sabato 4 luglio 2015

Referendum, vigilia di tensione. Il futuro dell’Europa in mano al popolo greco

La Grecia e tutta l’Europa attendono l’esito del referendum. Il voto di domani ha assunto un valore che va ben oltre la semplice consultazione popolare voluta dal governo Tsipras. Decidendo se accettare o meno le condizioni imposte dall’Unione Europea per sostenere il debito di Atene, i cittadini greci lanceranno un messaggio che potrebbe cambiare gli equilibri economici, politici e sociali di tutto il continente. La campagna referendaria, nelle ultime ore, ha assunto una portata transnazionale, arrivando a punte di scontro altissime.
Ieri sera ad Atene è andato in scena il derby delle piazze, la rappresentazione plastica di un Paese ormai spaccato a metà, obbligato a scegliere quale dei due mali (accettare le condizioni durissime imposte dai creditori o fare un salto nel vuoto che potrebbe portare la Grecia al default e all’uscita dall’euro) sia il male minore.

A piazza Syntagma, luogo simbolo della protesta, il premier Alexis Tsipras ha arringato gli oltre 25mila sostenitori: “Dobbiamo dare un messaggio di democrazia e dignità al mondo. Decidiamo se vivere con dignità in Europa, lavorare e prosperare in Europa, essere uguali fra uguali. Oggi tutto il pianeta guarda questa piazza, dove è nata la democrazia”.
A meno di un chilometro di distanza, davanti all’antico stadio Kallimarmaro, è andata invece in scena la manifestazione dell’orgoglio europeista. Un gigantesco Nai (Sì) sul vecchio monumento olimpico, davanti a 20mila persone accompagnate dalle note dell’Inno alla Gioia. “Domenica votiamo sì o no all’euro – ha tuonato l’ex premier conservatore Antonis Samaras – non votiamo a favore di una o dell’altra proposta. Invito tutti i greci a recarsi uniti alle urne e a rimanere uniti anche il giorno dopo. Votiamo per la Grecia, votiamo per una Grecia forte”.
Mentre ad Atene si gioca la partita delle piazze e delle urne, con sondaggi sempre più incerti, in tutta Europa sale la tensione in vista di ciò che potrà succedere dopo il voto di domenica. A testimonianza del fatto che il referendum sia una questione che va al di là dei confini ellenici, vi è il lungo elenco di dure prese di posizione, non solo dei vertici dell’Unione Europea ma anche dei maggiori calibri della politica tedesca, compattamente schierati contro Tsipras. Da Jean-Claude Juncker a Jeroen Dijsselbloen, da Wolfgang Schaeuble a Martin Schulz, piovono minacce bipartisan contro il governo greco, che possono essere riassunte così: “L’esito del referendum sarà decisivo per arrivare ad un accordo, non è assolutamente scontato che i negoziati possano avere un risultato positivo. Di questo governo non ci fidiamo”.
Una posizione in totale antitesi rispetto a quanto va affermando il ministro delle Finanze di Atene Yanis Varoufakis, che ormai da giorni alterna messaggi distensivi a veri e propri anatemi contro le istituzioni europee. Per cui se da una parte si dice sicuro che “martedì, comunque vada il referendum, si arriverà ad un accordo”, dall’altra si scaglia contro i creditori definendoli “terroristi che vogliono umiliare il popolo greco”.
In questo contesto di schizofrenia politica ed economica, tra minacce di fine liquidità imminente e prelievi forzosi da parte delle banche, il popolo si appresta a recarsi in massa alle urne. I dieci milioni di greci che domani metteranno una croce su Nai o Oxi hanno in mano un dado da cui dipenderà il futuro del loro Paese e non solo. Dopo soli sei mesi di governo, Tsipras ha deciso di consegnare ai suoi cittadini il destino dell’Europa.

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