sabato 14 febbraio 2015

NOTE CASOLANE - Campanile e cortile dell'Abbazia di Valsenio - Vallis Senii

Il testo che pubblichiamo è tratto da un ciclostilato distribuito agli alunni della scuola media di Casola Valsenio. Ne furono prodotti altri, su diversi argomenti e luoghi casolani, e portavano il titolo di "CENNI SULLA STORIA DI CASOLA". La stesura dei testi era "a cura della Signora Luciana Alvisi in Isola – Dirigente il Centro di lettura di Casola capoluogo e del Prof. Augusto Rinaldi Ceroni, Preside della Scuola Media Statale di Casola Valsenio (Ra) – 22 febbraio 1968".

La chiesa priorale “San Giovanni Battista” di Valsenio era anticamente un’abbazia dei Benedettini e si suppone risalga al sec. VI. Posta sulla sinistra del Senio prese il nome dello stesso fiume che scorre in uno dei punti più belli della vallata. Il poeta Luigi Orsini, ammirando il panorama esclamò: “Mettiamoci in ginocchio”. Infatti lo spettacolo che si presenta è magnifico. La bella e maestosa “vena del gesso” ci appare come un grande sipario parzialmente aperto. E’ chiaro che quella apertura non esisteva in antico e che la catena continuava, come dice la giacitura degli strati calcarei. Una convulsione tellurica o il lento logorio delle acque spezzò la sbarra gessosa; di qua e di là i massi rotolati i basso o sospesi in forme minacciose mostrano ancora l’opera di disgregazione nei secoli. 
Una leggenda dice che la valle superiore del Senio fu anticamente un lago, il quale a poco a poco si aprì la via tra le rocce e formo il fiume. Comunque sia, è certo che quella spaccatura fu opera delle acque che forse prima avevano formato una cascata, poi si rovesciarono liberamente nella valle inferiore.
E’ certo che su quei monti fu il mare, E’ su quella catena gessosa di sbarramento naturale che, nelle epoche preistoriche, le acque del mare s’infrangevano ed è sulla medesima che si insediarono, in tempi successivi, delle popolazioni preistoriche che avevano il culto delle acque. Le conchiglie ed altri resti marini che affiorano fra le argille e sono nascosti nelle viscere delle rocce, gli esemplari di piante, descritti dal grande naturalista Pietro Zangheri, identificati sulla vena gessosa e gli avanzi ritrovati nella “grotta dell’eremita” detta, dalla leggenda, “grotta del Re Tiberio”, ne fanno testimonianza.
E’ stato necessario premettere quanto sopra perché la formazione dell’attuale zona pianeggiante di Valsenio è strettamente legata alla Catena dei Gessi.
La chiesa suddetta nel sec. XV divenne “de Valdeseni” e “de Valdisenio”. Faceva parte della Curia o Comune di Monte Oliveto dipendente dal contado di Imola. Il suddetto Comune, munito di Castello, abbracciava l’attuale parrocchia, dal fiume fino a Monte Battagliola. Nel 1285 l’Arciprete della Pieve di Tossignano ebbe una vertenza col Priore di Valsenio, Ramberto, per questioni di territori confinanti su cui ambedue accampavano dei diritti. In un documento si è trovato scritto che il Cardello e altri fondi erano sottoposti a Tossignano, ma questa notizia non è molto sicura dato che il Cardello, casa dello scrittore Alfredo Oriani, era in origine un antico ospizio dell’Abbazia di Valsenio.
Il Cardello rivela, nello stile, gli antichi temi architettonici dell’Hospitium, foresteria del monastero di Valsenio passata in enfiteusi alle famiglie imolesi dei Compadretti poi Braga e nel 1852 a Luigi Oriani, padre del poeta Alfredo che ne fece il suo eremitaggio.
Le prime memorie del monastero annesso alla Chiesa risalgono al principio del sec. XII. Era un’abbazia ma nella seconda metà del secolo XIII, scomparvero gli Abati e restarono i Priori con pochi monaci.
Più tardi se ne andarono anche i monaci e furono sostituiti da preti col titolo di Canonici. Ai primi del secolo XV il convento venne concesso in giuspatronato alla famiglia Calderini di Bologna, grande proprietaria della vallata. Il giuspatronato passò nel secolo XVIII al Conte Francesco Ghisilieri, pure di Bologna ed erede dei Calderini.
Nel 1807-1809 passò alla famiglia Costa di Valsenio.
Il monastero di Valsenio ebbe alle sue dipendenze chiede e rettorie, sorte sulla proprietà del convento. Fra queste ricordiamo un S. Pietro in Scortegato (vicino a Castel S. Pietro), S, Maria in Gualdo (in quel di Firenzuola), S. Pietro in Carpignano o della Buratta, S. Silvestro di Pozzo e S. Martino di Monte Battagliola.
Pochi sono i ricordi rimasti dell’antica e importante Abbazia. Fra la chiesa e l’ala del monastero si trova il cortile con arcate, con monofore e bifore. Vi sono: una Madonna di terracotta, una stele etrusca, lapidi galliche e due plutei forse del secolo VII e una parte di macina per olio in marmo del Garda. I suddetti resti storici sono abbelliti da verdi pareti di rampicanti e grandi quantità di fiori. La vista del pittoresco cortile entusiasmò, nel 1926, il maestro Zandonai che volle riprodurlo nelle scene del primo atto della Francesca da Rimini.
All’interno della chiesa si trova poi una Pietà in terracotta di stile bizantino e un S. Francesco in terracotta dei Graziani di Faenza (1750).
La chiesa aveva una magnifica porta e vi si accedeva scendendo dal cimitero. Sopra la porta, nel 1574, fu posta una iscrizione in pietra arenaria:
IUSPATRONATUS D.D. COMITUM CALDERINIS
e l’immagine del titolare suddetto.
La chiesa fu danneggiata dal terremoto del 4 aprile 1781. Il Priore Luigi Costa compì i restauri necessari.
Le finestre erano chiuse con impannate di tela cerate e solo più tardi furono sostituire con vetrate.
Su di un campanile a vela, alto m. 4,39, che ricorda il primitivo stile cristiano, vi sono de campane. Nella campana maggiore si legge:
UT DEC ET ECCL. SATISFACERET FRANCIS.NIC.CALD.PRIOR IAMDIU SCISSAM AMPLIOREM REFECI CURAVIT A.MDLXXIX
Nella piccola:
A.D. MCCCC
e altre parole cancellate.
Per il nuovo piano stradale del 1862, il pavimento della chiesa veniva a trovarsi a un livello inferiore per cui si dovevano scendere quindici gradini. L’originario pavimento, con lastre tombali in arenaria, scolpite a rilievi con cavalieri in elmo, alabarde, scudi e visiere, fu rialzato di due metri e furono soppresse le otto arcate su pilastri massicci di sasso con arco e sotto arco di sapore moresco, filanti verso il pennone dell’abside, dove sorgeva l’Altare.
La chiesa fu molto danneggiata dalle artiglierie e dalle incursioni durante la seconda guerra mondiale (1940/1945) trovandosi questa entro il perimetro della zona militare delle operazioni belliche.
Quando nel 1949, per l’alto interessamento del grande Priore Don Francesco Bosi, si pose mano al restauro, venne fuori la costruzione originale ma, per ragioni finanziarie, non si potè ricostruire la chiesa nella sua forma primitiva.
Nonostante che l’attuale chiesa risponda solo in parte alla originaria, lascia però intravvedere dagli avanzi storici, dalle sue linee, dai suoi particolari artistici e dalle bellezze della natura che la circonda, il potere esercitato nei tempi e il contributo di civiltà apportato a tutta la Valle del Senio attraverso i secoli.
“Valsenio” definito dallo Zangheri un quadro autentico che dà il volto al nostro paese, racchiude nel suo perimetro il Cardello col Museo del Poeta Oriani, le ville Giardino e Ferniani e ridenti e ameni colli; deve perciò essere tutelato dalle due leggi del giugno 1939, per le sue infinite ed immense ricchezze di alto interesse storico-artistico e di grande valore estetico-panoramico.

Nessun commento: