domenica 16 agosto 2015

Una sinistra “normale” è in grado di tollerare un conflitto aspro tra le sue diverse anime

di Pietro Reichlin (l'Unità, 14 agosto 2015)

Una sinistra “normale” è in grado di tollerare un conflitto aspro tra le sue diverse anime. Ma, perché ciò sia possibile, le parti hanno il dovere di comunicare in modo coerente il significato delle proprie scelte, sulla base dei valori che contano, senza delegittimare l’avversario.
Tutti i partiti socialdemocratici europei sono caratterizzati da divisioni e correnti. Da una parte chi è fedele alla tradizione laburista, dall’altra chi si rivolge a un elettorato più ampio ed è aperto a principi liberali. Queste divisioni possono essere distruttive o feconde, a seconda di come si interpreta la lotta politica e il dibattito interno. Perché una battaglia politica possa produrre un valore aggiunto, è necessario che le diverse ipotesi in campo rispondano alle domande che si pone la gente comune, e offrano soluzioni realistiche ai problemi che affliggono il paese.

La degenerazione della battaglia politica avviene quando essa è definita solo da preconcetti ideologici (essere più o meno “di sinistra”), o dal tentativo di conservare posizioni di potere. In questo caso, l’elettorato non capisce e si allontana. Nell’ultimo anno abbiamo assistito a uno scontro aspro all’interno del PD, tra la maggioranza e la sinistra interna.
Dalla lettura dei giornali chi, come me, osserva la politica dall’esterno, capisco che la Sinistra PD ha dato battaglia su quattro questioni: il Job Act, la riforma della scuola, l’atteggiamento del partito nei confronti della crisi greca e la riforma costituzionale. Quali elementi costitutivi del pensiero socialdemocratico e riformista (democrazia, giustizia sociale, solidarietà) sono messi in gioco dalle scelte del governo su tali questioni? Il Job Act è certamente un punto dolente del dibattito che contrappone la sinistra laburista a quella liberale in tutti i partiti socialdemocratici. È l’antica questione se i vincoli legali alla flessibilità dei rapporti di lavoro siano o meno efficaci a preservare l’occupazione e a proteggere i lavoratori contro i rischi di impiego. Una buona parte della socialdemocrazia europea (soprattutto in Olanda e Germania) ritiene che vincoli troppo stringenti portino al risultato opposto, precariato e scarsa occupazione dei giovani, e che il sindacato farebbe bene a concedere un po’ di flessibilità in cambio di maggiori tutele per chi perde il lavoro. Un dissenso su questo punto è comprensibile e naturale. Non dimentichiamo, tuttavia, che nel Job Act c’è anche qualcosa che sta nel Dna della sinistra: il tentativo di estendere la protezione contro i rischi di impiego a chi non l’ha mai avuta (non solo i lavoratori che possono accedere alla cassa integrazione). Su questo fronte si può e si deve fare di più e la sinistra PD ha tutte le ragioni per spingere verso forme di tutela più generose, tenendo conto dei vincoli reali e sfuggendo alla tentazione di fare opposizione senza l’onere di governare (come fanno i 5 Stelle). La spesa sociale in Italia è in linea con quella dei paesi del Nord Europa, che hanno un welfare certamente generoso, e la ragione per cui noi facciamo poco per sostenere i redditi degli incapienti e dei disoccupati è che abbiamo una spesa pensionistica molto superiore alla media europea. Chi propone di estendere i sussidi e introdurre un reddito di cittadinanza deve anche dire dove trovare le risorse.
È più difficile comprendere le ragioni della sinistra PD sulle altre 3 questioni: riforma della scuola, crisi greca e riforma costituzionale. Sulla scuola il governo ha fatto scelte perfettamente congruenti con una linea che il PD ha ereditato da Luigi Berlinguer e da Romano Prodi: maggiore autonomia degli istituti e valutazione dei risultati. Si può discutere dei dettagli, ma opporsi a questa scelta significa arretrare rispetto a un progetto che appartiene alla storia del centro-sinistra italiano. Non esiste autonomia senza responsabilità. Perché dirigenti e professori non devono essere valutati? Perché i dirigenti scolastici (proprio perché valutati) non dovrebbero avere qualche potere e responsabilità in più sulla scelta dei programmi e il reclutamento dei docenti? Scegliendo di aderire acriticamente alle rivendicazioni dei sindacati di categoria, concentrati su assunzioni e precariato, la sinistra PD ha dato l’impressione di sottovalutare i veri problemi che affliggono la nostra scuola (programmi e qualità dell’istruzione) e la sfida di adeguare le competenze dei nostri ragazzi alle esigenze del mondo del lavoro.
Oscure anche le ragioni delle critiche della sinistra PD sulla crisi greca. Il governo ha operato per una mediazione che portasse i paesi del Nord Europa sull’estensione del programma di aiuti e convincesse Tsipras ad abbandonare una posizione ideologica e irrealista, cioè il taglio incondizionato del debito senza riforme. Sarebbe stato meglio sposare acriticamente la strategia di  Syriza? Il programma elettorale di questo partito e la strategia di minacciare l’uscita dall’euro al costo di portare il paese sull’orlo della bancarotta sono il contrario di tutto ciò che il PD ha fatto negli ultimi anni, e che ha consentito di far uscire l’Italia dalla crisi finanziaria del 2011. La sinistra PD, invece, ha deciso di sostenere un inutile referendum e qualcuno ha anche suggerito a Syriza l’uscita dall’Eurozona. Sull’ultimo punto di grave dissenso, la formazione del Senato previsto dalla riforma costituzionale, mi limito a pochi commenti da profano. Mi sembra che siano stati sollevati due problemi principali. Il primo è la coerenza del disegno costituzionale, il secondo è quello del potere dei governi. Sul primo punto, ho molti dubbi che la sinistra PD stia conducendo una battaglia coerente con la tradizione politica che rappresenta. È oggettivamente difficile conciliare l’elezione diretta dei senatori con l’abolizione del bicameralismo perfetto e con l’idea che il Senato sia una camera di rappresentanza dei poteri locali. La Germania ci offre un modello di elezione indiretta sufficientemente solido e coerente. Il secondo problema allude al pericolo di un governo troppo forte, a cui il Senato sarebbe soggiogato. La questione è sicuramente delicata e non può essere risolta con poche battute, ma è sorprendente che si sia messa da parte, anche in questo caso, una convinzione ampiamente maturata nel centro-sinistra italiano negli ultimi decenni: che la debolezza e l’instabilità dei governi sia la vera anomalia del nostro sistema costituzionale (un governo all’anno dal ’45 a oggi). Governi instabili e di breve durata non sono in grado di portare a compimento programmi a lungo termine. Una sinistra che si batte contro la super-potenza dei mercati mondiali, dovrebbe operare per il rafforzamento dell’efficacia del potere esecutivo. Non mi sembra che l’Italia sia una democrazia sudamericana, in cui mancano contrappesi costituzionali. Una sinistra “normale” è in grado di tollerare un conflitto aspro tra le sue diverse anime. Ma, perché ciò sia possibile, le parti hanno il dovere di comunicare in modo coerente il significato delle proprie scelte, sulla base dei valori che contano, senza delegittimare l’avversario.

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