martedì 17 marzo 2015

Riforma costituzionale: la Camera approva il disegno di legge che ora torna in Senato

Palazzo Madama dovrà esprimersi solo sugli emendamenti apportati da Montecitorio. Dopo questo passaggio dovranno seguire altre due letture del Ddl, poi il referendum confermativo.
Dopo tre mesi di discussione il 10 marzo la Camera ha approvato in prima lettura il disegno di legge di riforma costituzionale: 375 i voti favorevoli (tutta la maggioranza e una piccola parte di Forza Italia), 125 quelli contrari (Forza Italia, Lega e SEL) e 7 gli astenuti. Il Movimento 5 Stelle ha scelto di uscire dall'Aula. Ora il testo passa nuovamente al Senato, proseguendo l'iter che una volta concluso potrà portare a una profonda revisione del bicameralismo paritario, ovvero l'attuale sistema per cui le leggi vengono ugualmente esaminate da entrambe Camere.
Come ho già scritto varie volte, e come ormai noto, il testo rivede in particolare composizione e funzioni del Senato che, qualora la riforma sarà varata, non sarà più eletto dai cittadini ma dai Consigli regionali. Faranno parte del Senato, con ciò, i consiglieri regionali (74 membri), i sindaci (21 membri) e 5 personalità scelte dal capo dello Stato per alti meriti culturali e sociali, che restano in carica 7 anni e non più a vita come oggi. I componenti saranno quindi 100 e non più 315. Il Senato così riformato avrà anche differente ruolo. Pur restando facoltà di Palazzo Madama il proporre leggi, si considerano approvate con procedimento monocamerale (ovvero votate dalla sola Camera dei deputati) tutte le norme a eccezione delle leggi di revisione della Costituzione, delle ratifiche dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Ue, dei provvedimenti che riguardano Comuni, Città metropolitane e Regioni (poiché il Senato rappresenta le istituzioni territoriali). Il procedimento che si applica in via generale sarà, però, monocamerale. Nonostante questo le leggi possono essere esaminate dal Senato, se lo richiede un terzo dei suoi membri entro dieci giorni dall'approvazione da parte della Camera. In tal caso il Senato può approvare proposte di modifica entro i successivi trenta giorni, ma è la Camera dei deputati a deliberare su queste proposte in via definitiva. Per la legge di bilancio, gli emendamenti del Senato devono invece essere approvati entro quindici giorni. Quando il Senato non intenda procedere all’esame delle leggi, esse vengono semplicemente promulgate.
Il Ddl costituzionale si occupa anche della revisione del Titolo V in un'ottica di maggior accentramento delle competenze legislative (restano materie di legislazione regionale quelle individuate in via residuale, ovvero non di competenza statale il cui novero viene molto ampliato) e infine di alcuni cambiamenti sull'istituto referendario. In particolare viene considerato valido l'esito di un referendum proposto da almeno 800mila cittadini qualora vadano alle urne un numero di elettori pari a quello dell'ultima tornata politica, abbassando così il quorum. Per i quesiti che hanno raccolto 500mila firme (o sono stati indetti da almeno cinque Consigli regionali) resta invece quello attuale (il 50% più 1 degli aventi diritto al voto).
Durante la lettura del Ddl, la Camera ha apportato alcuni cambiamenti al testo pur non snaturandone l'impianto. Ad esempio abbiamo chiarito meglio, rispetto al provvedimento iniziale, quali leggi si intendono bicamerali e con quali margini possono essere apportate modifiche alle leggi monocamerali da parte del Senato (cito a titolo di esempio la legge di Bilancio, che può essere modificata da Palazzo Madama entro 15 giorni dalla richiesta d'esame, la quale deve avvenire dopo 10 giorni dall'approvazione della Camera e su richiesta di un terzo dei senatori). L'altra importante modifica – di cui scrivevo anche il mese scorso – è l'innalzamento del quorum per l'elezione dei futuri presidenti della Repubblica: servirà la maggioranza dei due terzi degli elettori nei primi tre scrutini, quella dei tre quinti dal quarto al sesto scrutinio e la maggioranza dei tre quinti dei votanti dal settimo scrutinio in avanti. La norma è stata emendata perché la legge elettorale che si sta discutendo (il cosiddetto “Italicum”) introduce un premio di maggioranza tale per cui è fondamentale che il capo dello Stato, garanzia di tutte le forze politiche, venga eletto con il consenso più ampio possibile. La Camera ha anche mitigato il ruolo del Governo nel procedimento legislativo: l'Esecutivo può chiedere in via prioritaria l'iscrizione all'ordine del giorno di disegni di legge considerati essenziali per l'attuazione del programma di Governo, ma sono stati definiti i confini di questo istituto bilanciando le prerogative del Governo con quelle del Parlamento. La Camera dovrà infatti deliberare sull'iscrizione prioritaria dei disegni di legge proposti dall'Esecutivo entro 5 giorni dalla richiesta. Un altro emendamento apportato da Montecitorio è la possibilità di impugnare di fronte alla Consulta le leggi elettorali prima della loro messa alla prova, quindi anche quelle approvate nel corso dell'attuale legislatura: significa che un quarto dei componenti della Camera o un terzo dei componenti del Senato potranno chiedere alla Corte costituzionale di esprimersi sull'Italicum. Questo emendamento apre una parentesi politica: la minoranza PD ha più volte ravisato un atteggiamento di chiusura da parte del Governo sia sul Ddl costituzionale che sulla discussione relativa alla legge elettorale. Proprio per non lasciare l'Esecutivo in un comodo isolamento, siamo riusciti a normare il giudizio preventivo di costituzionalità sull'Italicum su cui una parte dei Democratici nutre non poche perplessità: riteniamo ci debbano essere bilanciamenti appropriati.
Da un punto di vista procedurale, ora il Senato si dovrà pronunciare con un nuovo voto sul Ddl costituzionale ma solo sulle parti modificate dalla Camera: su tutto il resto non sarà più possibile fare emendamenti. A questo passaggio seguirà poi una seconda doppia lettura da parte di entrambe le Camere, che deve avvenire dopo una pausa di tre mesi dall'approvazione delle modifiche e che si concretizza come un voto secco su tutto il Ddl. Bisogna ricordare che l'articolo 138 della nostra Costituzione impone un iter chiaro e giustamente rigido per l'approvazione finale delle riforme come quella in discussione: la revisione si considera definitivamente deliberata dopo due successive conferme positive da parte di ciascuna Camera sul medesimo testo di legge e se la legge è approvata da ciascun ramo del Parlamento con la maggioranza dei 2/3 dei componenti la riforma passa senza che sia necessario il referendum confermativo popolare (che però è sempre possibile, qualora richiesto). Se invece la maggioranza che ha approvato la riforma costituzionale risulta inferiore, è obbligatorio che siano i cittadini a sancire con il referendum la modifica della Carta fondamentale. Vista la situazione politica che si è venuta a creare, con Forza Italia che ha fatto un'inversione a “U” sul provvedimento, non è affatto scontato che il Ddl Boschi venga votato dai 2/3 di Senato e Camera nelle prossime letture. Questo significa che probabilmente servirà il referendum confermativo e che quindi l'ultima parola spetterà agli elettori. Ricordo infatti che la precedente riforma costituzionale, voluta dal governo Berlusconi, venne bocciata dalle urne nel 2006. In ogni caso, Matteo Renzi ha sempre detto di voler procedere alla consultazione popolare.
Per il momento, concludo dicendo la Camera ha svolto bene il proprio lavoro emendando il testo che aveva ricevuto e apportando correttivi soprattutto in un'ottica di maggior equilibrio tra i diritti della maggioranza e la garanzia della minoranza (innalzamento del quorum per l'elezione del capo dello Stato) e nei rapporti tra Governo e Parlamento (l'iscrizione delle leggi prioritarie dell'Esecutivo all'ordine del giorno in Aula).

Nessun commento: