domenica 4 marzo 2012

Una strana gioventù che odia la velocità


di Eugenio Scalfari (La Repubblica, 4 marzo 2012)

Ieri è stato il sabato dei No-Tav in Valle e fuori Valle, a Roma e a Milano, a Mantova, ad Imperia, a Pisa, ad Alessandria, a Pesaro, ad Avellino e in molti altri luoghi urbani e universitari. Gli studenti sono infatti molto impegnati e la Tav – cioè l´Alta Velocità – è diventata l´obiettivo su cui puntare i fucili della polemica, la sfida alla politica e al governo, alle banche e al capitale, all´Europa dei tecnocrati e ai “media” servi dei padroni.Però i cortei di ieri erano colorati e anche festosi. Qua e là qualche incidente e qualche occupazione stradale ma per fortuna nulla di grave.
Resta pur sempre il problema di come sbloccare la situazione nella Valle. L´idea d´una moratoria (Di Pietro) è bizzarra: i lavori sono in ritardo di sei anni e tutte le indagini geologiche, economiche, ambientali, impiantistiche che dovevano esser fatte sono state fatte; le modifiche al tracciato per venire incontro ad alcune richieste dei sindaci e delle popolazioni che rappresentano, sono state effettuate.

L´idea avanzata da Adriano Sofri d´una consultazione para-referendaria solleverebbe una quantità di questioni molto più spinose di quelle che in teoria dovrebbe risolvere. Anzitutto: chi dovrebbe votare in quella consultazione? I residenti nella Valle o anche le popolazioni servite dalla linea ferroviaria direttamente e indirettamente? E quali sono quelle popolazioni? Torino? Alessandria? Genova? Modena? Il Nordest?
O addirittura tutta l´Italia se si sta discutendo d´un interesse generale che confligge con alcuni interessi particolari? Per questo c´è un Parlamento e un governo. Il referendum non è previsto né prevedibile, specie quando c´è di mezzo una direttiva europea ed un accordo internazionale tra Italia e Francia.
Infine, una consultazione para-referendiaria creerebbe un precedente che sarebbe certamente invocato per ogni opera pubblica. Capisco le buone intenzioni di Sofri, ma in questo modo si sfascerebbe definitivamente l´amministrazione di un Paese che è già molto sfasciata.
Mi stupisce in particolare la posizione degli studenti, ostile all´Alta Velocità. I treni stanno accrescendo le loro “performance” in tutto il mondo. Sono palesemente in gara con i trasporti aerei. Le linee “dorsali” consentono la costruzione di nuove reti che sviluppino i trasporti locali e “pendolari”. Cinquant´anni fa un meccanismo analogo e un´analoga rete furono creati per i trasporti su gomma. Ricordo che la sinistra italiana pose il problema dell´altissimo livello di inquinamento creato dal trasporto su gomma. Il problema fu discusso fin dagli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo; lo sostenevano uomini come Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, La Malfa, Natoli, ma furono sconfitti: l´alleanza tra l´Eni e la Fiat puntava sul trasporto su gomma e fu quella la scelta. Ma oggi la tecnologia consente di riproporre il treno e gli ecologisti dovrebbero essere in festa ai cortei favorevoli all´Alta Velocità. E i giovani insieme a loro.
Perché sono contrari? Ho letto che tra i più contrari ci sono gli studenti dell´Università della Calabria. Sono di origini calabresi e conosco bene quei territori. Le amministrazioni locali non avevano mai raggiunto un livello di degrado organizzativo e morale come adesso. I giovani dell´Università della Calabria ne avrebbero di problemi da affrontare. Invece si mobilitano contro l´Alta Velocità. Ma che senso ha? Lo “sfasciume pendulo” calabrese segnalato da Giustino Fortunato 150 anni fa continua a far precipitare le montagne fangose nei torrenti e nel mare sottostante. Cristo si era fermato a Eboli, ma nel frattempo la ´Ndrangheta ha fatto man bassa su tutti i territori di quelle zone.
Si teme che le organizzazioni mafiose si aggiudichino le commesse per la costruzione delle reti Tav. Questo sì, è un problema assai grave che va affrontato; non per impedire le opere ma per farle con tutti i crismi di legalità. Se il movimento e i sindaci della Valle si mobilitassero per garantire questi obiettivi; se gli studenti, i giovani, i lavoratori, lottassero per consimili risultati in tutto il Paese: questa sì, sarebbe una battaglia che potrebbe rappresentare un salto in avanti di tutta la società italiana e l´inno per quei cortei è già bello e pronto: “When the Saints / go marching in / I want to be in that number”. Coraggio, studenti del Duemila. I vostri padri e i vostri nonni avrebbero voluto qualche cosa di simile, ma rimasero a mezza strada e le loro speranze furono riassorbite dagli interessi delle “lobby”. Oggi si può tentare una spallata a quegli interessi, ma bisogna stare dalla parte giusta, non da quella sbagliata.

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Le riflessioni fin qui fatte ci portano a riconsiderare (l´ho già fatto più volte nelle scorse settimane) la politica di Monti e il tema del “dopo Monti” che col passare dei mesi si pone con crescente attualità.
Il governo ha compiuto da poco i suoi cento giorni. Ha fatto qualche errore di percorso (chi non ne fa?) sostanzialmente veniale. In qualche punto ha dovuto tener conto della maggioranza che lo sostiene e degli interessi che i vari partiti rappresentano. Ma nel complesso la sua azione si è svolta nella giusta direzione e con la massima velocità.
I dati economici e finanziari parlano da soli e il loro linguaggio è talmente univoco che non vale la pena di sottoporli di nuovo all´attenzione dei lettori.
Nei prossimi giorni entrerà nel concreto la riforma del mercato del lavoro. Ci sono ancora molti punti da decidere tra le parti, ma la sensazione è che un accordo si stia profilando anche se la sua messa in opera avverrà per fasi successive. La sostanza della riforma è che l´accordo copra tutti i vari aspetti del sociale e proceda in modo bilanciato, senza abbandonare vecchie tutele se non quando le nuove saranno pronte e le relative coperture finanziarie disponibili.
Ci vorranno anni perché la riforma possa dirsi compiuta e i suoi obiettivi raggiunti: l´eliminazione del precariato, la flessibilità in entrata e in uscita, il mantenimento della giusta causa per tutti i lavoratori, lo sfoltimento delle diverse tipologie contrattuali, le tutele estese a tutti indipendentemente dal contratto e dalle dimensioni dell´azienda, i processi di formazione.
Ma soprattutto ci vorrà la crescita del sistema e della sua produttività che richiede interventi del governo e impegno degli imprenditori e dei lavoratori. C´è un grosso equivoco ancora da chiarire su questo punto: la responsabilità degli imprenditori per quanto riguarda la produttività è nettamente superiore a quella dei lavoratori. Sarà molto opportuno che questo elemento del problema sia sottolineato e rappresenti un impegno concreto delle associazioni imprenditoriali.
A questo punto si pone la questione del “dopo Monti”. Il presidente del Consiglio – al quale l´ironia non fa certo difetto – ha detto qualche giorno fa che «se farà bene, alla scadenza della legislatura la sua presenza non sarà più necessaria né richiesta; se farà male invece gli si chiederà di restare». Ma c´è una terza ipotesi: che abbia fatto bene ma che il lavoro sia ancora incompiuto. Questa è una parte del tema che chiamiamo “il dopo Monti”. Ma c´è un´altra parte non meno importante (anzi di più): la discontinuità che il governo Monti ha prodotto e non perché interamente composto da tecnici ma per le modalità che hanno determinato la sua nascita. Questo è il vero tema del “dopo Monti”.

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Per colmare quella discontinuità occorre una riforma seria dei partiti, del loro modo di funzionare e soprattutto del loro ruolo nella società. Spetta agli interessati riformarsi anche se non è facile che il malato sappia auto-curarsi. Questa comunque è la prova cui tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sono chiamate e che incrocia la riforma della legge elettorale e le riforme istituzionali della “governance”.
Ci sono poi le operazioni di schieramento. Berlusconi ha lanciato il “tutti per l´Italia” proponendo che sia Monti a guidare una coalizione basata su due pilastri: i moderati da un lato (con Casini e Fini sottobraccio a lui medesimo) e il Pd dall´altro.
Quest´operazione (l´ha scritto Massimo Giannini ed è l´esatta verità) è disperata: è il solo modo che resta a Berlusconi di garantire l´esistenza del suo partito e la propria. Ma proprio per questo, né Casini né Fini e tantomeno Bersani accetteranno quest´ipotesi. Anzi l´hanno già proclamato e quindi l´ipotesi è inesistente.
L´altra possibilità è un´alleanza (elettorale o post-elettorale) tra il Centro e la Sinistra riformista. Un Centro ovviamente rinforzato dall´implosione del Pdl e una Sinistra riformista che recuperi l´ampia fuga che l´ha assottigliata rispetto alle politiche del 2008.

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