martedì 7 maggio 2013

"Era la sola risposta sensata alla crisi"

di Giuseppe Vacca

In base al risultato elettorale il governo Letta non era l’unico governo possibile, ma il posizionamento dei Cinque Stelle ne ha fatto l’unica risposta sensata alla crisi di governabilità scaturita dalle elezioni.
L’exploit dei Cinque Stelle segna dunque il punto di arrivo di tre faglie di crisi che hanno caratterizzato l’ultimo decennio: la depressione dell’economia, l’incongruenza della «costituzione materiale», l’assurdo delle leggi elettorali nel loro insieme. Con le elezioni quelle tendenze sono precipitate in una crisi di governabilità sul fondo della quale vi è l’esaurimento del bipolarismo su cui s’era assestato il sistema dei partiti. Questa premessa è indispensabile per valutare la formula di governo con cui si è apprestata una risposta e per fissare la bussola con cui mettere mano alle riforme delle istituzioni e delle leggi elettorali.

Il governo Letta è un governo di «grande coalizione» che tuttavia non comprende il terzo attore del sistema dei partiti che nelle nuove Camere si configura come un sistema tripolare. Ne consegue che le riforme istituzionali e delle leggi elettorali dovrebbero rispondere alla crisi della rappresentanza prima ancora che alla crisi della decisione, poiché nessuno potrà più ignorare che la seconda è originata dalla prima. Per questo penso che la Convenzione per le riforme costituzionali prospettata dal governo debba essere sganciata dalla decisione del Parlamento e sottoporre quelli che saranno i risultati dei suoi lavori a un referendum popolare deliberativo.
Altrimenti i lavori della Convenzione saranno troppo condizionati dalle vicende del governo e dalle tensioni che percorreranno la maggioranza di un governo di «grande coalizione» i cui partiti saranno permanentemente in campagna elettorale.
Ma non vorrei dare l’impressione di sminuire l’importanza del fatto che per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana si sia costituito un governo di «grande coalizione». I governi di grande coalizione sono una risorsa dei regimi democratici per affrontare situazioni di emergenza o di ingovernabilità, e finora l’Italia non ne aveva mai usufruito. Non direi che il governo Letta sia nato dalla maturazione del riconoscimento reciproco della legittimazione a governare, ma quanto meno la presuppone e perciò può aprire la strada a una percezione più appropriata del bipolarismo e dell’alternanza come strumenti ordinari, ma pur sempre mezzi e non fini, della vita democratica.
Vorrei fare, quindi, qualche considerazione sul PD. Gli assetti istituzionali e di governo attuali sono il frutto dei rapporti di forza scaturiti dalle elezioni e perciò andrebbe bandito dall’immaginario dei dirigenti e dei militanti di questo partito qualunque senso di sconfitta, a meno che non ci si debba sentire sconfitti ogni volta che gli elettori non abbiano corrisposto ai propri desiderata.
Inoltre, l’esperienza della «grande coalizione» può essere salutare per il PD sia perché sarà cogente nel misurarne le capacità di competere nella proposta politica, sia perché potrà fare di queste il tema essenziale del suo congresso. É l’occasione per mettere alla prova l’amalgama e le risorse innovative delle culture politiche che lo compongono, senza attardarsi in analisi retrospettive o in dispute anacronistiche sulle proporzioni delle rispettive radici. Non sono temi che riguardino il profilo ideologico o le forme organizzative del PD, ma il suo modo di atteggiarsi nei confronti del Paese in un passaggio cruciale della sua storia, nel quale ha sulle spalle, in condizioni eccezionali, la maggiore responsabilità di governo.

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