sabato 25 febbraio 2017

Biennio 2015-16. Con il Jobs act 968mila rapporti di lavoro in più

“Con i dati di dicembre diffusi da INPS possiamo fare un primo bilancio sulla persistenza del miglioramento delle dinamiche in essere sul mercato del lavoro italiano. Perché il miglioramento era avvenuto, mentre era messa in dubbio la persistenza di quel miglioramento. Oggi l’osservatorio sul precariato di INPS evidenzia tre aspetti del mercato del lavoro italiano sotto il Jobs act che confermano la solidità di quel miglioramento.
Innanzi tutto, come sapevamo già dai dati ISTAT, nel 2016 è continuata la crescita della occupazione. I dati INPS riguardano i flussi di contratti di lavoro in più e non il loro livello acquisito e confermano un 2016 in cui l’occupazione è cresciuta con 340mila rapporti di lavoro dipendente in più, al netto delle cessazioni.
In secondo luogo, è continuato l’aumento della qualità del lavoro anche nel 2016 (tab. 3). Per quanto crescano, come era lecito aspettarsi, anche le posizioni a termine in numero assoluto, continua anche nel 2016 la crescita dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Il saldo positivo di dicembre (+16mila rapporti a tempo indeterminato in più) si aggiunge agli altri mesi per un totale di 82mila rapporti stabili in più rispetto al boom del 2015. Sono contratti aggiuntivi rispetto al 2015 che confermano la crescita del lavoro stabile già documentata nei dati ISTAT.
Questi numeri sono particolarmente importanti se li confrontiamo al 2014 prima del Jobs act: mentre nel 2014 i rapporti a tempo indeterminato calavano, nel 2016 invece crescono, per giunta dopo il boom 2015 e di fronte ad una decontribuzione che si è notevolmente ridotta. Questo aumento risulta particolarmente interessante se si considera, come attesta la rilevazione delle forze lavoro ISTAT, che l’economia italiana ha quasi raggiunto il suo massimo storico di persone assunte a tempo indeterminato (mancano poco più di 100mila persone rispetto al dato dell’agosto 2008)
In terzo luogo, il dato sui licenziamenti (tab. 6). Una delle critiche mosse al Jobs act consisteva nel rischio di esplosione dei licenziamenti. Come conferma la stessa INPS, la probabilità di licenziamento è calata. Il numero complessivo dei licenziamenti nel 2016 è di 24mila episodi in meno rispetto al 2014, anno in cui il Jobs act non era in vigore e quando, per giunta, il numero di occupati era inferiore. Mentre calano i licenziamenti economici, l’aumento dei licenziamenti disciplinari (+19mila) è più che compensato dal calo delle dimissioni (-20mila). Questo indica, con buona probabilità, che non solo il rischio licenziamenti collegato al Jobs act era stato enfatizzato in maniera erronea, ma anche che il contrasto delle odiose dimissioni in bianco stia continuando a pagare.
Infine, un breve cenno su quel che col Jobs act non ha molto a che fare: i buoni lavoro (voucher). In questo caso vediamo che la tracciabilità ne ha bloccato l’espansione. Questo non deve fermarci ma confortarci. Il PD intende proseguire il contrasto degli abusi collegati all’uso dei buoni lavoro con tutte le iniziative legislative necessarie, ma intende farlo con la consapevolezza di chi, per primo, ha cominciato a limitare i più odiosi di questi abusi.
E’ ovvio a tutti che rimane ancora molto da fare per sostenere il lavoro e superare i livelli pre-crisi. Disconoscendo i miglioramenti in essere dovuti al Jobs act e alle politiche del governo non aiutiamo certo questo processo”.

Così Filippo Taddei,  del Partito Democratico.

“I dati dell’Inps evidenziano oggi come nel biennio 2015-2016 si siano registrati quasi un milione di posti di lavoro in più. Il saldo dei rapporti di lavoro attivi nel 2016 ha infatti registrato 340 mila unità in più, che si aggiungono all’aumento ancora più consistente osservato nel 2015, pari a 628 mila unità in più. E si tratta in gran parte di lavoro stabile, di contratti a tempo indeterminato. Sono risultati eccezionali dovuti alle riforme messe in campo dal governo Renzi, specie se si considera che nel biennio precedente i dati sull’occupazione erano stati sempre negativi”. Lo dice la senatrice del PD Maria Spilabotte, vicepresidente della Commissione Lavoro.

“L’Inps ha certificato che nel biennio 2015-2016, grazie alle riforme e agli incentivi per le assunzioni, si sono registrati 968 mila posti di lavoro in più, gran parte dei quali a tempo indeterminato. E’ un ottimo risultato che solo 2 anni fa sembrava insperato visti i dati sull’occupazione e che sicuramente ha cambiato la vita di queste persone. Il Jobs Act è la riforma di cui il mondo del lavoro aveva bisogno e che, con l’attuazione delle politiche attive, è destinata a dare ulteriori risultati positivi”. Lo dice la senatrice Annamaria Parente, capogruppo del PD nella Commissione Lavoro.

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Il comunicato INPS
Alla fine del 2016, nel settore privato, i rapporti di lavoro attivi risultano aumentati di 340.000 unità rispetto alla fine del 2015, come saldo tra le assunzioni e le cessazioni intervenute nel periodo.
L’incremento dei rapporti di lavoro nel 2016 si aggiunge a quello, ancora più consistente, osservato nel 2015. Il risultato complessivo del biennio 2015-2016 è pari a +968.000, diversamente dal biennio precedente 2013-2014 quando si erano registrati sempre saldi negativi.
Il risultato del 2016 è imputabile prevalentemente al trend di crescita netta registrato dai contratti a tempo determinato, il cui saldo annualizzato ha significativamente recuperato la contrazione registrata nel 2015, indotta dall’elevato numero di trasformazioni in contratti a tempo indeterminato.
Il saldo dei contratti a tempo indeterminato risulta comunque positivo. Al risultato di fine anno ha concorso significativamente l’elevato livello di trasformazioni di rapporti a termine indotto, a dicembre dalla fine dell’esonero contributivo biennale e delle incentivazioni per i lavoratori in lista di mobilità.
Anche i rapporti di lavoro di apprendistato nel 2016 hanno conosciuto un incremento.

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Che cosa ci dicono davvero i dati Inps? Tre cose. Semplici e chiare

Come da tradizione, la pubblicazione dei dati Inps sull’occupazione è un’occasione imperdibile per i professionisti delle strumentalizzazioni – è il caso oggi del blog di Beppe Grillo – sempre pronti a piegare i numeri alle proprie esigenze di parte. Per leggere in quei numeri, come molti stanno facendo in queste ore, un fallimento delle politiche occupazionali degli ultimi anni ci vuole una buona dose di fantasia o di malafede.

Che cosa ci dicono, invece, davvero, i dati Inps? Tre cose. Semplici e chiare.

Prima. La variazione netta sul totale dei rapporti di lavoro subordinato dall’introduzione del Jobs Act in poi è positiva per oltre 967 unità (+627 mila nel 2015, +340 mila nell’anno successivo). Considerando i soli contratti a tempo indeterminato, il saldo dei due anni, grazie alla trasformazione di contratti a termine o di apprendistato, supera il milione. Se qualcuno due anni fa avesse promesso la creazione di un milione di nuovi contratti permanenti (al netto di dimissioni e licenziamenti) sarebbe stato preso per un venditore di fumo. Appare quantomeno difficile scorgere in questi numeri un “crollo dei contratti stabili”. E i dati del 2015 e del 2016 vanno letti insieme perché il 2015 è stato l’anno degli sgravi contributivi totali, che hanno creato una decisa inversione di tendenza nelle assunzioni, spingendo anche molte imprese ad anticipare le proprie decisioni di stabilizzazione.

Seconda. Anche se curiosamente pochi lo sottolineano, il tasso dei licenziamenti è in continua diminuzione dopo il Jobs Act: dal 6,5% del 2014 si è scesi al 6,1% del 2015 per arrivare al 5,9% dell’ultimo anno. Numeri che mal si sposano con la bufala che i licenziamenti sono aumentati per colpa del Jobs Act, bufala sulla quale qualcuno è già in campagna elettorale.

Terza. Sul capitolo voucher, infine, si può notare come la netta flessione nella crescita dei buoni lavoro (cresciuti nel gennaio 2017 di un modesto 3,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) rifletta gli effetti dell’obbligo di comunicazione preventiva, operativa dalla seconda metà di ottobre. Per carità, su questo fronte, rimane l’esigenza di correttivi che limitano gli eccessi di utilizzo da parte delle imprese e di altri grandi utilizzatori, limitando i voucher ai soli lavori meramente occasionali. Ma i dati ci dicono che la maggiore tracciabilità produce effetti.

Tutto bene, quindi? Viviamo già nel migliore dei mercati del lavoro possibili? Naturalmente no. Resta molto da fare, dal rafforzamento delle politiche attive al taglio del cuneo contributivo sul lavoro stabile. Perdere tempo, però, caro Beppe, in polemiche ideologiche e strumentali non ci aiuterà a fare passi in avanti.

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