Uno degli argomenti usati dal fronte degli oppositori alla riforma costituzionale è la “lunghezza” del nuovo Articolo 70 della Carta, che avrà 439 parole contro le 9 della formulazione attualmente vigente. Un allungamento oggettivo, che però ha una motivazione altrettanto oggettiva.
L’Articolo 70 della Costituzione entrata in vigore nel 1948 disciplina il famigerato bicameralismo paritario. La Costituzione attuale recita dunque: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Sono 9 parole appunto, da “La” fino a “Camere”. Dietro tanta brevità e semplicità, però, si cela il problema dei problemi: la duplicazione del lavoro e delle funzioni di Camera e Senato, l’assenza di tempi certi per l’approvazione delle leggi e la famigerata navetta parlamentare (quello che noi definiamo il “ping pong”). Un articolo breve che determina incertezza e lungaggini, insomma.
Per “differenziare” il bicameralismo e attribuire a Camera e Senato funzioni diverse, c’era inevitabilmente necessità di più parole. Bisogna specificare in quali ambiti il Senato conserverà pienamente la funzione legislativa e in quali essa spetterà alla sola Camera. Bisogna disciplinare la tempistica con cui il Senato potrà proporre modifiche alle leggi della Camera, le attività conoscitive e le osservazioni che il Senato potrà predisporre per la Camera, le modalità attraverso cui la Camera terrà conto o no delle modifiche proposte dal Senato. Con il Sì al referendum, si sceglie dunque di passare da 9 a 439 parole, ovvero di semplificare e di rendere più efficiente il funzionamento dell’attività del Parlamento italiano.
Pensate ad un’azienda e immaginate se l’organizzazione interna fosse disciplinata così: “Tutti fanno tutto”. Basterebbero 3 parole, ma quali sarebbero le conseguenze? Una disciplina puntuale dei compiti e delle responsabilità di ognuno richiede qualche parola in più, ma è la garanzia di una maggiore chiarezza e funzionalità. Oppure immaginiamo un automobilista che chiede un’indicazione stradale dal centro di Milano per arrivare a Bologna, si potrebbe rispondere: “Imbocca l’A1 ed esci a Bologna”. In tutto 7 parole, ma è un’indicazione chiara quella che stiamo dando? Per spiegare come arrivare all’autostrada dal centro della città e poi da lì fino a Bologna, occorre qualche dettaglio in più. Altro esempio, familiare a tutti, lo troviamo in cucina: avete mai provato a seguire una ricetta che abbia poche parole? Come: “butta la pasta”, “fai il sugo”… Non sempre la brevità è sinonimo di semplicità. Infatti, il nuovo articolo 70 ha molte più parole e proprio per questo è più semplice. Più la spiegazione è dettagliata ed esaustiva, meno spazio viene lasciato a interpretazioni divergenti; in poche parole: meno conflitti.
D’altro canto, non ha senso alcuno giudicare gli articoli dal numero di parole. Se così fosse, cosa dovremmo pensare del primo articolo della Costituzione degli Stati Uniti con le sue 2246 parole?
Un’altra obiezione dei sostenitori del No al referendum costituzionale riguarda l’utilizzo, nel nuovo Articolo 70, di rimandi espliciti ad altre disposizioni della Costituzione (le famose formule “di cui al comma” o “di cui all’articolo”). Tali rimandi sarebbero ineleganti in un testo costituzionale. Si può concordare, oppure si può considerare che essi sono inevitabili, nella misura in cui lo scopo della disciplina dettagliata del nuovo bicameralismo è proprio quello di eliminare incertezze e conflitti di attribuzione sulla funzione legislativa. Si può ritenere che anche la riforma oggetto di referendum meritasse una “revisione” linguistica da parte di qualche esperto letterato. Anche a costo di qualche sacrificio di leggibilità, però, il merito del nuovo Articolo 70 è innegabile: anzi, la nostra sensazione è che esso renderà non solo più semplice l’iter di approvazione delle leggi, ma la qualità stessa della normativa. La riforma val bene un rimando.
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