lunedì 19 ottobre 2015

A Imola vincono solo Grillo e Casaleggio, i giovani non contano

Grillo e Casaleggio all'autodromo di Imola
Dalla kermesse emerge un Movimento Cinquestelle che non riesce a confrontarsi con il mondo reale e rifiuta ogni forma di democrazia interna: Di Maio e gli altri servono solo per l’immagine

“Il Movimento 5 Stelle al governo”, recitava lo slogan della kermesse di Imola: ma i pochi che il governo (locale) lo esercitano davvero hanno dovuto riunirsi semiclandestinamente in un bar, al di fuori dell’autodromo, e soltanto dopo aver subissato di messaggi Luigi Di Maio, che del Movimento è il responsabile Enti locali. Ai sindaci cinquestelle, infatti, la Casaleggio Associati ha vietato il palco centrale; e l’incontro ufficiale previsto dal programma era andato deserto perché convocato sabato alle 10 di mattina, quando il meeting ancora doveva iniziare e a Imola non c’era nessuno.

In questa contraddizione c’è tutto il senso politico della kermesse, e il suo limite più vistoso: da una parte c’è la propaganda, che giustamente fa cadere l’accento sulla purezza identitaria del Movimento, sulla sua alterità radicale al sistema dei partiti, sull’intransigenza delle proposte e delle posizioni, sulla “democrazia diretta” del web; dall’altra c’è il mondo reale, pieno di contraddizioni e di ambiguità, dove si richiedono pragmatismo, realismo, duttilità, e dove le persone, come ha osservato Pizzarotti, “esistono in carne e ossa, non solo virtualmente”.

Il sindaco di Parma ha evitato per un soffio l’espulsione, l’anno scorso, perché ha scelto di affrontare i problemi della sua città con gli strumenti della politica anziché con gli occhiali dell’ideologia; la stessa cosa più recentemente è capitata a Federico Piccitto, sindaco di Ragusa, colpevole di aver detto sì alle trivellazioni (“una scelta obbligata”); a Livorno i consiglieri comunali hanno bocciato il bilancio presentato dal sindaco Nogarin. La scelta di oscurarli nasce da qui: come se il Movimento, a giudizio della Casaleggio Associati, non fosse ancora in grado di misurarsi con la realtà e le sue contraddizioni.

Il grande sconfitto di Imola, Di Maio, da politico consumato qual è ha fatto buon viso a cattivo gioco. Non ha sollevato nessuna polemica pubblica, ha disciplinatamente svolto l’intervento previsto dal palco, ha silenziosamente incontrato nove sindaci – al Bar Renzo, con il blues che usciva dagli altoparlanti e i giornalisti assiepati fuori – ha mediato e ha ricucito, ha promesso incontri a livello locale (ma non il “meet-up nazionale sui programmi” invocato da Pizzarotti). Sconfitto, dunque, ma pienamente in campo: è lui, oggi anche più di ieri, il punto di riferimento di tutti coloro che hanno capito una semplice verità: se il M5S vuol davvero fare il salto di qualità e proporsi come forza di governo, deve scendere dal cielo delle utopie e dei fondamentalismi per misurarsi con la realtà.

Impresa complessa, e difficile. “Se tu ogni volta te ne esci con parole eccessive sui giornali come faccio a ricucire con su?”, avrebbe detto Di Maio a Pizzarotti secondo le ricostruzioni dei giornali. Dove per “su” s’intende la Casaleggio Associati, la rocca inviolabile e impenetrabile che è insieme il cuore e il cervello (e la cassaforte) del Movimento. Il dissenso pubblico non è ammesso – è questa la vera colpa di Pizzarotti – e la discussione può avanzare soltanto per linee interne, allusioni, segnali criptici che la nuova generazione dei Di Maio, dei Di Battista e dei Fico si scambia allusivamente per evitare rappresaglie. C’è da chiedersi quanto a lungo questo modello possa funzionare, e se un giorno, divenuti abbastanza forti, i giovani prenderanno il potere nel Movimento, o se invece sarà la platea degli attivisti, largamente schierati sulla linea dell’intransigenza, a bloccare ogni possibile evoluzione.

Il problema della democrazia interna è in questo senso cruciale. Il M5S ha conquistato nove milioni di voti, ma a decidere sono – e sempre saranno, secondo le parole più volte ripetute da Casaleggio – i 150.000 iscritti. La piattaforma che consente agli iscritti di intervenire e, quando necessario, votare è proprietà privata della Casaleggio Associati, e nessuno, neppure i parlamentari del Movimento, può controllare o verificare alcunché. E’ dunque nel circuito chiuso fra la leadership (Casaleggio e Grillo) e la platea dei militanti che si esaurisce ogni processo decisionale: di fatto ne sono esclusi tanto i parlamentari, i sindaci e i consiglieri comunali e regionali, quanto i simpatizzanti e, ancor più, gli elettori.

Che Grillo e Casaleggio non intendino mollare la presa, al di là delle battute sul simbolo, risulta evidente da molte dichiarazioni raccolte a Imola: “Siete dei miracolati. Fino a due anni fa non guadagnavate un cazzo, ora quello che non guadagna più sono io” (Grillo); “Non passiamo il testimone a nessuno” (Casaleggio); “Nel Movimento ci sono decine di persone pronte: perché dobbiamo candidare le persone attraverso la tv?” (Grillo) – e pensare che Grillo è prima di tutto un personaggio televisivo, e che la selezione del candidato sindaco di Roma è passata per quattro dure ore di training televisivo: sembra abbia vinto Virginia Raggi, per la rabbia di Marcello De Vito, che grazie all’appello alle regole era già riuscito a stoppare Di Battista e che ora rischia di restare a bocca asciutta.

L’equilibrio sancito a Imola prevede dunque un doppio livello: al vertice resta la coppia dei fondatori, sostanzialmente inamovibile almeno fino a che tutte le decisioni saranno nelle mani degli attivisti registrati sul blog della Casaleggio Associati; più in basso, e ad uso dei media, ci sono i giovani parlamentari che si sono fatti le ossa in questi due anni: i loro volti sono assai più rassicuranti e meno divisivi di quelli di Grillo e di Casaleggio, disegnano un’immagine meno aggressiva e violenta del Movimento, all’insulto preferiscono l’esposizione puntigliosa dei disegni di legge – ma, per ora, contano poco o niente.

(da l'Unità, 19 ottobre 2015 - Fabrizio Rondolino)

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