martedì 17 gennaio 2017

Bersani: su fisco e welfare bisogna svoltare a sinistra

Intervista a Pier Luigi Bersani di Stefano Cappellini (La Repubblica, 16 gennaio 2017)

Pier Luigi Bersani, ha letto Renzi su “Repubblica”? Rifare il Pd con più cuore, valori e ideali.
«Ho letto, ma se il punto di partenza della sua analisi è che il referendum è stato perso a destra “perché tanto i compagni ci sono”, cominciamo male. 11 renzismo non ha capito la lezione, si rischia di tornare a sbattere».

E dove è stato perso?
«Nell’idea schematica e datata che per la vittoria dei Sì bisognasse fare affidamento su una fantomatica maggioranza silenziosa. Si insiste a voler inseguire un centro che non esiste più, perché il ceto medio è oggi tutto dentro la crisi. Sta cambiando la geografia dell’esclusione. Polemizzo con un’idea di sinistra che si aggrappa ancora alle gloriose parole d’ordine della fase d’avvio della globalizzazione: flessibilità, merito, eccellenze. Basta».

Renzi cita il leader dei laburisti inglesi, Corbyn, per spiegare che con la sinistra-sinistra non si vincono le elezioni.
«E io invece penso che Bernie Sanders avrebbe fatto meglio di Hillary Clinton negli Stati operai decisivi per eleggere Trump. La fase è cambiata, il ripiegamento della globalizzazione, che ha portato grandi conquiste, ha lasciato scorie velenose. Primo, le democrazie nazionali non padroneggiano più la finanza, l’immigrazione, la guerra e presto a queste voci bisognerà aggiungere farmaci e brevetti. Secondo, le disuguaglianze si sono fatte galoppanti non tra Paesi, ma all’interno dei Paesi. Terzo, il ciclo tecnologico ha esaurito la fase rivoluzionaria e oggi toglie lavoro. La parola d’ordine è protezione. Serve una sinistra protettiva sui suoi valori».

Lei accusa Renzi di “blairismo rimasticato” ma a masticarlo è stata la sua generazione di leader della sinistra.

«Errori ne sono stati fatti. Abbiamo lasciato correre l’idea che lo Stato fosse sempre sostituibile o surrogabile dal mercato. Se ora non si cambia strada, si lascerà una occasione eccezionale a una nuova destra in formazione che non è un partito, bensì un campo di idee fondato su protezionismo, sovranismo e identitarismo».

Questa destra in Italia è il M5S?
«I 5stelle, pur con i loro limiti, tengono in un confuso standby qualcosa che potrebbe essere peggiore. Non capisco chi esulta per il rifiuto dei liberali europei di accoglierli. Sarebbe stato un passo avanti. Attenzione a come ci si rapporta al M5S perché a bastonare il cane tutti giorni, in tanti poi prendono le parti del cane».

Il populismo dei 5 stelle è spesso vicino a quello alla Trump o alla Le Peri.
«Non parliamo di populismo quando sarebbe più giusto parlare di demagogia, male da cui non siamo immuni nemmeno noi. Ricorda lo slogan referendario “meno politici”? Il nostro approccio dovrebbe essere alternativo alla destra e sfidante verso i 5 stelle. 11 malcontento a volte si esprime in formazioni che non sono classicamente di destra, anche se in comune hanno il messaggio anti-establishment».

Il problema è che una parte di opinione pubblica considera la sinistra parte dell’establishment.
«Non sono insensibile a questa osservazione. La sinistra deve parlare con l’establishment, ma con una sua visione autonoma, altrimenti si perde il confine».

Confine perso anche nel rapporto con le banche?
«Quando da ministro varai la portabilità dei mutui avevo fuori dalla porta le banche che urlavano. Il problema del governo uscente è che sul tema non è stato percepito lineare. Si è avuto paura di annunciare in campagna elettorale un intervento pubblico di salvataggio che sarebbe stato tutt’altro che impopolare».

Avrebbe votato sì al referendum Cgil sull’articolo 18?
«Guardo avanti e dico: vediamo se c’è modo di fare un articolo 17 e mezzo. Servivano correzioni al vecchio articolo? Bene, però il lavoratore non va lasciato completamente in balia del mercato».

Le posizioni sul lavoro nel Pd sembrano inconciliabili.
«Divergenze ci sono sempre state, il fatto è che non se ne discute, come sul risultato delle amministrative. Vogliamo fare una cosa di buon senso sui voucher? Non cancelliamoli, ridimensioniamoli. Ammettiamolo: ci sono scappati di mano e sono esterrefatto che ministero del Lavoro, Inps e Istat lo neghino».

Lei non vuole dare scadenze al governo Gentiloni ma ha spiegato che la sinistra dem valuterà “misura per misura”. Non è una contraddizione?
«Immigrazione, jobs act, riforma della scuola, banche. Cose da fare ce ne sono. Che ragione c’è di fermare il governo? A 40 milioni di elettori cosa raccontiamo, che facciamo cascare a freddo un nostro governo?».

E la legge elettorale?
«Non capisco la passione di Renzi per il ballottaggio. Ragioniamo su un sistema elettorale con due pilastri: un incentivo ragionevole alla governabilità e la possibilità del cittadino di scegliere e i parlamentari. E non sottovalutiamo le virtù del Mattarellum nel compattare i soggetti politici».

Questione alleanze. Renzi Mancia la “vocazione maggioritaria” del Pd di Veltroni
«Sul piano politico dobbiamo fare inversione a U sull’idea che il centrosinistra si riassume nel Pd e il Pd si riassume nel capo. Costruiamo un campo di idee e un fronte largo e plurale, anche slabbrato ai margini, come fanno a destra. E mettiamoci idee buone: il ritorno ai diritti del lavoro troppo umiliato, raro e precario, il ruolo dello Stato negli investimenti, la lotta alle disuguaglianze con il rilancio del welfare e la fine dei bo nus. Prenda il fisco. Si dice: meno tasse. Ma’ a chi? Per fare cosa?».

Con quali iscritti il Pd andrà a congresso? I dati sul tesseramento 2016 sono brutti.
«C’è una emorragia. Tanti compagni si sono disamorati, ma si vuol continuare a negare l’evidenza».

Non è anche un demerito della minoranza?
«Ribaltiamo la domanda: quanta gente ci sarebbe oggi nel Pd se non insistessimo a dire “dentro, dentro” mentre ci si grida “fuori, fuori”?».

L’Unità rischia di chiudere ancora.
«Occorre metterci mano con tutto l’impegno. Ma se all’albero togli le radici, non può dare foglie nuove. Vale anche per i giornali».

Il leader anti-Renzi è Speranza?«Lo stimo, non è un segreto, è raro trovare giovani con la sua passione. Ma al di là dei nomi serve un segretario che si occupi del partito, sdoppiandolo dalla figura del premier. E non escludiamo a priori di pescare da campi che non sono del tutto sovrapponibili alla politica. Qualcuno può escludere che in giro ci sia un giovane Prodi?».

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