Pubblichiamo, punto per punto, il programma PD per il lavoro
Il lavoro è stato al centro dell’azione di governo nell’ultima legislatura. Avevamo obiettivi chiari: volevamo dare corpo a una nuova idea di lavoro, liberato dalla condizione di ostaggio delle ideologie. E per farlo, attraverso il Jobs act, abbiamo puntato su una forma più moderna di lavoro subordinato, combattendo il lavoro precario e privo di tutele.
Siamo orgogliosi dei risultati: un milione di occupati in più dal febbraio 2014 a oggi, di cui più della metà con contratti a tempo indeterminato, il crollo delle false collaborazioni autonome a partita Iva, lo smart work per liberare chi lavora dai vincoli del tempo e del luogo di lavoro, un sostegno al reddito per i disoccupati grazie alla Naspi (che non discrimina più in base all’età e ha raggiunto un livello di copertura tra i più generosi in Europa) e un sistema di misure nazionali di politiche attive del lavoro (che ha già consentito la creazione di quasi 200 mila nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato per i giovani e per i disoccupati del Sud).
Più occupazione, più stabilità, più tutele.
Rimangono tuttavia molti nodi irrisolti, che saranno il cuore della nostra azione di governo nei prossimi cinque anni. Tra i tanti, ce ne sono cinque che sono più problematici degli altri. Il primo: l’Italia è ancora quintultima in tutta l’Unione Europea per crescita delle retribuzioni. In Germania e Francia i salari crescono a un ritmo sette volte superiore. Si scrive salari che non salgono, ma si legge produttività che non cresce. Il secondo: il lavoro è ancora troppo costoso per le imprese, che devono sobbarcarsi l’onere di contributi che raggiungono il 33% della retribuzione, percentuale che disincentiva il datore di lavoro ad assumere a tempo indeterminato. Il terzo: l’occupazione femminile è bassa, spesso per assenze di tutele adeguate per il reinserimento, e in particolare per il reinserimento dopo la maternità. Tra gli uomini, la percentuale di chi viene pagato poco o male è pari al 22,9%, tra le donne sale al 61,5%. Il quarto: in Italia la transizione tra scuola e lavoro è troppo lunga, molto più di quanto lo sia nel resto dell’Europa: 14 mesi dal momento del diploma o della laurea al primo contratto. Il quinto: esiste un problema di competenze che non facilitano l’incontro tra domanda e offerta, più che in altri paesi.
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