lunedì 30 marzo 2015

I cento anni del poeta comunista che voleva la luna

E' stato un secolo di impegno politico, quello di Pietro Ingrao: "Nelle città venni al tempo del disordine, tra gli uomini venni al tempo delle rivolte e mi ribellai insieme a loro".  
Ha attraversato il Novecento e la sua storia a perdifiato, Pietro Ingrao, dalla provincia di Latina dove nasce, agli studi classici e giuridici a Roma, alla passione per il cinema e la musica, e, soprattutto, la politica. Quella in prima persona, che ti chiama a gran voce e che impone scelte, e coraggio.
Nel 1936 sarà la guerra civile spagnola, la resistenza al generalissimo Francisco Franco, a spingere Ingrao a intensificare i rapporti con altri giovani antifascisti, con il Partito comunista, per poi entrare in clandestinità nel 1942, lavorando negli stessi anni all’edizione clandestina de l’Unità, per diventarne poi, nel dopoguerra, direttore, dal ‘47 al ‘56.
Direttore de l’Unità, membro del comitato centrale del PCI, deputato per dieci legislature, dal 1950 al 1992, quando chiese di non essere ricandidato, primo presidente comunista della Camera dei deputati, dal 1976 al 1979, durante gli anni di piombo, il sequestro Moro.
Dalla Resistenza all’invasione sovietica sovietica dell’Ungheria, dalla primavera di Praga, al compromesso storico e alla stagione del terrorismo, fino alla sconfitta del comunismo, alla caduta del muro di Berlino, alla fine del PCI, Ingrao è stato testimone e protagonista del “secolo breve”, sempre da sinistra, interlocutore amatissimo anche da chi – come i suoi amici de Il Manifesto – diventavano eretici per il grande partito comunista.
Mille battaglie, dentro e fuori il partito, e tante sconfitte: non le nasconde, alcune forse non se le perdona. Nella sua autobiografia "Volevo la luna” si legge: "Noi siamo stati sconfitti, ma abbiamo vissuto un'esperienza straordinaria. Oggi, a volte, l'orizzonte della politica mi sembra diventato più piccolo e angusto".
Sul suo sito il poeta comunista scrive di sé: “Sono un figlio dell’ultimo secolo dello scorso millennio: quel Novecento che ha prodotto gli orrori della bomba atomica e dello sterminio di massa, ma anche le speranze e le lotte di liberazione di milioni di esseri umani. Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro”.

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel messaggio che gli dedica, sottolinea come "l’occasione straordinaria dei tuoi cento anni, sono anche una opportunità per riflettere sui cambiamenti profondi di questo nostro Paese, che hai accompagnato e arricchito con la tua sensibilità umana, con il lavoro politico, nelle Istituzioni, tra i cittadini. Grazie Pietro, per questi – permettimi il richiamo e l’assonanza scherzosa - cento anni di moltitudine di cui tutti, dal profondo, ti siamo grati".

La Vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, scrive: "Auguri per i tuoi cento anni, ognuno dei quali appartiene un poco a tutte le donne e gli uomini del nostro Paese. Tanti auguri perché se oggi sei considerato una persona speciale, per la vita politica e culturale del nostro paese, è perché hai saputo condurre le tue battaglie con l'onestà intellettuale che ti è propria. Oggi quella storia che tu rappresenti appartiene a tutte e tutti, con le vittorie e le sconfitte, i sogni realizzati e gli errori compiuti.

Mai la politica dovrebbe abdicare all'indignazione, bisogna costruire una relazione condivisa, attiva: «Pratica il dubbio ogni volta che l'agire collettivo contrasta col tuo sforzo di essere libero», hai scritto. E queste parole sono, per chiunque eserciti una responsabilità pubblica, una ispirazione insostituibile".

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