sabato 8 novembre 2008

Dove ha vinto Obama, nel paese dove tutto è (ed era) possibile

di Massimo Barzaglia
 
Il primo Presidente nero degli Stati Uniti d’America. Così ci siamo svegliati all’indomani delle elezioni presidenziali più sentite della storia, perché in fondo in palio c’era molto di più di quello che si potesse immaginare. In un momento delicato come questo, sapere che al timone della più grande potenza economica mondiale ci potessimo ritrovare ancora qualche altro paladino delle cause perse, forse non era il massimo della vita. E forse non le era nemmeno per quella parte di Italia che sino a ieri considerava gli USA come un nemico da cui guardarsi le spalle e contro cui sceneggiare pietosi cortei, pur avendo qualche ragione di fondo. Il fatto più sorprendente al risveglio, almeno per me, non è stato ritrovarsi nella stanza del Potere un ragazzo di colore, bravo, giovane e preparato; ma un uomo che è stato votato per una visione di mondo democratica. Obama ha vinto, più che contro i pregiudizi, su una idea di politica fallimentare, fomentata e alimentata dai credo religiosi, dalle intolleranze, dalle eterne contraddizioni. Roba che in Italia conosciamo sin troppo bene. 

La vittoria del partito democratico è da ricercare nella capacità con cui ha saputo parlare dei problemi veri, quelli in cui tutti quotidianamente ci sbattono il naso, e non valori da salotto. Se da una parte c’è una visione di mondo democratica, dall’altra ve ne era una un po’ meno democratica, e non solo da ieri. Fino agli anni Settanta il peso della destra religiosa era relativo. Ma il Sessantotto, la contestazione alla guerra del Vietnam e il movimento per i diritti civili dei neri, provocarono una forte reazione conservatrice di quella parte dell’America che con attivisti radicali e i cittadini fino a quel momento considerati di serie B, aveva ben poco da spartire. Si creò, in poche parole, una base di scontento che doveva essere espressa in qualche modo. E quel modo, per molte persone, fu la riscoperta della fede cristiana, spesso in toni molto più fervidi e meno tolleranti. Una solida alleanza tra alcuni importanti uomini d’affari e politici ultraconservatori che, sfruttando i nuovi mezzi di comunicazione televisivi e predicatori che li riempivano, hanno dato soldi, idee e canali di comunicazione a questo movimento, che da allora non ha mai smesso di crescere. Oggi il giro d’affari dell’industria dei televangelisti è di 2,5 miliardi di dollari all’anno, le associazioni come Focus on the Family e la Christian Coalition – che promuovono valori tradizionali come la vita e la famiglia – contano qualche milione di iscritti, esistono decine di think tank che fanno attività di lobby sul Congresso e sanno come farsi ascoltare, perché sono mossi da un fervore superiore alla media. Quando Clinton propose di aprire l’esercito anche ai gay dichiarati, gli attivisti della destra cristiana inondarono i loro rappresentanti di lettere di protesta
Nel 2004, l’Ohio fu vinto proprio grazie alla grande mobilitazione dei religiosi: Rod Parsley, predicatore di destra che oggi sostiene McCain aveva proposto un referendum sull’aborto, garantendo così una grande affluenza alle urne dei value voters, gli elettori che votano in base ai valori morali. Poi si sa, quando i valori sono solo una bella confezione di una scatola vuota, con i soldi possono succedere davvero cose incredibili. E così la crisi, la guerra e la mancanza di successi in materia di pubblica morale, sono stati compensati dalla generosità con cui le casse federali hanno dato soldi alle congregazioni religiose. Di quei soldi hanno beneficiato solo i pastori e le loro organizzazioni. Ma la destra religiosa ha voluto imprimere il proprio peso elettorale anche nelle questioni di politica estera, interrompendo quel doveroso e naturale processo politico che dovrà trovare compimento (mi auspico), nella legittimazione dello stato di Palestina. Ci fu un ultimatum della destra ebraica a Bush “se farai pressioni su Israele non avrai il supporto della maggioranza del partito”.
Tutto questo negli USA era possibile, e forse lo sarebbe stato ancora.
Con l’attuale vittoria del partito democratico non solo abbiamo avuto la testimonianza che cambiare è possibile. C’è molto di più, io credo, di avere solo un giovane e bravo Presidente di colore. C’è il fatto di avere assistito alla vittoria della concezione democratica. E di questo bisogna esserne fieri. Massimo Barzaglia

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