Gianni Pittella - intervista di Paolo Mainiero (“Il Mattino”, 24 febbraio 2016)
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Gianni Pittella, presidente del gruppo Socialisti & Democratici al Parlamento europeo: dopo Renzi ed Emiliano ecco il terzo candidato, Andrea Orlando. La partita si fa interessante…
«È la smentita plateale a chi sostiene che il PD è il partito personale di Renzi. Il fatto che ci siano già quattro candidati è il segno di un partito vivo. Il congresso sarà l’occasione di crescita e rafforzamento».
Gli scissionisti la pensano diversamente…
«A chi è uscito sbattendo la porta dico con orgoglio che il PD è l’unico partito che fa congressi veri e seri. Pur con tutti i limiti che possono esserci, il PD privilegia la democrazia interna ed è un partito contendibile».
Lo strappo è davvero insanabile?
«Sono molto addolorato. Vanno via persone con le quali è stato fatto un lungo tratto di strada insieme. Non comprendo le ragioni della scissione, non mi pare che vi siano visioni politiche alternative tali da renderla inevitabile. Se non sei d’accordo sul jobs act o sulle trivelle non fai una scissione, ne discuti nelle sedi di partito».
Gli scissionisti contestano che il PD non sia un partito di sinistra.
«Chi va via non si porta dietro la sinistra. La sinistra resta uno dei pilastri su cui il PD è nato per sviluppare la propria azione. Il PD è un partito di centrosinistra e Renzi esprime questa peculiarità».
Renzi è il favorito?
«Renzi rimane l’unico leader in circolazione in Italia, con grande stima e rispetto in Europa. Lo sosterrò e con Maurizio Martina e Piero Fassino vogliamo dare visibilità a un’area politica all’interno del PD che si richiami esplicitamente alla famiglia socialista europea e alla cultura riformista italiana».
Nasce una nuova corrente?
«Non è una corrente, è un contributo che vogliamo portare alla piattaforma politica del PD. Difesa dei ceti deboli, lotta alle diseguaglianze, attenzione al Mediterraneo e al Sud devono essere temi centrali della proposta politica di Renzi. Così come chiediamo una operazione di bonifica del partito, che non è immune da problemi e da episodi disdicevoli, soprattutto nei territori».
Il fatto che tre ex Ds sostengano Renzi e non Orlando spiega che la fusione è riuscita?
«Le vecchie appartenenze non contano più. Il PD non è una comproprietà ex Ds ed ex Margherita e Renzi interpreta bene il superamento degli antichi schemi. Semmai, il tema non è perché io, Martina e Fassino sosteniamo Renzi ma perché non lo fa Orlando. Per far vivere l’esperienza riformista e socialista nel PD non c’è bisogno di aprire una ferita nell’area renziana».
Emiliano alla fine è rimasto e si è candidato.
«Michele è simpatico, è un ottimo governatore, ma se dovessi affidargli le chiavi del mio partito non lo farei».
Però è l’unico candidato meridionale…
«Il problema non è la provenienza geografica ma cosa proponi, cosa fai. Il tema del Sud deve essere centrale nell’agenda di Renzi perché senza il Mezzogiorno non cresce il Paese. Questo concetto deve essere ben chiaro».
Gli scissionisti sostengono che un domani ci potrebbe essere una collaborazione tra il loro nuovo soggetto politico e il PD. È possibile?
«Mi sembra un’affermazione piuttosto superficiale. Non possono pensare di dire: “siamo andati a fare una passeggiata ma più tardi torniamo a casa”».
La rottura è definitiva?
«La scissione è scissione».
Ma il PD potrebbe aver bisogno di allargare la coalizione per poter governare.
«Intanto, dipenderà dalla legge elettorale. E comunque sono convinto che gli scissionisti non avranno successo. Il PD avrà un grande risultato, come successe alle Europee quando tra Renzi e Grillo gli italiani scelsero Renzi. Sarà così anche alle prossime elezioni. Tra la proposta distruttiva del M5s e quella sovranista di Salvini e della destra e la proposta riformista interpretata da Renzi ci sarà poco spazio per le piccole formazioni».
A maggio si terranno le presidenziali in Francia. Renzi è stato criticato per il sostegno a Macron, che non è il candidato socialista.
«Io sostegno Hamon, che esprime molto bene l’area progressista. Vede? Questa è la prova che si può stare con Renzi pur senza convergere su tutto».
Ieri ha incontrato a Londra il leader laburista Jeremy Corbyn. Come stanno i socialisti in Europa?
«A Corbyn ho voluto offrire un messaggio chiaro: a prescindere dalla Brexit i laburisti restano un nucleo fondamentale della famiglia socialista europea. Nei giorni scorsi sono stato in Portogallo e in Spagna, nelle prossime settimane sarò in Ungheria e Grecia: l’obiettivo è cucire una nuova agenda progressista, lontana dal populismo di Le Pen e Salvini e distante dai conservatori alla Merkel e Schäuble. Per riuscirci c’è bisogno di un Pd forte e di una leadership forte come quella di Renzi».
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