venerdì 29 novembre 2013

NOTE CASOLANE - A quarant’anni dall’uccisione di Adriano Salvini

La manifestazione antifascista di Faenza, dopo l'omicidio di Salvini
In occasione del convegno che si è svolto a Faenza, sabato 23 novembre - organizzato dall'ANPI, dalle Organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, e dal Comune di Faenza - per ricordare l'operaio agricolo - di origini palazzuolesi - Adriano Salvini, assassinato da un picchiatore fascista nella piazza delle Erbe, a Faenza, nel luglio 1973, ha portato la propria testimonianza di quegli anni e di quegli avvenimenti, Paolo Sangiorgi.
Paolo Sangiorgi nato e vissuto a Casola per tanti anni, dove sul finire degli anni '60 - dopo un'esperienza lavorativa in fabbrica a Faenza - inizia la sua intensa e appassionante esperienza di apprezzato dirigente sindacale della Federbraccianti CGIL, è stato in anni successivi Segretario comunale del PCI di Faenza e amministratore comunale a Casola Valsenio nella Giunta del Sindaco Gianpaolo Sbarzaglia.

Adriano lo conoscevo e oggi ricordo un amico; la mia testimonianza è incentrata su di lui, sulla vita di un lavoratore, di un comune bracciante, che trasferitosi a Faenza dai monti della Romagna/Toscana viene barbaramente ucciso in una delle sue Piazze.
Adriano Salvini era uno delle diverse migliaia di uomini, donne, giovani che nei primi anni ’70 aderivano ai sindacati confederali; lui, noi, eravamo della CGIL.
Per la funzione sindacale che ricoprivo, nell’ultimo anno della sua vita, per questioni legate al lavoro, lo incontrai parecchie volte e ho potuto appezzarne la pacatezza, la sincerità e l’onesta.
Un lavoratore di poche parole - ma presente nelle iniziative di lotta che le OO.SS. indicevano per migliorare e riformare il nostro Paese – e affinché il lavoro, le condizioni e i problemi dei lavoratori fossero portati al centro per lo sviluppo e per una società migliore, più giusta, equilibrata e più democratica.
Adriano – secondo di 5 fratelli: Lina la maggiore, Adriano, Attilio, Remo e Gino - nasce a Tirli, una piccola borgata del Comune di Firenzuola, il 19 Aprile 1931. Il padre Augusto, la mamma Agnese e i loro figlioli vivono un’esistenza particolarmente difficile; d’altra parte il poco e malpagato lavoro, la miseria, le privazioni, l’insufficienza alimentare, erano le condizioni degli operai generici e delle loro famiglie in quegli anni.
Adriano ha poco più di 11 anni quando nel 1942 (l’Italia è un Paese in guerra) la famiglia riesce a sfuggire dalle pesanti difficoltà, ottenendo una mezzadria in un fondo denominato “Scheda”, frazione di Lozzole in Comune di Palazzuolo.
Le condizioni finalmente migliorano. Allora voglio dire, che se un contratto di mezzadria – su un podere a Lozzole – appaga una famiglia di 7 unità, immaginiamo cosa e come può essere stata l’esistenza nella realtà precedente.
I fatti, gli avvenimenti bellici, la storia tragica di quegli anni - in Italia, in Europa e non solo - è nota. L’8 settembre 1943 giunge quando, per il mezzadro Salvini, non si è ancora chiusa la prima annata agraria.
Il capofamiglia Augusto Salvini, cinquantenne, e con il proprio nucleo già temprato dalle privazioni, affronta le nuove gravi difficoltà e le ravvicinate possibili conseguenze. Vista la situazione adotta il massimo della prudenza: Adriano e gli altri figli sono tenuti nascosti.
Comunque per quella famiglia sono anche mesi (per così dire) importanti. E’ il tempo della contaminazione democratica: conoscenze nuove, nuovi contatti, si ascoltano pensieri e ragionamenti per loro inusuali. Quella zona montagnosa e quelle boscaglie sono ritrovo e rifugio per tanti giovani che dalla pianura imolese – e non solo - sfuggendo al reclutamento nero si congiungono alle sparute avanguardie già da diversi mesi presenti in montagna. Giovani che si uniscono ai “ribelli”; soldati in rotta che una volta giunti a casa si danno alla macchia. E’ il movimento partigiano che tanto contribuirà alla liberazione del Paese dal nazifascismo.
Da quel territorio, sempre difficile, ora si sprigiona una carica di speranza e di fiducia per un avvenire migliore.
L’attesa svolta militare si concretizza; gli alleati avanzano e liberano gran parte del Paese – dalle nostre parti la “linea gotica” si attesta nella dorsale gessosa posta tra Casola Valsenio e Riolo – il fondo del mezzadro Salvini è in zona libera. La guerra non è finita ma i figli escono dai nascondigli e si familiarizza con soldati giunti da Paesi lontani e sconosciuti.
Il conflitto termina, l’Italia è un Paese sfinito e in ginocchio, ovunque lutti e distruzioni, non solo materiali. Il Paese è da ricostruire, il popolo manifesta voglia di libertà e preme per una svolta di progresso e per un avvenire migliore .
Con il Referendum del Giugno 1946 l’Italia sceglie la Repubblica; ripudiata la casa reale e la monarchia, l’Assemblea Costituente avvia il lavoro per la nuova Costituzione che, approvata, entra in vigore il 1° gennaio 1948.
Intanto la gente, insieme alla curiosità, ha un estremo bisogno di crescere, di conoscere, comprendere, socializzare le idee e ovunque ci si organizza come è possibile.
Lassù a Lozzole, nel 1946, una decina di famiglie di mezzadri, convinte da un maestro elementare, decidono di auto costruirsi un luogo dove incontrarsi. Tutta la famiglia Salvini è della partita. Un proprietario mette a disposizione un piccolo e marginale terreno incolto perché roccioso, e li edificano una piccola casetta, con un po’ di cantina e tetto a 2 falde.
Adulti, ragazzi, tanti bambini, al lavoro. Adriano, quindicenne, è uno dei più attivi e dà un fortissimo contributo.
Non acquistano quasi nulla, tutto il materiale necessario è ricavato da quello che la terra e il bosco può fornire. Si lavora gratis entusiasmati dalla prospettiva. Così nasce il “Circolo” di Lozzole che per le povere famiglie del luogo funziona benissimo: feste, balli, ricreazione, incontri.
Intanto nel Paese avvengono fatti politici cruciali destinati a segnare tanti decenni successivi.
Alle elezioni del 18 Aprile 1948, il Fronte Democratico Popolare è sconfitto, la Democrazia Cristiana sfiora la maggioranza assoluta; il 14 luglio 1948 (appena tre mesi dopo) sparano a Togliatti e il Paese – per un paio di giorni - barcolla sul filo della guerra civile.
Alla fine dello stesso anno le divisioni nel mondo del lavoro si acutizzano ed è l’inizio della rottura del Sindacato Unitario nato dal Patto di Roma. Nel Paese c’è scontro sull’adesione al Patto Atlantico; trattato al quale l’Italia aderisce e sottoscrive nell’Aprile 1949. Sempre nel 1949, Papa Pio XII decreta la scomunica dei Comunisti e di tutti coloro che aderiscono a organizzazioni che fanno riferimento o causa comune con tale partito.
La situazione è al calor bianco. Totale incomunicabilità tra la maggioranza e la sinistra nel Parlamento e nel Paese, divisi i Sindacati e i lavoratori, all’angolo (se non alla gogna) grande parte del movimento di Liberazione e rotture si registrano addirittura anche all’interno delle singole famiglie.
L’incandescenza arriva anche a Lozzole, ma quel “Circolino” ne esce indenne. Anzi! Quel punto di aggregazione si vivacizza e la gestione assomiglia a una piccola “Casa del Popolo”.
Quella minuscola e misera costruzione, oggi muta nel silenzio generale di quella zona, c’è ancora, baluardo, sentinella, custode della storia del lavoro come sopravvivenza, simbolo della lotta e della fatica sopportata dagli uomini.
Poi, l’Italia della fine degli anni ’40, con acutissime tensioni politiche e forti conflitti sociali, dove I lavoratori lottano per essere protagonisti e conquistare una giustizia sociale che non hanno mai conosciuto.
Adriano ha 23 anni quando nel 1954, la famiglia abbandona la montagna e si trasferisce, sempre con un contratto di mezzadria, in un podere a Rontana sul versante di Fognano.
Alcuni anni dopo la sorella Lina va in sposa a Modigliana e nel 1960 il fratello Attilio si sposa ed esce dal nucleo famigliare.
Nel 1961 muore il padre Augusto, nel 1963 anche l’altro fratello Remo si sposa e compie l’identico percorso di Attilio.
La famiglia Salvini si è molto ridotta e alla fine del 1963, Adriano con il fratello minore Gino e la mamma , lasciano il podere di Rontana e si trasferiscono a Faenza, in frazione Saldino. I due fratelli fanno i braccianti, la madre è pensionata. Le date, i passaggi e i fatti di questa famiglia, mi sono stati indicati dai famigliari – che approfitto per salutare.
Nell’abbandono della montagna, i Salvini hanno compiuto il percorso di centinaia, migliaia di altre famiglie.
L’esodo disordinato, lo spopolamento repentino di quelle aree, il mancato presidio del territorio, le insufficienti politiche di difesa, hanno creato parecchi problemi, ma aggiungerei che non si poteva restare a vivere nella miseria, con contratti agrari arcaici e ingiusti, isolati, lontano dai servizi, senza strade decenti, senza energia elettrica, senza acqua corrente, senza un minimo di sicurezza di reddito… Voglio dire che in queste condizioni era impossibile resistere.
Non il paradiso ma la speranza di riscattarsi, l’hanno trovata nelle aree dove l’industria, l’indotto e il terziario crescevano e dove il settore primario - molto più consistente - poteva offrire più opportunità di lavoro e di reddito.
Nel 1966 Adriano trova una occupazione più stabile presso una piccola azienda agricola alle porte della città. La famiglia si trasferisce da Saldino nella nuova residenza (Via San Silvestro 22) luogo della nuova attività lavorativa consistente in un allevamento suinicolo.
L’abitazione annessa all’allevamento è concessa gratuitamente, la paga – molto modesta- è mensile- Lavora tutti i giorni ma non è salariato fisso e le ore di lavoro non si considerano. E’ il trattamento di un operaio senza il riconoscimento normativo ed economico sancito dal contratto, senza l’inquadramento previdenziale previsto dalle Leggi. Nel 1969 il fratello Gino va a lavorare alla CISA.
Adriano Salvini vuole migliorare la propria condizione, probabilmente la nuova sistemazione del fratello lo spinge e l’induce a voler dare una “scossa” al proprio rapporto di lavoro. Nell’autunno del 1972 viene al Sindacato e cominciamo a ragionare su come muoverci per regolarizzare una posizione previdenziale e contrattuale non corretta. Ci vediamo più volte, mi porta resoconti delle ore mensili, mi consegna della documentazione: calendari con le ore effettivamente lavorate, io eseguo delle comparazioni retributive e normative, discutiamo del valore della casa e predispongo alcuni conteggi.
Siamo all’inizio del 1973, Adriano valuta alcune ipotesi e indicazioni che gli fornisco, sicuramente ne parla in famiglia, è un poco preoccupato e insieme decidiamo di rinviare la questione a dopo l’estate. Purtroppo tutto è rimasto nel cassetto, il dopo estate per lui non è mai arrivato. Per crudele destino, per fatalità, quel rapporto di lavoro lo ha portato a trovarsi quella sera, in Piazza delle Erbe a Faenza, nel momento e nell’orario sbagliato… Dico questo perché nel tardo pomeriggio di quel sabato di Luglio, arriva nel cortile di casa un camion di paglia da scaricare e sistemare.
Adriano finisce di lavorare molto più tardi del solito ma, visto che è Sabato, va in piazza ugualmente, si fa portare dal fratello Gino, nel luogo dove era abituato a ritrovare amici, parlare e consumare qualcosa.
L’istinto di giustizia, il doveroso e sacro rispetto delle regole di convivenza e delle cose altrui, l’ha portato ad incrociare quel giovane, invasato e noto provocatore fascista, che l’ha ucciso.
Sabato 7 luglio 1973, insieme al ferimento di Vincenzo Morelli e alle ancor più gravi lesioni provocate ad Aldo Zoli, la vita di un uomo, un operaio, un compagno, veniva violentemente spezzata.
Oggi, dopo tanti anni, siamo qui per testimoniare, ricordare e ribadire l’impegno che ci assumemmo in quelle tristi giornate: presenza e sensibilità democratica come valore, costante vigilanza antifascista.

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