lunedì 21 dicembre 2015

NOTE CASOLANE - Sinnius flumen (seconda parte)

(da Il Senio, n. 17 – settembre 1984)

di Leonida Costa

Neppure sull’origine e significato dell’idronomo Senio gli studiosi si trovano d’accordo. Alcuni lo vorrebbero derivato dal termine greco che definisce santuario, eremo, luogo sacro in genere, basandosi sul fatto che tale era il nome dato dai frati benedettini – teste il Mabillon – alle valli ove fiorivano i loro conventi; sicché sarebbe stata la valle a dare nome al fiume e non viceversa, come di regola accade. Chi sostiene questa tesi ignora, o quanto meno trascura, un importante particolare: che il “Sinnius flumen” si chiamava così già prima di S. Benedetto e comunque parecchi secoli avanti la fondazione dei nostri monasteri di S. Pietro in Sala e S. Giovanni in Sinno.
Inattendibile è pure la congettura di una derivazione dell’aggettivo latino che vale maestoso, solenne, santo, augusto, magnifico: attributo superlativo che appena si addice ai grandi e sacri fiumi della storia, non certo all’umile Senio.
Ma passiamo a considerare ipotesi più serie.
Due secoli fa il gesuita Stanislao Bardetti osservava in una sua erudita dissertazione (Della lingua de’ primi abitatori d’Italia, Modena 1772, pag. 156):
“…Tra Imola e Faenza passa il Senno, o Sinno, come si ha nella Peutingeriana; e il nome, comune ad altri fiumi d’Irlanda e di Fiandra, essendo manifestamente l’antico gallico “senn” o “sinn”, che vale pigro, stupido, lento, gli sarà stato imposto non fra le balze dell’Appennino, dov’è rapido al par d’ogni altro, ma alla pianura, dove prima di scaricarsi nel Po, trovando paludi e marassi che gli attraversano la strada, doveva allentarsi e illanguidire”.
Il parere di padre Stanislao non è affatto privo di fondamento; e proprio perché - come ci fa notare – la voce senn o sinn risulta comune ad altri fiumi: non solo all’irlandese Senus (ora Shannon) o al fiammingo Senne, ma anche ai nostrani Senatello (affluente del Marecchia), Sena (oggi Misa), Simniolo (oggi Marzeno, tributario del Lamone), ecc., che egli – chissà per quale motivo – non porta insieme ad esempio. Alquanto dubbio ci sembra invece il senso da lui attribuito al vocabolario gallico. Presso gli antichi il fiume era tenuto in conto di divinità tutelare e nessun popolo avrebbe mai osato affibbiargli l’irriverente appellativo di poltrone e meno ancora di stupido.
Etimologi moderni hanno formulato altre ipotesi, che tuttavia non si discostano molto dalla precedente: chi propende per una derivazione dal sostrato prelatino (celtico) sinus, i (vaso, conca profonda) o dal latino classico sinus, us (seno, sinuosità, tortuosità); chi attribuisce all' ídronomo valore etnico etruscoide. L'etimo dunque resta incerto: più probabile l 'origine celtica, ma oscuro il significato.

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Oltre alla mala sorte di incappare in geologi pedanti che lo sottoposero ad iniqua degradazione, ed in etimologi faciloni che lo vollero nato da un connubio tra valle e frati, il Senio ebbe pure quella di non aver mai trovato, a tessergli le lodi, che poeti minori o minimi. Si racconta che un degno figlio di questa nostra terra - spirito solitario e bizzarro, soprannominato dal volgo indigeno "'e matt de Cardel" - lo avesse assai caro e nelle notti di luna ne frequentasse seminudo le rive, interrogando le stelle e discutendo ad alta voce con i fantasmi del suo pensiero. Quel matto era Alfredo Oriani, l'uomo ...più savio della terza Italia; un pensatore tuttavia, non propriamente un poeta, anche se di immagini poetiche è spesso trapunta la sua prosa: "...il fiume - scriveva - corre al mare, che preme commosso sulla spiaggia le innumeri orecchie e le innumeri labbra per intendere ciò che accade sulla terra e dirle ciò che avviene nei propri incogniti abissi...".
Minor poeta fu l'arcade Ordalgo - al secolo abate Gaspare Costa - autore, verso la metà del '700, d'una voluminosa raccolta di rime petrarcheggianti, fra cui alcuni sonetti intitolati al fiume nativo del quale pone in risalto ora la tortuosità: "il Senio con piegevol corno, serpendo va per strada obliqua e incerta", ora l'incostanza: "Onde tant'acqua? al Senio io dissi un giorno. Perch'essa mai cotanto orgoglio mena? Povera pure e scarsa è la tua vena, e porta agosto a tue gonfiezze scorno..."  e più spesso ne loda "le fresche onde e pure" o "le amene ombrose sponde", presso cui si augura di poter trascorrere la vita intera e di godere l'eterno riposo. 
Son versi ispirati da buoni sentimenti ma che troppo sanno di accademia e di stantio. Dei poeti minimi - o, per dir meglio, dei non poeti - conviene tacere per rispetto al fiume. I versi più belli che conosco, dedicati al Senio, sono due distici di Luigi Orsini, i quali potrebbero figurare, senza troppo demerito, nel contesto di un'ode barbara carducciana:
"...il piccioletto Senio che sogna l'antiche tenzoni onde fu rossa l'àlacre sua gioventù, striscia fra pioppi e dice, con liquidi e tremuli suoni, remote istorie d'una grandezza che fu".

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E il piccioletto Senio di "istorie remote" ne sa più di millanta che tutta notte canta. Potrebbe narrarci se e come - circa duecentomila anni or sono - catturato nella prima giovinezza e costretto a nozze dalla Sintria, ne occupò il letto e ne divenne  signore; o quando a monte della Riva del Gesso, formava un incantevole lago azzurro, cinto di boscaglie e dirupi, ricco di alghe e di pesci; o quando scorazzava libero e fiero per la pianura litana fra selve immense e paludi, variando a piacere il cammino e fino ad annullarsi nel mare… Potrebbe descriverci per filo e per segno gli strani mostri che in ere primordiali si specchiarono nelle sue acque; la vita degli uomini primitivi che, in perpetua lotta con le belve e gli elementi, popolarono la valle nel crepuscolo della civiltà; le vicendevoli stragi compiute per il possesso delle sue fertili rive da Liguri, Umbri, Etruschi, Celti, Romani, Bizantini, Goti, Longobardi, Franchi, Guelfi e Ghibellini…
Potrebbe dirci qual era l’aspetto e la voce di Giulio Cesare, Carlo Magno, Napoleone… e di altri innumerevoli grandi che lo traversarono al Ponte di San Procolo; il numero e la potenza degli eserciti che bivaccarono presso il suo alveo; indicarci il luogo dei castelli di Gallisterna, Sasso, Laderchio, Cunio di cui non rimase pietra su pietra, o le sponde ove, baldi giovanetti, scendevano al bagno, Maghinardo, Alberico, Muzio Attendolo…
Il Senio sa queste cose e molte altre ancora; ma ciò che raccontano i fiumi con il loro perenne gorgoglio nessuno in realtà può capire: nemmeno i poeti che pure hanno orecchie e animo più sensibile alle voci arcane della natura.
Quante volte le onde del nostro fiume fluirono al mare rosse di sangue straniero, patrio, fraterno? Su quelle lontane vicende grava il silenzio e l’oblio dei secoli. Ma indelebile resterà nella storia il ricordo delle due ultime battaglie di cui fu teatro e testimone: combattuta la prima nel 1797 per i diritti dell’uomo e del cittadino, contro i privilegi e l’assolutismo; l’altra nell’inverno 1944-45 per la libertà dei popoli, contro l’oppressione e il genocidio.

FINE


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