Amleto Rossini, nato a Lavezzola nel 1922, è stato antifascista e partigiano combattente. Impegnato politicamente nelle file del Partito Comunista Italiano, ha svolto, nel dopoguerra, un intenso lavoro sindacale, che avrebbe proseguito e sviluppato durante gli anni ’50 nell’area collinare e montana del faentino, e particolarmente a Casola Valsenio, dove venne inviato dalla Camera Confederale del Lavoro di Ravenna a dirigere la locale Camera del Lavoro
E’ di quegli anni – che vedevano l’acutizzarsi di forti scontri sociali nelle campagne, per affermare migliori condizioni di vita e di lavoro per i braccianti e più vantaggiosi rapporti contrattuali per i mezzadri – la sua elezione nel Consiglio comunale di Casola Valsenio. Nel 1958, esaurita la sua esperienza nel Sindacato, è eletto Sindaco di Casola Valsenio. Incarico che mantiene ininterrottamente fino al 1976. (foto: 1976, sala consiliare del Municipio di Casola Valsenio: Amleto Rossini - al centro - salutato dal Consiglio comunale al termine del suo mandato di Sindaco. Accanto a lui i consiglieri comunali Domenico Sangiorgi, a sinistra, e Giordano Righini).
A lui ci lega un sentimento di riconoscenza e di sincera ammirazione per il suo impegno politico e amministrativo, in anni duri e difficili. Anche per questo ci ha fatto piacere leggere su "Resistenza e Libertà", organo dell'ANPI provinciale di Ravenna, un bell'articolo di Ivano Artioli, professore e Presidente dell'ANPI provinciale, che parla proprio di Amleto Rossini e di un episodio che gli capitò durante la guerra, negli anni del suo servizio militare.
Il racconto inizia nel 1942...
Amleto Rossini e la lettera salvavita
di Ivano Artioli (da "Resistenza e Libertà" - n. 5/2013)
Mi disse che fu nel '42 che partì per la guerra, destinazione Rodi, dove comandava Ettore Muti, ravennate. Di Muti si raccontava fosse un poco raccomandabile ras fascista che nel '20 aveva terrorizzato la Romagna da Conselice sul Reno fino a Forlì, Cesena, Rimini. Ma si diceva anche che avesse per i soldati della sua città un occhio di riguardo.
Eravamo nella sede del PCI di Via Pascoli e Amleto, il compagno Amleto Rossini, mentre mi parlava, con una penna scarabocchiava su un foglio dei disegni senza senso per me.
E mi disse che sua mamma (ma lui lo seppe solo a cose fatte) andò alla Casa del Fascio di Lavezzola e si fece ricevere da un caporione che conosceva. Gli chiese se per quel suo figlio Muti potesse avere un occhio di riguardo... Poteva evitare di esporlo a rischi di morte?
"Certo! - fu la risposta - Hai fatto bene a venire... Facciamo subito!", e scrisse una lettera che chiuse con un timbro a cera lacca. "Dalla ad Amleto e digli che là a Rodi si faccia ricevere da Muti e gliela consegni... Muti per quelli della nostra terra è come un padre".
E la poveretta? La poveretta non la finiva di ringraziare. Si sarebbe fatta viva. Eccome! Stesse sicuro. Lei faceva i capponi e si sarebbe fatta viva con quelli. Sicuro. Sicuro.
Amleto partì. Arrivò a Brindisi per imbarcarsi, ma si fermò in quella città. In caserma trovò Luciano Modoni, un ravennate amico di gioventù, uno che aveva i gradi e poteva decidere. E Luciano gli diede dei lavoretti da fare. Così, tutte le volte che una nave portava a Rodi delle reclute, lui era sempre impegnato in qualche cosa di indispensabile e non poteva partire... E poi? E poi, anche se fosse partito, in tasca aveva sempre quelle lettera salvavita: sal - va - vi - ta!
Arrivò il '43: il 10 luglio gli Angloamericani sbarcarono in Sicilia e avanzarono; il 25 luglio Mussolini venne sostituito con Badoglio; l'8 settembre ci fu l'armistizio e l'inizio della Resistenza. A Brindisi l'8^ armata inglese sfondò e Amleto vi venne aggregato diventando un soldato ausiliario fino a Ravenna, fino a casa dove aprì da solo quella lettera importante. Lo fece con attenzione. Riguardo. Gratitudine verso quell'uomo conoscente della madre e che aveva intercesso per lui, pronto a salvargli la vita.
Era in carta intestata con il simbolo del fascio littorio in alto. Partiva con un saluto a Muti, al vecchio camerata del gruppo della "Bomba a mano", al ras. Poi con chiarezza diceva che il soldato Amleto Rossini, latore della lettera ma che non la conosceva, era figlio di antifascisti ed era antifascista pure lui. Concludeva con queste parole: "...fate in modo che non ritorni più a casa".
Chiuse così Amleto il suo racconto-testimonianza.
"Ma chi è questa canaglia?", chiesi.
"Non faccio nomi e questa cosa la sa solo mio figlio, non mia madre, ne morirebbe", e cercò d'infilare la penna con la quale aveva disegnato quelle strane forme, che l'avevano aiutato a parlare, nella parte sbagliata della giacca: sulla destra, mentre il taschino era sulla sinistra come in tutte le giacche.
Quel gesto era divertente. Gli capitava di farlo, a volte. E' che nel dopoguerra Amleto diventò attivista comunista e sindaco e bisognava tener decoro e fare riunioni in giacca e cravatta. Ma di giacca ne aveva una sola e i soldi per prenderne un'altra non c'erano, così quando questa divenne lisa lisa lisa la moglie gliela rivoltò, tanto che il taschino che stava sulla sinistra finì alla destra e lui lì infilava la penna, anche gli occhiali.
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