Ieri è stato il sabato dei No-Tav in Valle e fuori Valle, a
Roma e a Milano, a Mantova, ad Imperia, a Pisa, ad Alessandria, a Pesaro, ad
Avellino e in molti altri luoghi urbani e universitari. Gli studenti sono
infatti molto impegnati e la Tav – cioè l´Alta Velocità – è diventata
l´obiettivo su cui puntare i fucili della polemica, la sfida alla politica e al
governo, alle banche e al capitale, all´Europa dei tecnocrati e ai “media”
servi dei padroni.Però i cortei di ieri erano colorati e anche festosi. Qua e
là qualche incidente e qualche occupazione stradale ma per fortuna nulla di
grave.
Resta pur sempre il problema di come sbloccare la situazione
nella Valle. L´idea d´una moratoria (Di Pietro) è bizzarra: i lavori sono in ritardo
di sei anni e tutte le indagini geologiche, economiche, ambientali,
impiantistiche che dovevano esser fatte sono state fatte; le modifiche al
tracciato per venire incontro ad alcune richieste dei sindaci e delle
popolazioni che rappresentano, sono state effettuate.
L´idea avanzata da Adriano Sofri d´una consultazione para-referendaria solleverebbe una quantità di questioni molto più spinose di quelle che in teoria dovrebbe risolvere. Anzitutto: chi dovrebbe votare in quella consultazione? I residenti nella Valle o anche le popolazioni servite dalla linea ferroviaria direttamente e indirettamente? E quali sono quelle popolazioni? Torino? Alessandria? Genova? Modena? Il Nordest?
O addirittura tutta l´Italia se si sta discutendo d´un
interesse generale che confligge con alcuni interessi particolari? Per questo
c´è un Parlamento e un governo. Il referendum non è previsto né prevedibile,
specie quando c´è di mezzo una direttiva europea ed un accordo internazionale
tra Italia e Francia.
Infine, una consultazione para-referendiaria creerebbe un
precedente che sarebbe certamente invocato per ogni opera pubblica. Capisco le
buone intenzioni di Sofri, ma in questo modo si sfascerebbe definitivamente
l´amministrazione di un Paese che è già molto sfasciata.
Mi stupisce in particolare la posizione degli studenti,
ostile all´Alta Velocità. I treni stanno accrescendo le loro “performance” in
tutto il mondo. Sono palesemente in gara con i trasporti aerei. Le linee
“dorsali” consentono la costruzione di nuove reti che sviluppino i trasporti
locali e “pendolari”. Cinquant´anni fa un meccanismo analogo e un´analoga rete
furono creati per i trasporti su gomma. Ricordo che la sinistra italiana pose
il problema dell´altissimo livello di inquinamento creato dal trasporto su gomma.
Il problema fu discusso fin dagli inizi degli anni Cinquanta dello scorso
secolo; lo sostenevano uomini come Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, La
Malfa, Natoli, ma furono sconfitti: l´alleanza tra l´Eni e la Fiat puntava sul
trasporto su gomma e fu quella la scelta. Ma oggi la tecnologia consente di
riproporre il treno e gli ecologisti dovrebbero essere in festa ai cortei
favorevoli all´Alta Velocità. E i giovani insieme a loro.
Perché sono contrari? Ho letto che tra i più contrari ci
sono gli studenti dell´Università della Calabria. Sono di origini calabresi e
conosco bene quei territori. Le amministrazioni locali non avevano mai
raggiunto un livello di degrado organizzativo e morale come adesso. I giovani
dell´Università della Calabria ne avrebbero di problemi da affrontare. Invece
si mobilitano contro l´Alta Velocità. Ma che senso ha? Lo “sfasciume pendulo”
calabrese segnalato da Giustino Fortunato 150 anni fa continua a far
precipitare le montagne fangose nei torrenti e nel mare sottostante. Cristo si
era fermato a Eboli, ma nel frattempo la ´Ndrangheta ha fatto man bassa su
tutti i territori di quelle zone.
Si teme che le organizzazioni mafiose si aggiudichino le
commesse per la costruzione delle reti Tav. Questo sì, è un problema assai
grave che va affrontato; non per impedire le opere ma per farle con tutti i
crismi di legalità. Se il movimento e i sindaci della Valle si mobilitassero
per garantire questi obiettivi; se gli studenti, i giovani, i lavoratori,
lottassero per consimili risultati in tutto il Paese: questa sì, sarebbe una
battaglia che potrebbe rappresentare un salto in avanti di tutta la società
italiana e l´inno per quei cortei è già bello e pronto: “When the Saints / go
marching in / I want to be in that number”. Coraggio, studenti del Duemila. I
vostri padri e i vostri nonni avrebbero voluto qualche cosa di simile, ma
rimasero a mezza strada e le loro speranze furono riassorbite dagli interessi
delle “lobby”. Oggi si può tentare una spallata a quegli interessi, ma bisogna
stare dalla parte giusta, non da quella sbagliata.
* * *
Le riflessioni fin qui fatte ci portano a riconsiderare
(l´ho già fatto più volte nelle scorse settimane) la politica di Monti e il
tema del “dopo Monti” che col passare dei mesi si pone con crescente attualità.
Il governo ha compiuto da poco i suoi cento giorni. Ha fatto
qualche errore di percorso (chi non ne fa?) sostanzialmente veniale. In qualche
punto ha dovuto tener conto della maggioranza che lo sostiene e degli interessi
che i vari partiti rappresentano. Ma nel complesso la sua azione si è svolta
nella giusta direzione e con la massima velocità.
I dati economici e finanziari parlano da soli e il loro
linguaggio è talmente univoco che non vale la pena di sottoporli di nuovo
all´attenzione dei lettori.
Nei prossimi giorni entrerà nel concreto la riforma del
mercato del lavoro. Ci sono ancora molti punti da decidere tra le parti, ma la
sensazione è che un accordo si stia profilando anche se la sua messa in opera
avverrà per fasi successive. La sostanza della riforma è che l´accordo copra
tutti i vari aspetti del sociale e proceda in modo bilanciato, senza
abbandonare vecchie tutele se non quando le nuove saranno pronte e le relative
coperture finanziarie disponibili.
Ci vorranno anni perché la riforma possa dirsi compiuta e i
suoi obiettivi raggiunti: l´eliminazione del precariato, la flessibilità in
entrata e in uscita, il mantenimento della giusta causa per tutti i lavoratori,
lo sfoltimento delle diverse tipologie contrattuali, le tutele estese a tutti
indipendentemente dal contratto e dalle dimensioni dell´azienda, i processi di
formazione.
Ma soprattutto ci vorrà la crescita del sistema e della sua
produttività che richiede interventi del governo e impegno degli imprenditori e
dei lavoratori. C´è un grosso equivoco ancora da chiarire su questo punto: la
responsabilità degli imprenditori per quanto riguarda la produttività è
nettamente superiore a quella dei lavoratori. Sarà molto opportuno che questo
elemento del problema sia sottolineato e rappresenti un impegno concreto delle
associazioni imprenditoriali.
A questo punto si pone la questione del “dopo Monti”. Il
presidente del Consiglio – al quale l´ironia non fa certo difetto – ha detto
qualche giorno fa che «se farà bene, alla scadenza della legislatura la sua
presenza non sarà più necessaria né richiesta; se farà male invece gli si
chiederà di restare». Ma c´è una terza ipotesi: che abbia fatto bene ma che il
lavoro sia ancora incompiuto. Questa è una parte del tema che chiamiamo “il
dopo Monti”. Ma c´è un´altra parte non meno importante (anzi di più): la
discontinuità che il governo Monti ha prodotto e non perché interamente
composto da tecnici ma per le modalità che hanno determinato la sua nascita.
Questo è il vero tema del “dopo Monti”.
* * *
Per colmare quella discontinuità occorre una riforma seria
dei partiti, del loro modo di funzionare e soprattutto del loro ruolo nella
società. Spetta agli interessati riformarsi anche se non è facile che il malato
sappia auto-curarsi. Questa comunque è la prova cui tutte le forze politiche,
nessuna esclusa, sono chiamate e che incrocia la riforma della legge elettorale
e le riforme istituzionali della “governance”.
Ci sono poi le operazioni di schieramento. Berlusconi ha
lanciato il “tutti per l´Italia” proponendo che sia Monti a guidare una
coalizione basata su due pilastri: i moderati da un lato (con Casini e Fini
sottobraccio a lui medesimo) e il Pd dall´altro.
Quest´operazione (l´ha scritto Massimo Giannini ed è
l´esatta verità) è disperata: è il solo modo che resta a Berlusconi di
garantire l´esistenza del suo partito e la propria. Ma proprio per questo, né
Casini né Fini e tantomeno Bersani accetteranno quest´ipotesi. Anzi l´hanno già
proclamato e quindi l´ipotesi è inesistente.
L´altra possibilità è un´alleanza (elettorale o
post-elettorale) tra il Centro e la Sinistra riformista. Un Centro ovviamente
rinforzato dall´implosione del Pdl e una Sinistra riformista che recuperi
l´ampia fuga che l´ha assottigliata rispetto alle politiche del 2008.
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