di Siavush Randjbar-Daemi (l'Unità, 28 febbraio 2016)
La Repubblica islamica ha tenuto venerdì il primo turno delle elezioni per il rinnovo del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti, l’oscuro organismo che è tenuto a vegliare sull’operato dalla più alta carica dello Stato, la Guida Suprema, e di sceglierne quella nuova. Sull’orizzonte dei dati, tuttora frammentari, si staglia una buona affermazione dei sostenitori del presidente Hassan Rohani, e almeno il 60% dei 54.8 milioni di aventi diritto si sono recati alle urne.
I isultati non sono disponibili immediatamente. L’Iran ha un sistema elettorale particolarmente tortuoso per le proprie elezioni camerali, assai diverso dalla semplicità delle sue presidenziali alla francese (la prossima è in programma a metà 2017). Gli elettori si trovano di fronte ad una scheda contenente la spazio per apporre i nomi del numero massimo di candidati della propria circoscrizione. Nella capitale Teheran, dove si gioca la sfida più rilevante dal punto di vista politico, erano in palio 30 seggi dei 290 del Parlamento e 16 del totale di 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, unico organismo statale iraniano interamente ristretto al clero sciita. Per il Parlamento, viene eletto chi ottiene almeno il
25% dei consensi, pena il passaggio al secondo turno in programma tra un paio di mesi.
Le “liste” elettorali prodotte dai vari schieramenti hanno quindi solo la funzione di orientare gli elettori verso candidati – talvolta presenti in più di una lista – che si riconoscono in tale schieramento. Tale situazione ha reso possibile la reazione di una formazione robusta a sostegno del presidente Hassan Rohani. Nonostante l’esclusione di decine di candidati riformisti di punta da parte del Consiglio dei Guardiani, l’organismo di sorveglianza vicino ai conservatori oltranzisti, una coalizione tra riformisti vicini all’ex presidente Mohammad Khatami e i leader dell’Onda verde Mir-Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi e conservatori moderati allineati a Rohani ha dato vita, per la prima volta in un paio
di decenni, ad una lista unica chiamata Omid, o “Speranza”. Quest’ultima ha presentato una formazione di 30 candidati a Teheran capeggiati da Mohammad Reza Aref, ex candidato alle presidenziali del 2013.
Stando ai primi dati ufficiali, Aref è il primo tra gli eletti nella capitale, con oltre 587.000 preferenze su 1.3 milioni, seguito da altri cinque esponenti di spicco della Omid. E tra la ridda di dati iniziali, uno spicca fra tutti: l’affermazione personale di Akbar Hashemi Rafsanjani nella corsa per l’Assemblea degli Esperti, dove è giunto primo nella circoscrizione di Teheran, seguito da Rohani. I due hanno avuto così la meglio sull’Ayatollah Mesbah Yazdi, capofila del clero oltranzista e sconfitto eccellente.
Nato 82 anni fa, nei corridori del potere dal lontano 3 Febbraio 1979, quando l’Ayatollah Khomeini lo volle accanto a sé nella prima conferenza stampa in seguito al lungo esilio, Rafsanjani è il grande timoniere della politica iraniana. Sopravvissuto a numerosi contraccolpi, come la dura sconfitta al ballottaggio contro Mahmoud Ahmadinejad alle presidenziali del 2005 e l’esclusione dal pulpito delle Preghiere del Venerdì in seguito al suo tacito sostegno per l’Onda verde nel 2009, l’affermazione di Rafsanjani, primo nella corsa per l’Asla più elevata. Presidente del Parlamento per tutti gli anni Ottanta, kingmaker nell’elevazione dell’Ayatollah Ali Khamenei a Guida Suprema nel 1989, capo del governo dal 1989-1997, Rafsanjani ambirà ora a diventare nuovamente presidente dell’Assemblea degli Esperti, carica che ha rivestito dal 2006 al 2010. Sin dalla cocente sconfitta contro Ahmadinejad, Rafsanjani si è speso per ridurre il divario con i riformisti legati a Mohammad Khatami, che lo avevano costretto a dimettersi dal Parlamento dopo essere giunto trentesimo nelle elezioni legislative del 2000. Rafsanjani riuscì, a differenza dei riformisti, a rimanere all’interno del regime durante le epurazioni dell’era Ahmadinejad, diventando progressivamente un misurato, ma mai timido difensore degli ideali innescati dalla primavera di Teheran dell’era Khatami. Nel 2013, Rafsanjani si recò, tra il tripudio della folla, a registrarsi per le presidenziali, ma ne fu escluso dal Consiglio dei Guardiani a causa dell’avanzata età. Poche settimane fa, quando il Consiglio escluse dalla competizione per l’Assemblea il popolare Hassan Khomeini, fu Rafsanjani a scagliarsi contro «coloro i quali non hanno alcun diritto» di effettuare tali decisioni.
Lo sforzo continuo a sostegno del nuovo corso di Rohani, suo “delfino” per buona parte dei decenni precedenti, soprattutto in politica estera e sul nucleare, i suoi accorati appelli per una stampa meno ristretta e per una maggiore libertà di espressione ne hanno fatto la figura di riferimento delle classi medio-alte urbane, che vedono in lui un riparo dagli eccessi dei conservatori isolazionisti e dai riformisti più radicali e il miglior ingrediente per un assestamento del regime islamico verso le proprie aspirazioni: la distensione con l’Occidente, un’economia aperta al settore privato, e l’allentamento dello zelo islamico nella sfera pubblica. Su queste sfide, tuttora non del tutto vinte, si baserà l’operato dei moderati che si apprestano a fare il proprio rientro nel Parlamento di Teheran. E un più ampio sostegno parlamentare è destinato a rafforzare il peso di Rohani. Per il presidente iraniano, «le elezioni hanno dato al governo iraniano più credibilità e più potere». A riferirlo è l’agenzia di stampa “Irna”. A Teheran si festeggia. A farlo sono soprattutto i gio
vani. Il loro voto è stato un investimento sul futuro.
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