giovedì 18 settembre 2014

L'art. 18? Il problema è il lavoro per chi non ce l'ha e più tutele per tutti, anche per quelli che non ne hanno nessuna. Questo è quel che deve fare una forza di sinistra


Intervista a Filippo Taddei, Responsabile nazionale Economia e Lavoro PD
(La Repubblica, 17 settembre 2014)

Ricostruire il capitale umano bruciato dalla crisi e garantire l'estensione universale delle tutele: è questo l'obiettivo della riforma del lavoro varata dal governo Renzi e ora all'esame del Parlamento sotto forma di legge delega. "La polemica sull'articolo 18 è sterile, l'80% della forza lavoro italiana è fatta di piccole e medie imprese con meno di 15 dipendenti per i quali già oggi l'articolo 18 non si applica" spiega Filippo Taddei, responsabile economico e lavoro del Pd che ammette: "Il governo si gioca molto con questa riforma. Le leggi non creano occupazione, ma un ambiente dove investire. Sono gli investimenti che fanno il lavoro, le norme garantiscono la tutela degli interessi e dei diritti".
La polemica sull'articolo 18 sarà sterile, ma nel PD Fassina dice che i diktat sono inaccettabili.
"La politica è fatta con il cuore. Non voglio fare polemiche, preferisco concentrami su quello che stiamo realizzando. L'impianto della legge delega presenta una riforma complessiva del mercato lavoro che posa su due pilastri: i nuovi ammortizzatori sociali e la semplificazione dei contratti con la presentazione dell'emendamento di oggi in commissione Lavoro al Senato. Il nostro obiettivo è ricostruire il capitale umano ed estendere le tutele. Parlando solo di articolo 18 ci dimentichiamo di tutti quei lavoratori che non sono tutelati e di quelli che dopo 15-20 anni di lavoro vengono mandati a casa con 4-5 mensilità. Il nostro compito è trovare una sintesi, un punto d'incontro".

Come a dire che la rinuncia al posto di lavoro garantito verrà in qualche modo compensata?
"Il posto di lavoro è garantito solo da un'economia in salute e dagli investimenti degli imprenditori. Le regole garantiscono i diritti, la tutela degli interessi, ma non lavoro. Il nostro obiettivo era universalizzare i diritti e semplificare contratti. Dobbiamo anche pensare che un datore di lavoro serio non ha alcun interesse a licenziare i propri dipendenti a meno di non esserne costretto. Un imprenditore serio è uno che investe e per farlo vuole essere certo di avere a disposizione un capitale umano e delle infrastrutture capaci di valorizzare il suo investimento".

Il problema è quindi che l'Italia ha perso competenze?
"Sì, ne abbiamo perse molte, ma possiamo ricostruirle attraverso la scuola, l'università e soprattutto il lavoro. E tanto più il lavoro è stabile, tanto più si impara. Con il contratto unico a tutele crescenti diamo il massimo incentivo a creare posti di lavoro a tempo indeterminato: per noi il cuore del lavoro deve essere stabile. Poi ci saranno dei lavoratori saltuari perché alcune professioni lo richiedono e quelli resteranno. Il mercato del lavoro deve essere certo, deve favorire il lavoro buono".

Però il problema dell'Italia nell'attrarre investimenti pare più la mancanza di infrastrutture e di tecnologia.
"Chi vuole investire guarda al capitale umano. La tecnologia si compra, le infrastrutture si costruiscono. Noi dobbiamo ripotenziare questo paese, i suoi lavoratori. Questo è il cuore della riforma. Il governo si gioca molto perché ha puntato forte sulla creazione di un mercato del lavoro più equo, più europeo. Per questo la polemica sull'articolo 18 è inutile. Le garanzie aumentano, grazie alla riforma degli ammortizzatori sociali".

Quanto durerà la fase d'entrata?

"Ad oggi ci sono due proposte, ma l'orizzonte temporale dovrebbe essere di 3 anni".

Dopo la riforma del lavoro arriva la legge di stabilità. Gli 80 euro resteranno?
"Gli 80 euro sono per sempre, ma bisogna comportarsi di conseguenza. Bisogna ridurre per sempre anche la spesa corrente altrimenti succede come per l'Imu: cancellata nel 2013 e tornata nel 2014 perché mancavano le coperture. Quello è un film che non vogliamo più vedere. Taglieremo gli sprechi, non la spesa sociale".




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"L'emendamento del governo depositato stamattina (17 settembre - ndr) in Commissione lavoro è chiaro: le nuove assunzioni a tempo indeterminato, per giovani e non, saranno a tutele crescenti. L'articolo 18 continuerà dunque ad applicarsi per chi già ne beneficia; per i nuovi contratti, in caso di licenziamento, ci sarà un indennizzo commisurato all'anzianità di servizio, l'ASPI e servizi efficaci per il ricollocamento".

E' quanto affermato dal vicepresidente del Gruppo Pd al senato, Stefano Lepri, componente della Commissione Lavoro a Palazzo Madama.

"Ne esce insomma - ha spiegato Lepri - come anch'io avevo suggerito con alcuni emendamenti, un doppio canale: restano i diritti acquisiti, ma per tutti i nuovi si applica la flexicurity, adottata dalle migliori esperienze europee. Chi ha le tutele dell'articolo 18 potrà, verosimilmente, anche optare per il nuovo regime, scambiando maggior reddito con la rinuncia alla certezza del posto fisso".
"Le imprese, specie quelle straniere che vogliono investire in Italia, non avranno più scuse nell'assumere un lavoratore a tempo indeterminato e avranno un codice semplificato, in inglese, del diritto del lavoro. Insomma, se approvata, la delega sarà non solo un'operazione di giustizia a favore di chi non ha tutele, ma anche un grande fattore di competitività per l'Italia che produce".

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