voglio definire così - rappresentata dagli anni del Sindacato: aprile 1969/marzo 1978, ritengo sia stata la cosa più bella.
Un periodo difficile, un’esperienza dura, un lavoro molto intenso, ma emozionante e altamente gratificante. Si dava un contributo, si aiutava la povera gente (ed era ancora tanta) a superare le tante ed enormi difficoltà. Crescevi e ti formavi, maturavi e ti forgiavi costantemente a           contatto con pensionati, contadini poveri, disoccupati, famiglie numerose, giovani, lavoratrici e lavoratori: che avevano bisogno, che volevano stare un po’ meglio, che ambivano a migliorare  le condizioni di vita loro e famigliari e creare un futuro migliore per i loro figli. Il tutto nella prospettiva  della costruzione di una società e un Paese più moderno contraddistinto da maggiore civiltà e giustizia.
Ed io avevo il privilegio di essere con loro ed uno di loro.
I primi anni di questa esperienza li ho vissuti qui nel mio paese. Ero un  ragazzo di 22 anni, operaio metalmeccanico di una industria faentina di 180 dipendenti, unico nel Consiglio di Fabbrica a rappresentare i lavoratori iscritti alla Fiom/Cgil.
Dopo essere stato oggetto di proposta e pressioni (non faticarono più di tanto) accetto di fare un’esperienza come sindacalista a tempo pieno.
Mi licenziai dal lavoro, mi proposero e gli organi sindacali mi elessero  Segretario della Camera del Lavoro di Casola Valsenio.
Funzione e ruolo da diversi decenni ricoperto da compagni non “casolani”: Amleto Rossini di Lavezzola poi apprezzato e stimato Sindaco  per più mandati, Battista Ricchi di Castel Bolognese, Domenico Pacciani di Faenza che andai a sostituire.
Nel maggio 1969 la sede della Camera del Lavoro è sopra il CRAL, locale molto scomodo – tre rampe di scale per accedervi- inadeguato e nascosto alla vista dei cittadini. Dopo un anno trasferisco la Sede nel Comune Vecchio, prima a fianco dell’Ufficio Postale poi a ridosso della scala per accedere all’Ufficio di Collocamento e alla Biblioteca;  il Comune Vecchio era (ancora oggi è così) punto di partenza e arrivo dei pullman. La Camera del Lavoro, da locali quasi clandestino ad una sede ben accessibile, aperta e centrale. La Cgil piomba tra la gente anche fisicamente e non solo per il livello degli obiettivi e delle proposte.
Il primo contatto: impatto complicato dato da una realtà con parecchi problemi; disoccupazione, poche prospettive, soluzioni che nell’immediato non si intravvedono, un pendolarismo che interessa un manipolo di giovani, molti gli occupati nel settore edile.
La parte preponderante era rappresentata dai lavoratori dell’agricoltura, settore nel quale è presente e ancora molto diffusa la mezzadria. Nel comparto “industria!” l’occupazione locale era rappresentata nel metalmeccanico dalla piccola attività di Bianconcini alla Mingherina (Ferro Battuto), nel minerario/estrattivo dalla Cava del Gesso di Borgo Rivola, nella bonifica dalla sparuta squadra fissa del Consorzio Bacini Montani, oltre l’edilizia con un discreto numero di addetti occupati in diverse imprese private e cooperative.
Il lavoro dipendente in agricoltura – salariato e avventizio - era legato alla conduzione agricola (condizionato dalla stagionalità), all’allevamento, ai cantieri di bonifica e ai cantieri forestali. Allora il lavoratore immigrato non era così necessario come oggi; l’occupazione non era affatto piena se           si escludevano le 18-20 giornate della trebbiatura del grano. Può sembrare strano, ma all’inizio degli anni ’70  a Casola si costituivano ancora 6 squadre d’aia - con itinerari definiti - intorno alle altrettante trebbie fisse.
Vengo al punto: Alberi, Bosco, Forestazione e rapporto con questo comparto. In particolare vorrei parlare di:
a) la situazione che trovai;
b) il processo di crescita, l’evoluzione che subì il settore;
c) la trasformazione dei rapporti, il cambio di ruolo.
Nella primavera del ‘69 inizio l’esperienza come segretario della Camera del Lavoro  locale.
Precaria, complicata e molto difficoltosa era la sindacalizzazione che trovai (altra cosa rispetto alla fabbrica) da non confondere con la storica forza della sinistra in questa realtà. Quando non si è in condizione di esercitare una pressione collettiva convinta, di strada non ne percorre molta. Allora iniziai subito ad analizzare la situazione del settore agricolo, dove esistevano i maggiori problemi e col concorso “svogliato” del collocatore, tentai di conoscere dove erano le possibilità d’impiego, i lavoratori come erano settorializzati, in sostanza mi impegnai a capire la stratificazione del locale mercato del lavoro in agricoltura.
La manodopera per la forestazione era una parte importante, al pari del problema rappresentato dalle ampie liste per l’avviamento al lavoro.
Con la Cisl, l’altro Sindacato confederale presente a Casola, concordammo un’azione comune, definimmo obiettivi e strategie, iniziative, modalità e forme di lavoro. L’impostazione e l’azione unitaria  aiutarono molto e si posero le basi per un lavoro di penetrazione e di sindacalizzazione che tardò poco a dare buoni frutti.
All’inizio il dato che più mi impressionò era la paura in una parte di lavoratori al rapporto sindacale, il “terrore” per gli operai forestali al contatto sul luogo di lavoro. Comprenderne le cause fu facile: quando si lavora 15 giorni e poi per 3-4 settimane si rimane disoccupati, si fa dura! ti preoccupi di una possibile ritorsione. Ma poi scoprii che c’erano anche altre ragioni. Alcuni anni prima per rivendicare più lavoro, finanziamenti per rimboschimenti montani e migliori condizioni economiche – la Camera del Lavoro - dopo le richieste avanzate, le pressioni del caso -  proclamò uno stato di agitazione per richiamare l’attenzione delle competenti autorità: Ministero dell’Agricoltura, Prefetto, etc. Dopo alcuni scioperi senza ricevere risposta, si passò all’occupazione dei cantieri forestali in zona Roncosole e Badarello. Intervennero i Carabinieri che denunciarono un centinaio di lavoratori, con indagini e interrogatori. Gli operai ne uscirono intimoriti e tenuti sotto pressione per parecchi anni. Copia di un corposo fascicolo era ancora presente nella vecchia sede della Camera del Lavoro.
Ma torniamo al 1969. Riusciamo comunque a riunire a più riprese le lavoratrici e lavoratori forestali, dopo ragionamenti e discussioni recuperiamo il rapporto, comprendiamo i loro problemi, ci sdoganiamo!
Definiamo una piattaforma e avviamo un percorso che intanto puntasse a conquistare un     avviamento al lavoro equo, giusto e più corretto – criterio, questo, non sempre usato dai collocatori locali.
Avviammo alcune iniziative. Incontrammo il Sindaco per illustrare e confrontarci sulle nostre richieste e per chiedere solidarietà e un fattivo impegno al nostro fianco; l’aiuto e il sostegno non lo fece mai mancare. Poi, insieme al Sindaco, incontrammo il Presidente della Comunità Montana, il Comando provinciale del Corpo Forestale di Ravenna, il Consorzio Bacini Montani.
In sintesi, le nostre richieste erano:
- necessità di un forte/importante impegno progettuale e finanziario, mirato e destinato al territorio di Casola Valsenio, per accrescere ed incentivare la forestazione e le altre opere necessarie e collegate all’aumento delle aree da rimboschire;
- progetti volti a migliorare la situazione idrogeologica e la messa in sicurezza di alcune conosciute criticità territoriali.
In buona sostanza il movimento innescato puntava a cogliere esigenze e necessità generali del territorio, allargava il consenso e si preparava ad usufruire delle nuove opportunità di lavoro.
Il lavoro, l’occupazione dovevano aumentare! Non potevamo più permetterci di stare con le mani in mano o fare la conta delle turnazioni; non è un gran bel mestiere quello di dividere equamente “la miseria”.
L’intreccio con gli operai si fa serrato, concreto, ed il loro apporto inizia a farsi sentire. Le proposte sono prese per il verso giusto, e le risposte in termini di sindacalizzazione non tardano ad arrivare, insieme alla fiducia piena e alla convinzione di avere iniziato a tracciare la strada giusta.
Il dialogo, l’incontro, il rapporto con i lavoratori forestali è divenuto intenso. Le riunioni informative con gli operai, quando staccano dal lavoro, a Budrio, a Trario, a Frassineta, a Cortecchio, ai Prati Piani o giù a Baffadi, sulla strada della Cestina, sono una costante.
La credibilità delle Organizzazioni Sindacali è al massimo. Anche a Casola, ciò non  interessa solo braccianti e forestali, si percepisce bene quel clima nuovo che monta e cresce nel Paese per i contratti e lo sviluppo.
Quella è – e sarà ricordata – come una storica stagione di lotte per le riforme e i diritti.
Per il bracciante il lavoro non è mai stato facile, ma per il forestale era anche più duro.
Dopo l’avviamento e l’indicazione del luogo di lavoro, occorreva recarsi in orario in cantiere e per una parte di lavoratori non era affatto un gioco da ragazzi. I luoghi erano quasi sempre distanti e scomodi, la strada della Cestina era “bianca”, poi, più in alto, verso Trario si lasciava la strada principale e a piedi, per stradelli e sentieri, dopo 30-40 minuti, si arrivava sul luogo di lavoro. Il capo squadra impartiva gli ordini e solo dopo iniziava l’orario, la giornata lavorativa. Detto così è semplice, ma raggiungere quei luoghi, brucianti e assolati o gelidi e ventosi, era complicato dal fatto che pochissimi avevano un’automobile, la maggioranza usava ciclomotori, moto, scooter; alcuni altri, motocarri Lambretta o Ape della Piaggio, pochi in bicicletta perché era da spingere per alcuni chilometri (da sfruttare al rientro), i restanti – molte le donne - erano appiedati, e per bene che andasse riuscivano a trovare posto sui cassoni dei motocarri, che a pieno carico, arrancavano lenti e fumanti dal Cimitero di Baffadi fino ai tratti più alto della “consorziale Cestina”.
Il fumo grasso dello scarico intriso dell’olio della miscela, la polvere, il rumore ed i colpi che si ricevevano dalla strada sconnessa, trasformavano il viaggio in un’avventura; all’arrivo i volti erano segnati da tutta questa “comodità”.
Quegli stessi anni, a livello nazionale e regionale, sono anni di riforme e di cambiamenti che non tarderanno a far sentire i loro effetti anche a livello locale:
- 1970, approvazione della legge 300 - Statuto dei Lavoratori. Le assemblee si organizzano retribuite sui luoghi di lavoro, si eleggono i delegati dei lavoratori. Inizia la stagione …anche dei diritti.
- 1970: L’attività legislativa si avvicina al territorio. Inizia il processo di regionalizzazione del Paese. Il nostro diretto referente è la Regione Emilia Romagna. La neonata Regione, con Guido Fanti Presidente, pone al centro delle proprie scelte – insieme a tante altre cose - il riequilibrio territoriale, la salvaguardia della montagna e della collina, lo sviluppo dell’agricoltura.
- Veniero Lombardi, che diventerà Sindaco di Faenza dal 1975 al 1981, è Consigliere Regionale e Presidente della Commissione Agricoltura.
Cambia il clima, il vento dell’innovazione sospinto dalla voglia di ridefinire le regole, travolge barriere e sospetti tra la Forestale e ciò che la circonda. Prevale e si rafforza il dialogo e la collaborazione, pur nel doveroso rispetto dei ruoli.
A quel percorso e rapporto avviato tra Sindacato, Sindaco, Comunità Montana, Corpo Forestale di Ravenna, Consorzio di Bonifica, ora si aggiunge anche la Regione Emilia Romagna alla quale si consegnano i progetti già elaborati in precedenza e le richieste di finanziamento.
Agli incontri, da quel momento, partecipa un nuovo e più importante interlocutore, la Regione, che si fa rappresentare dai propri funzionari dell’Assessorato e del Dipartimento. Dopo la costituzione dell’Azienda Regionale delle Foreste, poi, vi sono contatti frequentissimi col dott. Savoia e col dott. Rossi, rispettivamente direttore e presidente della citata Azienda.
Quella prima piattaforma che coinvolse Sindacati, Enti e Istituzioni, dimostratasi molto efficace, facilitò il contatto con l’Amministrazione Regionale. Diventarono più precise, mirate e concrete le richieste, le scelte da compiere: finanziamenti, terreni da acquisire, aree da rimboschire, gabbionate ed interventi di salvaguardia e bonifica da realizzare, strade da migliorare e completare, programmi di manutenzioni boschive.
A questo punto non sfuggì l’innesto qualificante che Casola Valsenio poteva mettere in campo, da utilizzare e spendere a 360°. La notorietà, l’indiscussa cultura, l’esperienza silvana del  prof. Augusto Rinaldi Ceroni, aiutarono l’amalgama e la sintonia con la Regione, facendoci guadagnare credibilità e prestigio.
Cosicché alla programmazione e progettualità forestale, aggiungemmo la cultura. La riconosciuta competenza del prof. Augusto, la sua grinta, la tenacia, quanto realizzato e sperimentato, quanto scritto e pubblicato (e qui richiamo il legame con l’insegnamento insistente ai suoi ragazzi)    rimbalzarono molto positivamente sulla nostra comunità locale.
Per Casola Valsenio l’utilizzo e l’uso della sua sapienza, sempre concessa con grande generosità, si rivelò un formidabile valore aggiunto.
I cantieri si ampliarono, aumentò il lavoro, migliorò il territorio, anche sotto il profilo economico, e ottimo e propositivo fu il ruolo della Forestale di Ravenna e locale.
La presenza delle Regione a Casola divenne sempre più forte.
E’ in questo quadro evolutivo che inizia a concretizzarsi quel progetto che Augusto Rinaldi Ceroni auspicava di realizzare, uno dei sogni della propria vita: il nuovo Giardino officinale alla Casaccia.
La Regione comprende il valore dell’esperienza realizzata dal prof. Rinaldi Ceroni accanto alla scuola media, e decide di dare vita a una nuova struttura bella ed interessante.
Con questo investimento si è arricchito il territorio e gratificato il prof.  Rinaldi Ceroni per quello che aveva fatto nei decenni del proprio insegnamento, per quello che ancora dava alla collettività e per quello che rappresentava per Casola e per la nostra Regione.
Intanto in due anni i lavoratori, da uno stato di debolezza e di difficoltà, sono passati ad una partecipazione sempre più attiva e convinta. Col nuovo Contratto collettivo per i Lavoratori Forestali la paga da fame si trasforma in una retribuzione dignitosa, elevando la parte normativa, di fatto molto avanzata.
Col Contratto Regionale i forestali risolsero anche il problema del viaggio. Alle 7,15 partiva il pullman della Coop. Trasporti di Riolo Terme che portava i lavoratori su nella strada della Cestina; l’orario di lavoro scattava alle 7.15, idem per il rientro: una impostazione ‘innovativa’ che forse puntava a ripagare i disagi precedenti.
Si trattò di un cambiamento fortissimo ed indiscutibile!
Fu compiuto uno sforzo economicamente rilevante dal sistema delle autonomie, dalla Regione in primo luogo, per nuovi rimboschimenti, manutenzioni e diradamenti sul vecchio patrimonio forestale.
Aumenta la superficie territoriale acquisita alla proprietà pubblica e contemporaneamente si crea l’ARF (Azienda Regionale Foreste).
Rendiamo più strutturato il rapporto con i “cugini” di Brisighella per un coordinamento ed un’azione comune per quanto riguarda la forestazione e l’attività del Consorzio di Bonifica, ente che non interveniva solo per la difesa del suolo, ma gestiva il sistema idrico rurale e manutentava centinaia di Km. di strade. Servizi, questi, essenziali per le campagne e per le famiglie contadine insediate.
Dopo alcuni iniziali sospetti e gelosie, si afferma una buona collaborazione tra organizzazioni sindacali e nuclei operai delle due vallate.
Poi, la svolta! Come dovrebbe sempre succedere, non si poteva rimanere  troppo a lungo in ozio. Il tempo che passava ci richiamava a nuovi e più ambiziosi impegni, ci poneva nuovi problemi; ci spingeva a  ricercare una nuova strategia, nuovi obiettivi che partendo da un diverso ruolo potessero indicare un futuro all’occupazione per i nostri territori e delinearne una prospettiva.
La disponibilità dei terreni per nuovi rimboschimento si sarebbe esaurita ed i finanziamenti via via esauriti, fino all’azzeramento. Occorreva un progetto forte ed integrato, che prendesse forma dal nucleo dei forestali, e che fosse capace di proiettarsi oltre questo gruppo di lavoratori,  non sempre al massimo della specializzazione e con un’età media abbastanza elevata.
Mettemmo a punto un progetto di evoluzione e di trasformazione, per passare da un ruolo subalterno ad un nuovo protagonismo per lo sviluppo. 
Il cambio di ruolo si sostanzia nella costituzione di un importante strumento al servizio degli Enti, del territorio, dell’agricoltura, capace di sperimentare il modo per insediare nuove coltivazioni in aree e terreni marginali ed in zone svantaggiate, scarsamente idonee alle colture tradizionali.
Il progetto puntava sull’uso produttivo del bosco, lo sfruttamento pieno delle sue potenzialità, partendo dai tantissimi ettari di proprietà ARF; sulla diretta gestione (appalti) dei progetti predisposti dalla Forestale (manutenzioni e rimboschimenti); sulla disponibilità di manodopera per realizzare progetti di bonifica montana e la gestione diretta degli interventi; sulla compartecipazione alla gestione di poderi e aziende agricole; sulla specializzazione di gruppi di lavoratori per innesti e potature, non solo di castagneti ma sull’ampia gamma delle colture da frutto tradizionali; sulla  fornitura di manodopera o la diretta“gestione” delle attività e delle coltivazioni nel Giardino officinale; sulla possibilità di iniziare a coltivare piante officinali nelle due vallate – con iniziale incentivo finanziario - ed ipotesi della creazione di un’attività specialistica di distillazione delle erbe  prodotte o disponibili, …e  altro ancora.
Le struttura da creare, lo strumento per concretizzare questo progetto, è una cooperativa a base sociale ampia, capace di assumere e promuovere quegli obiettivi.
Eravamo consapevoli della necessità di rilanciare, di non sedersi su uno sgabello, finalmente diventato più comodo, perché - prima o poi - ci saremmo ritrovati nuovamente per terra, spogli, senza aver creato nulla di innovativo negli assetti economici del territorio, e nessun contributo per il futuro dei giovani.
Non potevamo farci sfuggire una così grande opportunità.
Avviammo confronti a tutto campo, continue discussioni; progetti e scenari futuri venivano disegnati ogni giorno insieme alle tante paure, dubbi e contrasti che poi agevolmente e convintamente superammo.
 A questo proposito una precedente esperienza locale di cooperativa agricola di conduzione – da tempo in liquidazione - non aiutò affatto a infondere quel coraggio necessario ad intraprendere la “nuova via” e avviare un nuovo corso nel rapporto lavoro/impresa. L’esperienza non fortunata della  Cooperativa del Bosco e della Terra, una cooperativa di conduzione costituita nei primi anni ’50 e aderente alla Lega delle Cooperative e Mutue, proprietaria del podere La Bragona e contoterzista con alcune macchine agricole, veniva presa ad esempio da coloro che non volevano aprire la nuova fase. L’ultima persona – che conoscevamo bene tutti - ancora legata a quell’esperienza cooperativa era Alberto Domenicali, per i casolani: Gnali.
La nostra cooperativa, già abbozzata, non poteva e non doveva incontrare ostacoli interni o contrarietà esterne, ne si voleva fosse un elemento di contrasto o scontro politico. Pensammo bene di affiliare le cooperative – quella che si costituì a Casola e l’altra che si costituì a Brisighella - alle tre centrali presenti in provincia: Legacoop, Unione e Agci.
Le due cooperative  (Coop. Montana Valle del Senio e Coop. Montana Valle del Lamone)  nacquero come cooperative unitarie.
In verità l’idea originaria era quella di un’unica Cooperativa Mon tana che operasse nelle vallate del Senio, Sintria, Lamone, Marzeno e Tramazzo con 2 sezioni soci: Casola Valsenio e Brisighella, con l’alternanza delle Presidenze e altre regole di garanzia a tutela del loro carattere “unitario”.
Poi ripiegammo su due strutture autonome ma con strumenti tecnico/amministrativi comuni.
E all’inizio andò così.
Nel pomeriggio dell’11 giugno 1975 nello studio del notaio Baruzzi di Faenza costituimmo le Cooperative Montane Valle del Senio e Valle del Lamone, approvammo gli Statuti procedendo all’elezione degli organi.
Tra mille difficoltà e ostacoli incontrati sul proprio cammino, cambiamenti generazionali etc., quelle cooperative sono ancora attivissime, fanno bilanci e distribuiscono reddito. Sono una bella realtà.
Oggi Casola e Brisighella sarebbero in difficoltà senza queste imprese ormai radicate nel tessuto locale, consolidate e capitalizzate.
Gli alberi, il bosco, il rimboschimento che hanno sempre rappresentato fonte di sostentamento – e concludo – sono diventati anche volano per lo sviluppo. Però l’unità dei lavoratori, la loro fiera partecipazione sono state la molla, lo scatto per passare da uno stato di disoccupazione, sottoccupazione al protagonismo e l’imprenditoria.
Non volevo addentrarmi in giudizi sull’attualità politico/sindacale che viviamo, né esternare consigli, ma una cosa sola voglio dirla a voce alta: credo che il sindacalismo odierno dovrebbe riflettere  un po’di più sul disastro delle proprie fratture e divisioni. Una mia convinta, perché vissuta, personale opinione: si fermino un attimo, si guardino un po’ indietro, potrebbero imparare qualcosa.

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