mercoledì 15 aprile 2015

NOTE CASOLANE - Prima e dopo la guerra a Casola Valsenio

PRIMA DELLA GUERRA - Estate 1943, "Figli della Lupa" alla colonia "Ritrovo Bottonelli" di Casola Valsenio

DOPO LA GUERRA - Operai casolani nella ricostruzione del Ponte della Cestina
 di Beppe Sangiorgi (pubblicato su Il Senio, n.21 - aprile 1985)

Le locuzioni “prima della guerra” e “dopo la guerra” in relazione alla individuazione temporale di un fatto, più che gli anni immediatamente precedenti o seguenti la seconda guerra mondiale, intendono generalmente riferirsi a due periodi vicini nel tempo ma lontani e differenti per cultura e vita sociale.
Per la popolazione contadina dell’Appennino Tosco-Romagnolo la guerra rappresentò la soglia del passaggio tra il vecchio e il nuovo, tra una società chiusa e tradizionalista e un mondo pieno di fermenti e di istanze innovative.
Secondo Giuseppe Bellosi, studioso attento alle tradizioni popolari romagnole, con la guerra si verifica una interruzione dei canali che portano linfa alle tradizioni romagnole che in breve rinsecchiscono e si avviano, in gran numero, alla fine.
Storicamente la svolta culturale (intesa come mutamento di abitudini fisiche e mentali, di rapporti sociali e anche economici, di modi di vita) va collocata tra l’8 settembre 19943 e la primavera del 1945.
In tale periodo la popolazione contadina della montagna ebbe contatti e rapporti anche prolungati prima coi partigiani e poi con gli alleati fermi sulla linea del Senio tra il mese di dicembre del 1944 e l’aprile successivo.
Si tratta di un aspetto della guerra fino ad ora poco considerato dagli studiosi di tradizioni popolari e dagli storici che l’hanno subordinato all’analisi e alla esposizione delle vicende militari ed ai connessi risvolti politici.
L’impatto apparentemente più violento fu certo con la cultura degli alleati le cui armate, l’VIII britannica e la V statunitense, risalivano la penisola.
Lo storico David Ellwood, nel corso di una tavola rotonda su “La cultura degli alleati” organizzata dal Museo del Senio di Alfonsine, ha puntualizzato che alle popolazioni che incontravano nella loro avanzata, le truppe britanniche e americane proponevano un nuovo modello di vita più che una nuova cultura nel senso nobile del termine.
Esso aveva comunque una dimensione ideologica e propagandistica, soprattutto da parte degli ufficiali scelti anche in base alla loro capacità di rappresentare i valori della civiltà anglosassone.
L’influenza degli alleati, sempre secondo Ellwood, ebbe modo di dispiegarsi solo al Sud grazie a una lunga permanenza rispetto al Nord dove trovarono anche una situazione politica diversa.
“Soprattutto in Romagna – ha aggiunto nella stessa occasione Dianella Gagliani – l’impatto tra le due culture fu condizionato dalla presenza di un forte movimento partigiano. Qui gli alleati mantennero un atteggiamento freddo, di controllo delle organizzazioni popolari. Prese invece piede tra la popolazione una conoscenza e anche una cultura tecnica: nuovi medicinali, nuovi alimenti, attrezzi, mezzi di comunicazione e di trasporto nuovi, efficienti e tutto in quantità sovrabbondanti”.
Grazie alla potente macchina di guerra alleata i contadini della montagna romagnola assaggiano per la prima volta il thè, il latte in polvere, il thè col latte, generi inscatolati o variamente combinati che, più per necessità che per gusto, entrano a far parte dell’alimentazione quotidiana. Così anche per i nuovi e miracolosi medicinali. Si realizza anche, a volte in modo fantasioso, una utilizzazione degli oggetti e degli attrezzi militari nello svolgimento dei lavori agricoli: ad esempio gli elmetti utilizzati per il pastone degli animali da cortile o, dotati di un manico, per sollevare i liquami della stalla.
Come non ricordare infine le tante strade aperte dagli alleati e poi utilizzate dalla popolazione contadina per più rapidi e frequenti collegamenti tra centri abitati e campagna.
Nascono anche nuove espressioni verbali mutuate direttamente dalle vicende della guerra. Di un albero tagliato malamente si dice “tagliato all’indiana” perché le truppe di colore per difendersi dai rigori dell’inverno tagliavano sistematicamente i tronchi all’altezza di un metro circa dal suolo. Allo stesso modo entra nel linguaggio comune anche la parola tedesca “kaputt” nel senso di tutto finito.
La cultura degli alleati penetrò solo corteccia della cultura contadina, lasciando volutamente intatte le strutture portanti sulle quali si reggeva la vita sociale ed economica nelle campagne perché – sosteneva il comando alleato – il disordine o i turbamenti di qualunque genere nella popolazione civile possono solo avere un effetto negativo sulle forze militari.
Si colloca in questa ottica, ad esempio, la conferma del vecchio patto di mezzadria comprendente secolari istituti quali le regalie, ritenuto, anche per altri motivi, “the best”, il migliore.
Ma quando gli alleati raggiunsero l’Appennino tosco-romagnolo già si era verificato tra la popolazione contadina mezzadrile un mutamento interno che avrebbe portato a ampi e profondi rivolgimenti nel dopoguerra. Per incontrare il momento nodale del rinnovamento culturale dobbiamo andare oltre alla primavera-estate del 1944, all’incontro tra le forze partigiane e la popolazione contadina della montagna, per oltre l’80% di condizione mezzadrile. Il processo di avvicinamento poté realizzarsi grazie all’intuizione politica che le questioni di fondo della Resistenza dovevano essere collegate al mondo contadino in termini concreti e comprensibili.
“Il punto di forza della difesa degli interessi contadini – ricorda Luciano Bergonzini, storico e partigiano – fu individuato nella ridefinizione storica del ruolo del padrone: sì proprietario della terra con legittimi diritti, ma non più figura intangibile le cui decisioni debbono essere insindacabilmente subite”.
Lo spodestamento della figura del padrone porta allo sbriciolamento della struttura sociale della campagna al cui vertice egli si colloca. Tra la popolazione contadina si fa via via sempre più nitida la percezione dell’ingiustizia economica e della anacronistica subordinazione sociale che caratterizzava la loro condizione.
Da qui il passo breve che porta al rifiuto e al rigetto di consuetudini e di antiche costumanze, molte delle quali si reggevano su una netta e invalicabile stratificazione sociale.
Ad esempio, la Festa di S. Antonio di Baffadi (Casola Valsenio) da tempi remoti veniva organizzata da un priore scelto tra i proprietari e da due sottopriori di estrazione mezzadrile; ebbene, dal 1945 in poi rimase solo il priore.



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